Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Una sottile linea bianca” di Leonardo Giorgi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

La prima volta che lo vidi, sarà stato verso la fine dell’inverno ’86, uno degli ultimi con molta neve.

Una domenica, tornando da Barzio dopo aver salito il canalone dei camosci ai Campelli, lungo la strada che da Moggio porta al colle di Balisio, il mio sguardo affascinato dalla vista della Grignetta in veste invernale fu attratto da una sottile striscia bianca che, solcante il versante Est andava a finire su una cresta senza nome.

Chissà come si chiama quel canale? Certamente è già stato salito, è troppo logico ed evidente e in Grigna, le vie logiche sono state salite da anni.

Và detto che in quegli anni, la documentazione era piuttosto scarsa e, per quanto riguarda le Grigne tendente a privilegiare le arrampicate su roccia, lasciando così le salite invernali a poche note scritte qua e là e soprattutto alla tradizione orale, infatti, nonostante le numerose ricerche sul poco scritto disponibile e molte domande agli amici più esperti, nulla e nessuno riportava notizie su quella striscia di neve.

Eppure c’era, l’avevo vista bene, in ogni modo in quell’anno non insistetti a causa di una visibile strozzatura senza neve che, interrompendo la continuità della linea di salita, faceva sembrare il canale un po’ difficoltoso.

Così, l’inverno venne ben presto salutato da una primavera esageratamente piovosa e da un’estate da dimenticare.

Seguirono anni con inverni secchi e freddi, e naturalmente l’interesse fu catturato dalle molte cascate che senza neve diventavano terribilmente attraenti, ogni tanto però passavo di là e lungo la strada per Moggio mi soffermavo a guardare quella striscia di neve così invitante.

Le notizie sempre scarne parvero finalmente darmi un barlume quando, non ricordo in che anno, su una rivista, apparve un articolo sul ghiaccio nelle Grigne, ma letto e riletto, questo non pubblicava alcun’altra informazione di là dei più che conosciuti canalini del versante Sud / Sudovest (piccioni, caminetto, lingua ecc.) a quel punto si rafforzava in me la convinzione che quel canale, pur così evidente non fosse ancora stato salito.

Questa convinzione mi diede l’impulso a cercare la salita ad ogni costo, e così nell’aprile del ’92 Francesco ed io, di ritorno da una gita In mountain bike nei dintorni del Culmine di san Pietro, scendendo verso la valsassina avemmo modo di notare che, grazie alle abbondanti nevicate di quell’inverno, tra i prati delle rive di corda e il dirupato versante Est della grignetta, si allungava solitario quel canalino nevoso.

Rotti gli indugi decidemmo seduta stante che il sabato successivo, 25 Aprile, non ci sarebbero più stati misteri su di lui, e ci accordammo per l’azione.

Una scheggia dal passato

Anche se la stagione era ormai tarda per una salita in stile invernale, sulle pendici della Grignetta persisteva una certa quantità di neve che, considerate le temperature di sotto alla media stagionale, ci avrebbe garantito un discreto fondo. L’avvicinamento, dapprima lungo la traversata bassa e poi risalendo il gerone, si svolge senz’altra difficoltà che il districarsi in una fitta selva di mughi senza alcuna traccia da seguire se non il riferimento della nostra linea di salita

Infine, giunti sotto al canale ci fermiamo in vista di quella che pensavamo una strozzatura senza neve, ed invece rivelatosi essere un grosso masso che, incastrato ostruisce l’accesso alla parte superiore del pendio.

Poco male ci diciamo, l’inclinazione del canale non è superiore ai 40° e quel masso sembra che sia possibile passarlo sulla destra, immersi nei nostri pensieri posiamo a terra gli zaini e cominciamo a prepararci per la salita. A quel punto, accanto all’imbracatura scorgo qualcosa di strano, sembra un sasso ma il colore ruggine mi rimanda a quei reperti che spesso si ritrovano sui monti dove fu combattuta la grande guerra.

Lo raccolgo e, con stupore non posso fare altro che costatare ciò che da subito avevo sospettato, mi trovavo in mano una grossa scheggia di proiettile di artiglieria, probabile residuato della guerra di liberazione.

Che combinazione! è il 25 Aprile, forse siamo su una via nuova e troviamo una testimonianza di quel periodo, metto la scheggia nello zaino e velocemente mi preparo, ho fretta di andare a vedere quel masso. Le due schegge

Sorpresa!

Saliamo i primi cento metri su neve facile fino a giungere al passaggio obbligato, cerchiamo un punto per attrezzare una sosta e, sorpresa, c’è un chiodo, con un pizzico di delusione non posso fare altro che trovare conferma ai miei timori, qualcuno ci aveva preceduti, d’altronde continuare ad illudersi di essere i primi sarebbe stato un grosso peccato di presunzione.

Il chiodo non è un gran che messo bene, infatti, mentre mi accingo a preparare la sosta lo saggio per vedere di utilizzarlo ma, dopo un paio di trazioni me lo ritrovo in mano, lo scruto con attenzione fino a scorgerne il marchio del fabbricante, una “C” racchiusa da un rombo, segno che, chi ci ha preceduto non lo ha fatto molto tempo prima di noi.

Parte Francesco e, anche se con gli scarponi non sembra che i primi metri oppongano grosse difficoltà, è il superamento della sporgenza che gli richiede il maggiore impegno, e in ogni caso si tratta di un solo passo e la sua statura lo aiuta a superarlo meglio, qualche problema in più potrei averlo io poiché sono un bel po’ più piccolo!

Ora non lo vedo più, ma dalla velocità con cui mi chiede corda immagino che le difficoltà siano già finite, e, infatti, poco dopo lo sento chiodare la sosta.

Adesso tocca a me, in effetti, il primo pezzo non è difficile, lo supero in un balzo e subito d’istinto mi getto sulla placca che supera a destra la sporgenza del masso; ma dove cavolo hai messo le mani, per uscire da qui? Un breve pensiero a mia mamma che con il suo metro e cinquanta non poteva certamente regalarmi un paio di gambe più lunghe e poi scrutando più su, vedo l’appiglio a diversi centimetri dal punto più alto che posso raggiungere con la mano.

Non ci penso molto, estraggo la piccozza che in questi casi tengo tra lo zaino e la schiena, e delicatamente la uso al posto di quei centimetri che non ho.

È proprio un passo!lo supero e in un attimo sono in sosta, ci scambiamo uno sguardo soddisfatto, ora c’è solo neve, liberiamo la sosta, accorciamo la corda e di conserva proseguiamo lungo un pendio che a stento raggiunge i 50°, la neve è ottima, calciando si riesce a far penetrare il

piede per metà, e lasciamo così inutilizzati nello zaino i ramponi.

Proseguiamo alternandoci al comando, ad un certo punto guardando in basso notiamo che alcune di persone sulla traversata bassa ci hanno visto e ci stanno seguendo con lo sguardo, certo che da sotto sembra più ripido, dopo uno scambio di battute, riprendiamo la salita fino ad una strozzatura, dove la poca neve rimasta ci regala qualche decina di metri sui 60° e oltre, è l’ultima neve che pestiamo, ora solo un ripido prato ci separa dalla cresta, che raggiungiamo in prossimità della quota 1950 (tav. (IGM 1/25.000), siamo stanchi ma soddisfatti, almeno per noi questa via non è più un mistero e poco conta se altri sono già saliti prima di noi.

La discesa.

Ci avviamo lungo la cresta anche se non sappiamo bene dove va a finire, la cartina non dà molti dubbi, dovremmo congiungerci alla cresta Sinigaglia poco prima del canalino Federazione, ma non sappiamo se troveremo ostacoli e di quale tipo.

Oramai sono le due del pomeriggio, la neve si è fatta molle e sfondiamo fino al ginocchio, così dopo poche centinaia di metri ci interroghiamo su quanto vale la pena salire ad ogni costo in quelle condizioni, discutiamo un po’ e alla fine decidiamo di scendere dal sentiero delle rive di corda poiché, almeno quello è privo di neve e non presenta alcuna difficoltà.

Così ci volgiamo al ritorno certi di ritornare, magari in inverno, per tentare gli altri canali che solcano questo versante così poco frequentato da essere privo totalmente dei luoghi e riferimenti dai nomi a volte pittoreschi, che invece altrove questa stessa montagna possiede così in abbondanza.

In breve tempo raggiungiamo la traversata bassa e attraversando il Gerone troviamo un accesso più comodo al canale, meglio così, almeno la prossima volta non perderemo tanto tempo a cercare la traccia, ci avviamo verso la macchina, sui prati prima della stanga, una splendida fioritura di crochi ci riporta alla primavera oramai sbocciata, non lo possiamo sapere ma passeranno anni prima che qualcuno di poi possa ritornare su questi pendii.

Inverno 2001

Sono passati un pò di anni da quel 1992, Francesco non viene più in montagna e io stesso rubo al tempo che dovrei dedicare alla mia famiglia, le giornate per le poche uscite che riesco a fare con un gruppo di amici.

Nel frattempo è uscita la nuova guida del C.A.I. sulle Grigne ma invece di svelare il mistero, questa contibuiva ad infittirlo ulteriormente, infatti, è riportata la sola relazione di un non ben precisato Canale Est alla cima principale e le scarne mote non sembrano combaciare con la salita da noi effettuata, Infatti mentre non è citato il superamento del masso, la relazione parla di facili roccette in uscita e non dice esattamente dove si esca, mentre noi uscimmo su prato e in prossimità di un punto trigonometrico riportato sulle carte ufficiali.

È un pò che ne parliamo e finalmente quest’anno sembra esserci la neve giusta per ripetere la salita, così un sabato pomeriggio mi trovo con Pierangelo (Pier) presso un noto negozio di articoli sportivi, scambiamo quattro parole e alla fine ci diamo per impegno che la domenica successiva andremo a salire il fantomatico canale EST.

Così nella settimana successiva ci accordiamo, e domenica 18 febbraio, ci troviamo ben in sette a partire per un’altra avventura.

Questa volta fa più freddo e il sentiero della traversata bassa è coperto di neve indurita dal gelo, questo ci lascia ben sperare sulle condizioni in cui potremo trovare la via.

Raggiungiamo in fretta il gerone e il punto in cui lasciamo il sentiero per raggiungere l’attacco, ancora una volta mi aggiro fra i mughi che, con la neve formano un vero labirinto nel quale si fatica un pò a trovare la linea di salita, così aggirando la vegetazione mi trovo un’altra volta davanti a qualcosa che riporta al passato, sotto ad un masso in un punto che la neve non è riuscita a ricoprire riconosco al volo i segni di una filettatura arrugginita, allungo la mano e mi ritrovo con un’altra scheggia di proiettile, la mostro ai miei amici giusto il tempo per ricordare i fatti che qui avvennero più di 50 anni fa, poi subito la metto in tasca e riparto per la nostra meta.

Una vecchia conoscenza

La neve è perfetta, ci fermiamo all’imboccatura del canale per legarci e calzare i ramponi, giusto il tempo di scattare qualche foto e Pier, galvanizzato dalla salita parte come un treno, per tutta la giornata lo richiamerò all’ordine perché non riesco a stargli dietro, e così in un attimo ci ritroviamo sotto al masso, giusto il tempo per costatare che il passaggio è completamente ricoperto da un sottile spessore di ghiaccio.

Riparte subito all’attacco e, solo quando lo vedo in difficoltà, mi accorgo che alle due piccozze ha collegato i cordini che si usano sulle cascate e che ora gli danno fastidio, non ci avevo notato altrimenti glieli avrei fatti togliere.

Comunque anche se con un pò di difficoltà riesce ad alzarsi nella nicchia, ora c’è da superare la sporgenza e il ghiaccio anche se poco, aiuta a stabilizzarsi sui ramponi, dal momento che siamo in sette, per sveltire le cose decidiamo di utilizzare la nostra corda come fissa una volta che Pier avrà attrezzato una sosta sicura, mentre io salirò per ultimo a recuperare il materiale lasciato.

Salgono tutti, e quando tocca a me il ghiaccio rimasto è veramente poco, comunque riesco a superare il passaggio abbastanza agevolmente, e in un attimo sono in sosta assieme ai miei compagni.

La cresta Nordest

Non mi lasciano nemmeno il tempo di tirare il fiato che subito si riparte, evidentemente il nostro Pier non sopporta l’idea di avere altri davanti e così si rimette a correre, sarà contento solo quando li avrà nuovamente superati tutti.

Così senza particolari problemi raggiungiamo la strozzatura, 60/ 65 gradi con una neve splendida, circondati da una natura selvaggia e, cosa inusuale per le nostre montagne, senza altre tracce umane.

Più o meno brevemente raggiungiamo il colletto a quota 1950, e sempre senza riprendere fiato sono letteralmente trascinato lungo la cresta, perché nel frattempo, Elio e Cristina sono passati avanti e per il maschilismo di Pier, essere superato da una donna è l’umiliazione peggiore che possa subire.

La cresta è stupenda, inizia con una schiena di mulo per poi diventare sempre più sottile, saliamo per qualche centinaio di metri, poi, due dei nostri rinunciano a completare la salita e si incamminano lungo la via di discesa, sono almeno tre ore che siamo in marcia, mi accorgo che non ho ancora bevuto e ho le gambe che cominciano a reclamare, inoltre devo anche contrastare il traino della corda, dal momento che il mio “socio” davanti non accenna a ridurre l’andatura.

Ad un certo punto non ce la faccio più, tiro giù i santi del paradiso e mi slego, dal momento che non ce la faccio a sostenere il ritmo proseguirò da solo con il mio passo.

La mia incazzatura deve aver sortito l’effetto desiderato, ora ad un piccolo ripiano si fermano Elio e Cristina dando così modo a Pier e Stefano di raggiungerli: poco dopo arrivo anch’io, avendo nel frattempo raffreddato l’animo, non è proprio il caso di prendersela, dal momento che in passato ero io quello che trascinava i compagni di cordata! Beviamo un pò e Pier forse per farsi perdonare mi dà un pò di fichi secchi, ottimo rimedio per i crampi che si erano presentati prima che mi slegassi.

Ci guardiamo attorno e non vediamo nessuno, a sinistra riconosciamo i Magnaghi e la cresta Sinigaglia che, come previsto si raccorda in alto con il nostro itinerario, sotto i nostri piedi si apre il pendio del versante est, che da qui è solcato da diversi canali sconosciuti.

Ad un tratto scorgiamo in prossimità del salto del gatto, altri due alpinisti: anche loro ci osservano, forse sono stupiti di vedere gente su questa cresta così bella e senza nome, oramai manca poco alla vetta, dietro alle quinte formate da cornici spettacolari riconosciamo la sagoma del bivacco Ferrario, raggiungiamo la traccia della cresta sinigaglia e, poco dopo il canalino Federazione, superiamo gli ultimi salti attrezzati e siamo in vetta, sono le 14e30, ai nostri piedi come una coperta di soffice bambagia si stende immenso un mare di nubi. L’emozione è forte e traspare dai nostri occhi non diciamo nulla assorbiti come siamo dallo spettacolo che ci offre la natura, e così in silenzio ci incamminiamo verso la discesa e il ritorno a casa.

 

 

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3 commenti »

  1. Naturalmente, non è un racconto di fantasia, ma la storia di una ascensione alpinistica, desiderata e portata a compimento. E’ anche la storia di un gruppo di amici che trovano ancora il desiderio di trovare nuove avventure, anche a due passi da casa in luoghi dove la storia, recente e passata, si svela a chi sa guardarsi attorno con curiosità.

  2. Ciao Leonardo!
    Il tuo racconto è davvero molto avvincente e a me, creatura essenzialmente marina (sono di Rimini), è riuscito a trasmettere emozioni completamente nuove.
    Mi piace molto l’incipit, quello sguardo che si sofferma su una sottile e lontana linea bianca, che evoca mistero e desiderio di scoperta. E può essere anche la linea che separa un desiderio dalla forza di riuscire a realizzarlo. Complimenti, per la scrittura e anche per l’impresa!

  3. Grazie Michela !
    hai colto nel segno, il richiamo alla linea, pur essendo reale, rappresenta il confine tra il desiderio e la possibilità di realizzarlo, non importa quando, lei è sempre lì, più o meno visibile, come i nostri limiti, che cessano di essere tali quando riusciamo a superarli.

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