Premio Racconti nella Rete 2011 “Risveglio” di Marilena Boccola
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011“Sedeva assorto, in attesa.
Questo l’aveva imparato dal fiume,
questo solo: attendere, aver pazienza,
ascoltare.”
Hermann Hesse – Siddharta
Quando suona la sveglia impostata sul cellulare mangerei una merda, ma in fondo mi piace alzarmi alla mattina presto, sentire le prime macchine passare sulla strada e qualche vicino scaldare il motore prima di partire. A tentoni cerco gli occhiali sul comodino e senza accendere l’abat-jour, per non svegliare mio marito, esco dalla camera da letto (a volte inciampo soffocando qualche imprecazione). Passare dall’accogliente tepore del piumino al freddo delle stanze dopo la notte mi riempie di brividi, indosso la giacca in pile appoggiata sul termoarredo del bagno ed entro in cucina per il rituale del risveglio.
Accendo soltanto la luce della cappa, metto la moka pronta dalla sera prima sul fuoco, tiro su la tapparella anche se fuori è ancora tutto buio e vado in bagno: faccio appena in tempo a fare pipì e a mettermi le lenti a contatto e già si sente il borbottìo del caffè che diffonde il suo aroma nell’aria. Con la tazza fumante che mi scalda le mani, mi siedo sul divano nella penombra per un breve momento di raccoglimento. Per pregare c’è bisogno di silenzio e mai come in quest’ora del mattino il buio e il freddo invitano a cercare una calda luce dentro se stessi, una scintilla divina dalla quale attingere la forza per affrontare un’altra giornata da supereroi piena di impegni, tensioni, frustrazioni ed incastri nell’ordinaria lotta contro il tempo. Padre nostro… sia fatta la tua volontà…, concludo.
Di solito a questo punto si sente il piagnucolìo di un bambino, è mio figlio, ora ha 18 mesi, vuole il suo latte… ne verso 300 ml nel biberon, lo scaldo nel microonde per un minuto e intanto mi soffermo a guardare fuori dalla finestra: se c’è sereno, una luce rosata inizia a diffondersi sopra le case attraversata dal fumo delle ciminiere altrimenti tutto è grigio o avvolto dalla nebbia. Dlin! Metto due cucchiaini di biscotto granulato nel latte, lo sbatto per bene ed entro nella cameretta di Lorenzo lasciando accesa solo la luce del corridoio. E’ seduto nel suo lettino e cerca di consolarsi succhiandosi il pollice:
“Mamma…” mormora quando mi vede.
“Amore ti ho portato il latte…”
“…atte”
Lo prendo in braccio sollevandolo dal lettino con una fitta alla schiena, mi siedo sulla poltrona, lo sistemo sulle mie ginocchia, gli offro il biberon e lo stringo a me: è uno dei pochi momenti in cui posso godermelo perché di solito è un’anguilla che sfugge alle coccole per non perdere un solo momento di gioco invece, a quest’ora, è solo un frugoletto ancora assonnato e avido di latte che beve ad occhi chiusi, tenendo il biberon con entrambe le mani sopra la mia. Affondo il naso nei suoi capelli e lo annuso, tenendo anch’io gli occhi chiusi, in un attimo sospeso nel tempo e nello spazio; aspiro il suo odore di bebè misto al sapore dei baci della buonanotte del suo papà e mi inebrio di quell’amore immenso e indescrivibile che si prova solo per i figli: è uno dei pochi, ma preziosi momenti della giornata in cui sento che la mia vita ha un senso e vale la pena di essere vissuta.
E pensare che la nascita di Lorenzo mi ha veramente stravolto l’esistenza, mi ha trasformata interiormente come può trasformare soltanto l’esperienza di divenire alimento, carne che nutre altra carne, altro sangue, viscere frutto delle proprie viscere. Credo sia per questo motivo che si dice che l’amore per i figli è viscerale, perché sono stati parte di noi e il nostro corpo continua ad averne nostalgia e a cercarne il ricongiungimento. Avere un figlio è un po’ come rinascere attraverso di lui e ripercorrere la propria vita in parallelo alle tappe della sua: si ricomincia a giocare, a guardare i cartoni animati, a leggere fiabe, si torna a scuola, si va al mare per respirare lo iodio e fare castelli con la sabbia, … Avere un figlio cambia radicalmente la vita sia in termini di responsabilità che di ridefinizione della propria identità: cambia la visione del mondo e di sé stessi. Se non si hanno figli si può continuare a sentirsi eternamente ragazzi, basta deciderlo e si può fare qualsiasi cosa, non ci sono limitazioni alla propria libertà. Quando nasce un bambino iniziano le rinunce, anche andare al cinema una sera con il proprio partner sembra diventare uno svago inaccessibile.
Quanta rabbia ho accumulato nei mesi scorsi! Un figlio, per quanto il papà sia presente e premuroso, è principalmente nella testa della mamma: è lei che sa se ha fatto la cacca, se starnutisce, se ha la tosse, quando deve fare il bagnetto, cosa ha mangiato a pranzo e cosa deve mangiare a cena perché la sua alimentazione sia equilibrata; è la mamma che rinuncia di più a se stessa, ai suoi tempi, ai suoi spazi, agli interessi… al lavoro. Da quando è nato Lorenzo è iniziato il processo di ridefinizione della mia identità a partire da quella professionale. Sono laureata in scienze politiche a indirizzo sociale e lavoro in una Cooperativa che gestisce servizi per persone disabili adulte, sono entrata passando dalla Comunità Alloggio assunta come educatrice in un periodo in cui nessuno era disponibile a farlo: c’erano dei casi difficili e il lavoro era a turni, ma io stavo scrivendo la tesi, avevo già ventisette anni, un fidanzato con troppi impegni, vivevo in famiglia e, soprattutto, … avevo bisogno di soldi!
Dopo neanche un anno ero diventata la coordinatrice del servizio, il lavoro era emotivamente faticoso e non aveva orari, ma mi piaceva, mi ha insegnato molto di me stessa: mi ha mostrato i miei limiti e mi ha costretta ad accettarli. Tuttavia, quattro anni di pesanti responsabilità, di emergenze ed imprevisti mi hanno logorato profondamente portandomi a chiedere il trasferimento in un servizio diurno. Il cambiamento mi ha richiesto tante energie per imparare il funzionamento di quello che per me era un servizio nuovo, per conoscere gli utenti e gestire i rapporti con le loro famiglie, per meritare la stima e il rispetto dell’équipe degli educatori.
Nel frattempo mi ero sposata (non con il “vecchio” fidanzato) e desideravo un figlio anche perché il ticchettio del mio orologio biologico iniziava a farsi sentire con insistenza… Ho avuto una bellissima gravidanza che ho vissuto come un sogno immaginando il mio bambino e parlandogli, ascoltando musica insieme a lui, dipingendo, leggendo, frequentando un corso di yoga, facendo lunghe passeggiate con il mio pancione. Anche il parto è andato bene ed è stato una grande emozione che io e mio marito abbiamo vissuto insieme, ma con esso si è concluso il sogno. La realtà mi è arrivata in faccia come un bicchiere di acqua fredda: è iniziato il tempo dei risvegli notturni, delle poppate ogni tre ore e di tutti i problemi connessi: le coliche, i pianti inconsolabili, i pannolini da cambiare e le interminabili giornate sepolta in casa senza vedere nessuno perché Lorenzo non ha mai amato il passeggino e i viaggi in macchina. Rabbia che si accumulava giorno dopo giorno.
L’idea di tornare al lavoro, da un lato, mi spaventava per il carico d’ansia che si sarebbe aggiunto a quello che la gestione di un bambino piccolo già porta con sé, ma dall’altro costituiva la possibilità di tornare a vivere; si poneva, però, un problema: come conciliare un lavoro di coordinamento che richiede flessibilità e disponibilità di tempo con l’esigenza di essere a casa prima possibile per occuparmi di mio figlio e della casa (preparare i pasti, riordinare, fare le pulizie, la spesa, lavare i panni, stirare, …)? Mi è stato proposto di rientrare negli uffici amministrativi in un ruolo tuttora in via di definizione, ma che mi consente di gestirmi l’orario a tempo pieno abbastanza liberamente: in pratica, quanto prima riesco ad andare in ufficio, saltando la pausa pranzo, tanto prima finisco di lavorare e guadagno tempo per prendermi cura di mio figlio e di tutto il resto. Meno discrezionalità e autonomia decisionale, minori gratificazioni, ma più tempo per la famiglia: è un’equazione che accomuna molte donne, riuscire a trovare una certa serenità e l’equilibrio con se stesse dipende da dove si vuol far pendere la bilancia; non si possono avere entrambe le cose, la coperta è corta, se si tira troppo sotto il mento, si scoprono i piedi e viceversa.
Quanti pensieri in pochi minuti! Il biberon si sta svuotando lentamente, Lorenzo riapre gli occhi e lo allontana da sé, mi guarda e dice: “mamma…” come se volesse accertarsi che sono proprio io e che ci sarò sempre.
“Sì tesoro, sono la mamma…”.
Mi alzo dalla poltrona tenendolo in braccio, lo stendo sul fasciatoio, mentre lui ne approfitta per stiracchiarsi, gli cambio il pannolino cercando di intrattenerlo con delle parole dolci e qualche giochino a portata di mano infine, gli rimetto i pantaloni del pigiama e lo poso nel suo lettino.
“Fai ancora un po’ di nanne con Lillo (è il suo coniglietto di peluche) che dopo viene la nonna”.
Mi chino a baciarlo coprendolo per bene, anche se so che fra un attimo sarà già scoperto, ed esco dalla stanza.
“Ciao amore, ci vediamo oggi!”
Di solito dorme ancora un paio d’ore, lo vestirà mia suocera, è lei che se ne occupa fino al mio arrivo: l’asilo nido costa troppo.
Torno in cucina, stavolta accendo la luce e la televisione: ora tocca a me fare colazione; scaldo il latte nel microonde e inizio a vestirmi con gli abiti che ho preparato sulla sedia: la doccia, di solito, la faccio alla sera per guadagnare tempo al mattino. Mi tolgo il pile e il pigiama e indosso reggiseno, calze, camicia, maglione, pantaloni e stivali. Seguendo la rassegna stampa de La 7, bevo una tazza di latte con tre fette biscottate come prevede la mia dieta dimagrante: diventare mamma, d’improvviso, fa sentire tutti i propri anni, insieme al bisogno di essere ancora giovani e belle. Tolgo dal freezer qualcosa da scongelare per la cena. Mi lavo i denti, mi trucco un po’ dopo aver messo sul viso una crema idratante antirughe, mi metto gli orecchini e mi spruzzo il profumo, sono pronta! Indosso il piumino, prendo le chiavi di casa e della macchina dal cestino sopra alla madia all’ingresso ed esco.
L’aria color cobalto del mattino ha sempre un buon odore per quanto inquinata, salgo in auto e accendo il motore, tutti i vetri sono ghiacciati, sparo la ventola al massimo, metto in folle, tiro il freno a mano e torno in casa. Ho il tempo per un secondo caffè che preparo anche per mio marito che a quest’ora entra in cucina ciabattando e strizzando gli occhi feriti dalla luce.
“Buongiorno!” gli dico sorridendo, mentre tolgo dalla dispensa il succo di frutta che Lorenzo berrà più tardi. Ci scambiamo un bacio lieve sulle labbra.
“Ciao amore, ci vediamo stasera… Torni presto?” gli chiedo.
“Non lo so, vediamo. Ciao, buon lavoro!”
Prendo la borsa, ci infilo un pacchetto di crackers e una mela ed esco di casa chiudendomi la porta alle spalle. In fondo, di cosa posso lamentarmi?!
Sono una persona creativa che ama l’arte e la letteratura tanto quanto sfugge il disaccordo e la polemica. A volte penso di aver sbagliato buona parte delle scelte importanti, ma mi piace pensare che Qualcuno le abbia guidate secondo un preciso piano; mi chiedo come mai la mia strada sia così tortuosa, quale disegno l’abbia tempestata di tante coincidenze che mi hanno portato sin qui, facendo apparire la mia vita come un mosaico composto di tasselli accostati tra loro senza apparente logica, ma come insegna Siddharta, bisogna pregare, digiunare e aspettare che si mostri la via. Con le prime due diciamo che sono a buon punto, ora non mi resta che attendere.
Rende molto bene, con il suo stile schematico, la fatica per una donna madre e lavoratrice di “incastrare” tutti gli aspetti della vita “nella quotidiana lotta contro il tempo”. Interessante il titolo che richiama, dopo una gravidanza sognante in cui si immagina il proprio bambino, il momento in cui si incontra il figlio reale con tutti i suoi bisogni e conseguente necessità per la madre di ricostruire la propria identità…
Hai reso bene il legame “viscerale” tra madre e figlio e tutto quello che comporta la nascita di un figlio, mi sono rivista in tante cose, ma hai saputo rendere bene anche l’intimità e la tranquillità di qui momenti, parte di una fase della vita, per me ormai lontana, ma che mi hai fatto ricordare con piacere.