Premio Racconti nella Rete 2011 “Un ricercatore pisano ad Edimburgo” di Edoardo Angeloni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Rocco aveva ricevuto dall’Università l’incarico di seguire le lezione che si sarebbero tenute presso un laboratorio di Chimica situato ad Edimburgo, a proposito del quale sapeva soltanto che era frequentato soprattutto da indiani e cinesi. Il suo compito era quello di scoprire che attendibilità potevano avere le ricerche di questo gruppo secondo l’orientamento della normativa della Chiesa italiana, che in collaborazione con quella Anglicana stava facendo degli studi a proposito.
Rocco stava andando a verificare appunto il modo in cui avvenivano queste procedure; egli era un brillante tecnico chimico che aveva studiato a Pisa ed era anche sufficientemente stimato nell’ambiente della ricerca anglo-sassone. A parte i dubbi che potevano esserci nel modo di fare i calcoli degli scozzesi, la sua missione poteva avere anche altri motivi: l’Università di Pisa stava perdendo il suo tradizionale prestigio ed era interessata ad una valutazione quanto più corretta dei lavori di questi asiatici.
Inoltre a Rocco avrebbe fatto piacere passare qualche mese ad Edimburgo, dove prevedeva di potersi divertire facilmente. Infatti, pur essendo uno scienziato serio e pignolo, non aveva tralasciato di riporre in valigia alcuni completi firmati ed un paio di racchette da tennis. Con il suo inglese era in grado di presentarsi in maniera piuttosto cordiale e quindi pensò che avrebbe facilmente socializzato con i colleghi dell’istituto.
Una volta arrivato al’aeroporto della città scozzese, salì sul pullmann che si stava dirigendo verso il centro. Giudicava la Scozia più romantica e intrigante di Londra, con i suoi paesaggi racchiusi tra colline e tramonti. Comunque Rocco non era il tipo da demoralizzarsi più di tanto una volta che il suo ottimismo iniziale avesse cominciato a subire eventuali contraccolpi, perché il suo animo reattivo lo portava a superare abbastanza bene le depressioni psicologiche. Uno dei motivi che lo annoiavano di più era dovuto al fatto che le studentesse del pullmann di nazionalità inglese non gli rivolgevano molta attenzione, sedmbravano molto indaffarate e parlavano uno slang molto veloce.
Ormai è un fatto risaputo che gli iscritti alle Università anglo-americane provengano in gran parte dai paesi asiatici: era pronto ad accettare con interesse gli eventuali discorsi che studenti orientali si sarebbero apprestati a rivolgergli. Il loro inglese era lento e abbastanza comprensibile; inoltre anche loro si sentivano un po’ spaesati e per questo motivo Rocco li sentiva simili a sé. Inoltre pensava che se avesse corteggiato qualche ragazza, avrebbe sicuramente preferito un’orientale carina ad un’occidentale poco attraente.
Sul pullmann cominciò subito ad osservare cinesi ed indiane, notando alcuni particolari del loro atteggiamento: esse non respingevano subito il suo sguardo anche se Rocco le fissava troppo spesso con insistenza. Si accorse di ciò perché esse nonostante la sua insistenza non alzavano il tono di voce; ma il motivo di tale impasse forse era perché loro avevano troppo interesse per l’attività universitaria per concedergli subito attenzione al primo approccio.
Rocco cercò di concentrarsi sul compito che l’istituto religioso gli aveva proposto; come avrebbe effettivamente svolto le sue verifiche ancora non lo sapeva, ma avrebbe prima di tutto chiesto di seguire le lezioni del corso di biologia, proposta che non gli avrebbero certo rifiutato. In un secondo tempo avrebbe cercato di corteggiare qualche studentessa, visto che con qualche opportuna galanteria si sarebbe agevolato il compito di concentrarsi sulle lezioni.
Rocco, durante le relazioni che aveva avuto con le studentesse italiane, era abituato a dominare la situazione affettiva; neanche le scozzesi gli sembravano disposte a modificare più di tanto le sue normali reazioni emotive. Una volta ottenuta l’approvazione a frequentare il corso, egli si trasferì con i suoi bagagli i suoi vestiti e i suoi libri nella stanza dell’istituto che gli era stata assegnata. Una volta rimasto solo con i suoi pensieri, l’attenzione tornò agli sguardi delle asiatiche, cosa che cominciò a coinvolgerlo in un modo intenso che non avrebbe potuto prevedere.
Dopo i primi scambi di idee, prese ad appassionarsi alla loro religione. Il modo di pensare cinese allontana completamente dalle cose di questo mondo: a volte arrivava a pensare che tra la parola e l’oggetto indicato non esistesse la minima differenza. La sensibilità di queste ragazze mutava all’improvviso se si sforzava a distinguere tra significato e significante. Finì per accettare il buddismo con convinzione, almeno nella forma semplice in cui lo spiegano i manuali nelle edicole.
Comunque dopo un primo mese durante il quale aveva cercato di condividere questa impostazione, sperando nell’attenzione di qualche graziosa cinese, ritenne di dover riprendere il filo del discorso che si era riproposto di affrontare e che costituiva il motivo principale per cui era venuto in Scozia. recuperò i libri di biologia e cercò di pensare meno a queste fantasie durante il corso, cercando di stilare un arelazione da inviare in Italia.
Come un evento miracoloso, gli comparve davanti una splendida indiana, che gli parve simile ad un’attrice di Bolliwood. Per compiacerla, volle capire il senso del Buddismo dal punto di vista islamico e gli si aprì un mondo completamente diverso. Ella non si ritirava facilmente lontano dal mondo e dalle sue passioni, a volte si compiaceva di piccole perversioni, infatti detestava il puritanesimo ossessivo degli Anglicani.
Così facendo sostituì all’ateismo religioso dei cinesi una serie di riti e procedure; ma mentre il primo era stato per lui soprattutto una forma di autoironia, l’esperienza islamica gli conferiva un curioso atteggiamento intellettuale. Durante un mese di affettuosa amicizia con l’indiana riuscì a superare anche qualche esame del corso.
Scrive Baumann che con uno stratagemma adottato dalla burocrazia moderna la “responsabilità per” (per il benessere e la dignità dell’Altro) sostituiva “la responsabilità verso” (verso il proprio superiore, verso un’autorità, verso una causa e chi parla a suo nome). La vittima collaterale di questo salto verso la varietà consumistica è l’Altro in quanto oggetto di responsabilità etica e di preoccupazione morale.
Dopo tre mesi di questa vita, Rocco cominciò a sentire nostalgia della Toscana. Non riusciva a capire se il suo ambientamento ad Edimburgo era positivo o gli stava causando qualche problema. Gli italiani che visitano la Gran Bretagna lo facevano soprattutto per seguire i flussi finanziari, ma il suo percorso molto metafisico non lo avrebbe inserito facilmente nella realtà affaristica costituita da pull e caall.
Tutto sommato Edimburgo gli appariva come una città di profonda cultura e la sua vicenda filosofica orientaleggiante avrebbe potuto approdare sul fronte, forse un po’ meno fumoso, del surrealismo francese. Se fosse stato disposto a leggersi qualche pagina di Barthes o di Proust, forse avrebbe potuto attirare l’attenzione un po’ più esigente di qualche bella inglesina. Un altro modo di assorbire il modo di pensare anglosassone era quello di ascoltare musica; ad esempio gli piacevano gli U2 e i Simply Red. In Italia erano argomenti che lo appassionavano, ma in Scozia rischiavano di mettere in discussione le sue radici.
Grazie a queste abitudini, la cucina, il mondo degli autobus, la vista dei palazzi cominciavano ad assumere un aspetto consueto. Il suo impulso mistico pian piano si raffreddò e cercò di invitare qualche collega a cena; infatti Rocco risultava piuttosto simpatico alle ragazze che frequentava ed esse erano tutto sommato abbastanza contente di uscire la sera di casa con qualcuno.
Al quarto mese di permanenza, il problema di inviare una relazione sullo stato di ricerche dell’istituto diventò una necessità inderogabile: la sua prima intenzione fu quella di spedire una lettera con la quale elogiava la maniera anglosassone di condurre la ricerca, ma ciò poteva essere un modo di tagliare i rapporti con i preti cattolici. Ciò dipendeva che stava accettando le infinite possibilità che gli offriva la società multietnica che lo ospitava, mentre la Chiesa cattolica gli sembrava stesse imponendo i suoi divieti senza una ragione.
Il suo tempo si stava uniformando a quello inglese, con i suoi ritmi, il suo clima, l’alimentazione. Ma questa adrenalina gli chiariva il senso delle pubblicazioni che avrebbe dovuto leggere? O ciò rimaneva secondario rispetto al fatto che ormai aveva vinto la sfida più importante, quella con se stesso, cioè si era adeguato alla vita dell’istituto? Non gli interessava più ormai se le ricerche stessero funzionando o meno, quanto di far parte di un mondo che lo stimolava.
Un giorno entrò in un ristorante dove cucinavano pasta asciutta e incontrò un avventore italiano, che dopo qualche parola lo colpì per il suo strano modo di fare. Il locale si presentava con un certo lusso ed in particolare qui sapevano cucinare la cacciagione con estrema perizia. I due commensali dopo qualche bicchiere di Chianti, cominciarono a rievocare i loro ricordi. Quando presero a parlare di lavoro, Rocco constatò che l’amico per sua fortuna non era un economista, ma un amante della letteratura inglese; quest’ultimo si esibì in un’appassionata argomentazione tra Shakespeare e Proust, cosa che per entrambi sembrava di importanza fondamentale per il proseguimento dell’amicizia. A Rocco sfuggirono sia il contesto che la motivazione di tutto ciò, ma quando l’altro passò a parlare della situazione economica internazionale, egli anche a causa del vino oltre che della noia sprofondò in un sonno profondo.
Questo incontro avrebbe potuto allontanarlo definitivamente dalla prospettiva di tornare in Italia, invece ebbe la strana reazione di riportarlo a favore delle posizioni cattoliche sull’ingegneria genetica. Il motivo di questo comportamento forse era dovuto alla superficialità del suo adattamento: non capiva del tutto le allusioni che gli rivolgevano le ragazze inglesi durante le lezioni e per la strada e ciò lo faceva sentire stupido. Il suo accento era molto diverso dal loro; l’incomunicabilità diminuiva un po’ durante una buona cena, ma ritornava ad essere persistente poco dopo.
Forse pensò che la differenza tra lui e un agente di borsa stava diventando minima e questo pensiero non gli piacque, allo stesso modo in cui rifiutava l’intonazione eccessivamente shakespeariana dell’amico conosciuto a tavola. La necessità di sostituire “la logica dei sentimenti” con una mentalità consumistica fece capire a Rocco l’esigenza di evitare di correre un certo tipo di rischi che gli poteva causare una prolungata presenza in Scozia.
La cena con l’amico italiano gli aveva lasciato un senso di vuoto, cosa che per un buddista è la condizione di vivere l’attimo con pienezza. Queste sensazioni derivavano senz’altro dal fascino e dalla seduzione dell’Italia filtrate dall’estero. Ciò non sarebbe stato possibile se il momento topico fosse stato condizionato da preoccupazioni per la ricerca della bella frase o per l’andamento dei titoli di borsa; questo stato che se non era confusionale era comunque nebuloso gli faceva desiderare che il momento del ritorno a Pisa si avvicinasse.
Cominciò a porsi delle domande sul suo ruolo effettivo all’interno dell’istituto. Aveva abbandonato lo studio delle religioni orientali per dedicarsi ad interessi più consoni ad un giovane ricercatore, ma proprio per questo motivo si chiedeva se la nsua vita era diventata più autentica o era il riflesso di qualcosa che non capiva.
Avesse compreso qualche risultato importante, avrebbe soddisfatto lo scopo della maggior parte dei suoi colleghi, ma si sarebbe guardato bene dal presentare dati di questo genere come ufficiali da parte della Chiesa cattolica.
Termino questo breve racconto con una bella frase di Baumann: “Nella società liquido-moderna nessuna identità è un dono ricevuto dalla nascita. Le identità sono progetti: compiti da assumersi e svolgersi con impegno fino ad un completamento infinitamente remoto”.
mi spiace, ma questo ricercatore mi sembra….un pò confuso….come tutto il racconto, e con qualche errore di grammatica