Premio Racconti nella Rete 2011 “Il biglietto” di Michela Guidi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Comparve sulla prima carrozza dell’interregionale Rimini-Bologna un giorno di febbraio neanche troppo grigio e nebbioso. Mollemente adagiato su due sedili verdi cosparsi di macchie, tiepido e ancora odoroso di sonno, sembrava guardare con stupore il mattino che si srotolava fuori dal finestrino in una sequenza di rapide istantanee, facendosi più chiaro ad ogni respiro.
I pendolari, saliti alla spicciolata alla stazione di Rimini, si erano distribuiti sulle sette carrozze secondo lo schema abituale: il gruppetto di universitari nella seconda e nella terza, gli impiegati di banca e gli uomini d’affari nella quarta, gli studenti delle superiori nella quinta e nella sesta, i ritardatari (variegata mescolanza delle precedenti categorie) nell’ultima.
La prima, almeno all’inizio del percorso, rimaneva quasi sempre vuota. Forse perché era la meno sicura nella malaugurata ipotesi di uno scontro frontale. O forse perché, per qualche insondabile motivo, era immancabilmente la più fredda di tutte. Per questo non si accorsero in tempo di lui.
“Mamma, perché lì c’è un pigiama?” chiese la bambina, sei anni al massimo e zainetto rosso in grembo, alla madre seduta accanto a lei, adeguatamente bionda ed impellicciata. Erano le uniche due presenze nella carrozza. Almeno in apparenza.
La donna, allarmata, si accorse che effettivamente i due sedili dall’altra parte dello stretto corridoio erano interamente occupati da un pigiama da uomo blu in cotone felpato, con maglia girocollo a rombetti grigi e pantalone tinta unita con elastico in vita. Uno dei peggiori in assoluto, della tipologia “regalo di suocera a corto di idee”.
“Non ti muovere. Vado subito a chiamare il controllore!” disse alla figlia, prima di sparire nella seconda carrozza.
La bambina ed il pigiama si osservarono in silenzio per qualche secondo.
“Sei morbido!” gli disse lei, sfiorandolo lievemente con la manina. “Sei salito sul treno per farti un bel viaggetto, vero? I pigiami devono avere una vita molto noiosa, sempre prigionieri nel letto senza poter mai uscire di casa…”.
Il pigiama si gonfiò impercettibilmente e le pieghe del tessuto parvero disporsi in un sorriso.
“Lo sai che una volta la vecchina che abita vicino a me è uscita in camicia da notte e l’hanno riportata a casa i poliziotti? È un’ingiustizia! Anche i pigiami e le camicie devono poter passeggiare all’aria aperta!”.
Il pigiama annuì con convinzione.
“Comunque io mi chiamo Gaia. Sto andando a Bologna con la mia mamma a trovare la zia Francesca. È la prima volta che prendo il treno. Guarda, ho anche il biglietto!” continuò allegramente. “Tu non ce l’hai?”.
Il pigiama sollevò i polsini delle maniche di qualche millimetro.
“Ho capito. L’hai perso. Guarda che se ti scopre il signore col berretto ti sgrida! Attento, sta arrivando!”.
“Eccolo!” stava dicendo sua madre, visibilmente alterata, al controllore alto e magro dall’aria formale. “È incredibile. Non si può viaggiare tranquilli nemmeno su un interregionale!”.
“Non si preoccupi, signora. Ci penso io” rispose il controllore, inforcando gli occhiali e apostrofando l’insolito viaggiatore con un perentorio: “Favorisca il biglietto, prego!”.
Nessun cenno di risposta.
“La prego di mostrarmi immediatamente il suo titolo di trasporto!” incalzò, tamburellando le dita sul blocchetto delle multe. Silenzio.
“Il biglietto ce l’aveva, ma l’ha perso!” intervenne Gaia. “Posso prestargli il mio, ma non si arrabbi, per favore…”.
“Tu stai zitta Gaia!” la rimproverò la mamma. “Il signore sta solo facendo il suo dovere. E poi non vorrai avere vicino una creatura del genere per tutto il tempo, vero? Cosa scriviamo stasera nel quaderno dei ricordi: Oggi ho fatto il mio primo viaggio in treno in compagnia di un pigiama? Non esiste proprio!”.
La bambina si sedette, imbronciata, e guardò la scena di sottecchi. Il controllore aveva iniziato a strapazzare la maglia, sbatacchiandola con malagrazia contro i sedili, e la mamma annuiva con soddisfazione. Fu in quel momento che iniziò a percepire il pericolo.
“Adesso chiamo la Polfer” stava dicendo l’uomo, stringendo per il collo il malcapitato, tristemente penzolante come un impiccato “così ci pensano loro a darti una raddrizzata!”.
Fuori dal finestrino il buio cominciò a spingere indietro il mattino e a risedersi pesantemente sul mondo, sempre più scuro ad ogni sferragliar di ruote. All’interno della carrozza l’aria si era fatta gelida.
“Fra due minuti arriviamo a Cesena. I poliziotti sono già lì”. Fu l’ultima cosa che disse il controllore, prima di stramazzare a terra come un sacco di stracci.
I viaggiatori che aspettavano alla stazione di Cesena si videro sfrecciare davanti il convoglio a tutta velocità e rimasero a fissarsi l’un l’altro stupiti, avvolti in un turbine di foglie secche.
Gaia fu trascinata dalla mamma nella seconda carrozza.
“Aiuto!Aiuto! Nella prima carrozza c’è un pigiama assassino!” ululò la donna, dando colpi di pelliccia a destra e a manca. “Quel maledetto ha appena ucciso il controllore ed ora sta venendo verso di noi!”.
Gli studenti universitari alzarono le teste dai loro appunti e la fissarono terrorizzati. Un ragazzo pallido dalla barbetta incolta depose sul sedile la materia di studio e, in un supremo atto di coraggio, si avvicinò alla porta scorrevole per dare una sbirciatina nell’altra carrozza.
Il controllore era steso a terra, il berretto rotolato almeno un metro più avanti. Accanto a lui, un informe pigiama da uomo modello classico, le maniche curiosamente disposte nel gesto dell’ombrello.
“Non andare di là” gli sussurrò Gaia, tirandolo per la maglia. “Il pigiama si è arrabbiato!”.
“Grazie, piccola. Ma quel signore ha bisogno di aiuto. Devo fare qualcosa”. Afferrò la maniglia, che sembrava completamente bloccata. E all’improvviso vide le maniche del pigiama appoggiarsi al vetro, a meno di due centimetri dal suo naso. Da quel momento la situazione precipitò.
“Fuori di qui! Subito!” urlò lo studente, precedendo i compagni nella terza carrozza. “Ragazzi, un pigiama a piede libero sta venendo in questa direzione! Correte immediatamente in fondo al treno!”.
“Lo sapevo! Questa mattina dovevo rimanere a letto a lucidare i miei argenti!” urlò una mora ricciolina con il piercing al naso, scoppiando a piangere teatralmente.
“Non è possibile! Ho studiato giorno e notte per l’esame di glottologia indoeuropea comparata ed ora rischio di non arrivare in tempo per colpa di un indumento ignorante ed egocentrico!” le fece eco un mingherlino lentigginoso, emergendo da un tomo di almeno duemila pagine. “Ma ora lo sistemo io!”. Si diresse deciso verso la porta scorrevole, ma non riuscì a forzarla. Dal vetro però scorse chiaramente l’ambiente vuoto cosparso di fogli d’appunti svolazzanti. E, allungata su un sedile, una sagoma blu che lo fissava con aria di scherno, coi polsini appoggiati ai fianchi a indicare senza possibilità di equivoco la zona inguinale.
Gli impiegati di banca e gli uomini d’affari scossero la testa con disapprovazione all’irrompere dell’agitato gruppo di studenti, con mamma isterica e figlioletta a seguito. “Pur di non pagare il biglietto emigrano a branchi appena il controllore si avvicina!” pensarono praticamente all’unisono, prima di tornare ai loro quotidiani economico-finanziari.
“Dottor Pagamazzette volevo avvisarla che arriverò in ritardo alla riunione. Il treno inspiegabilmente non si è fermato a Faenza!” stava gracidando al cellulare un signore panciuto, il collo taurino strizzato dalla cravatta color pulce.
“Signori, vi prego di seguirmi senza esitazioni nelle prossime carrozze!” li avvertì il ragazzo in tono perentorio. “Un pigiama da uomo ha preso il controllo del treno. Siamo in pericolo!”.
“Non dovevo tradire mia moglie con quella cassiera di venticinque anni!” pensò il bancario lampadato sulla sessantina, portandosi la mano al petto. “Questa è la giusta punizione per i miei peccati! Ostaggio di un pigiama da notte!”.
In pochi minuti tutti i passeggeri, compresi gli studenti delle superiori della quinta e della sesta carrozza, con scarpa slacciata d’ordinanza e mutanda bene in vista, fluirono nell’ultimo vagone, quello dei ritardatari. Si incastrarono riempiendo alla perfezione ogni minimo spazio vuoto, in maniera così compatta che qualsiasi emissione corporea da stress emotivo sarebbe stata impossibile. Il lento strisciare del pigiama, sempre più distinguibile di minuto in minuto, ormai sovrastava lo sferragliare del treno.
“Gaia, amore, dove sei?”. Il grido accorato della donna lacerò le poche molecole di ossigeno ancora disponibili. Tutti abbassarono mestamente lo sguardo, cercando invano di guardarsi i piedi.
Alla stazione di Bologna erano schierate tutte le forze di polizia della Provincia e alcuni contingenti speciali dell’Onu, in attesa. Era stata costruita a tempo di record anche una mega-barriera in gommapiuma ultrarinforzata, per bloccare definitivamente la folle corsa del convoglio.
Il treno entrò in stazione così silenzioso che quasi non se ne accorsero e si fermò, come sempre, al binario uno. La porta della prima carrozza si aprì e ne uscì una bambina sui sei anni, con in braccio un pigiama blu in cotone felpato.
“Cosa chiede l’indumento criminale in cambio della liberazione degli ostaggi?” bofonchiò al megafono il capo della polizia.
“Un biglietto di seconda classe per Venezia” rispose prontamente Gaia.
Nel giro di due minuti fu predisposto uno scintillante biglietto di primissima classe con filigrana d’oro puro e tramezzini al caviale inclusi nel prezzo.
Il pigiama lo prese con garbo, se lo infilò in un polsino e strisciò via lungo la banchina, finché divenne solo un puntino blu contro il cielo di febbraio.
Un noir surrealista. Il pigiama vendicatore degli allezziti si allea col candore di una bambina per sconfiggere gli ipocriti. Vince chi sa usare l’immaginazione. Brava Michela.
Molto divertente e ben costruito. La carrellata dei pendolari, con le loro piccole fobie, è impietosamente realistica. Brava.
Originale e ben scritto!
Delizioso e ricercato. Complimenti.