Racconti nella Rete 2009 “Non basta niente” di Silvia Ardini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Bianca passò la notte al computer con l’indice sollevato sul mouse, indecisa se premere invio oppure spegnere tutto. Poche ore prima stava sul balcone con la solita tazza di tisana al biancospino. Viveva in una torre di dieci piani nella periferia milanese. Nessun principe era ancora arrivato a liberarla e il suo dirimpettaio, dal cui appartamento la divideva solo una piccola strada pedonale, aveva smesso di fumare e non usciva più sul terrazzino ogni ora. Un altro appuntamento mancato. In un passato abbastanza recente e circoscritto a qualche anno soltanto, Bianca aveva saputo divertirsi. In quella parentesi della sua vita, che era stata subito prima da brava ragazza un po’ secchiona e subito dopo da giovane donna infelice, la psicologia aveva perso gradualmente il fascino che l’aveva fatta iscrivere all’università ed era cresciuto quello esercitato dal denaro. Aveva risposto a un annuncio di lavoro dicendosi che così si pagava la retta. Poi erano arrivate spese sempre più urgenti: l’auto per diventare indipendente, l’affitto per essere libera, i viaggi, le sigarette, le cene, le feste. E quel lavoro provvisorio le era rimasto appiccicato. Quella sera sul balcone pensava ad Antonio, che aveva frequentato per un po’ durante la fase brava ragazza e prima della parentesi. Aveva chiuso lei la storia con il “ragioniereimpiegatonell’aziendadelpadre” che era diventato Antonio dopo il diploma e una breve esperienza a medicina. Proprio quando Bianca si era iscritta a psicologia con la prospettiva di salvare la mente dell’umanità, lui aveva abdicato alla missione di guarirne il corpo, assecondando il suo spirito pratico e andando ad amministrare denari, esperto di numeri e poco altro. Qualche mese ancora e anche Bianca dimenticò i suoi buoni propositi e si fece coinvolgere nel marasma di notti da consumare veloci con la compagnia giusta, che non prevedeva il banale Antonio.
2.
Antonio stava da un’altra parte di mondo, sdraiato su una brandina, in mutande e senza canottiera con il petto bianco e glabro e la pancia piccola ma molliccia, un budino al latte che sembrava incollato per sbaglio a un resto del corpo di ossa e pelle sottile. Avrebbe dovuto dormire perché presto incominciava una nuova giornata di lavoro e sarebbe crollato ancora dopo cena con la testa sul tavolo apparecchiato. Da quando era partito per l’ultima missione succedeva così: si addormentava in quella posizione e, quando si svegliava, si trascinava sulla branda e continuava un sonno pesante e senza sogni ancora per qualche ora, per poi riaprire gli occhi definitivamente verso le quattro del mattino. Rimaneva con lo sguardo fisso sulla crepa nel soffitto a forma di stella cometa fallita, senza nessuna lieta novella da annunciare. Da molti anni aveva la sensazione che due occhi vigili lo seguissero ovunque: stavano lì, corrucciati, pronti a giudicare il suo operato. Si sentiva sicuro solo delle mancanze, delle scelte nate dalle rinunce, del senso di non appartenenza a nessuna casa. Quando, a tratti, si affacciava un’esaltata e insana fiducia in se stesso, come quando aveva deciso di licenziarsi dall’azienda del padre, prendere il diploma da infermiere e partire con un’associazione umanitaria, era perché quegli occhi si erano per un attimo assopiti, per acquisire nuove forze. Alle sei si alzava e andava a lavorare, ogni giorno convinto di non farcela, che si sarebbe addormentato su una barella, se solo ce ne fosse stata una libera.
3.
– Pensi ancora a quel cazzone?
Gloria era diretta. Bianca si pentì subito, la mattina dopo, di essersi confidata con la collega e le venne in mente che quando si soffre è il caso di tenerselo per sé.
– Non è che proprio ci penso.
– Bisogna che ti rimetti nel giro e ricominci a frequentare i posti giusti. Ti aiuto io.
Diretta e propensa al monologo, più che al dialogo, che mentre Bianca parlava, lei sapeva già cosa doveva dire dopo, fedele alla logica di un argomentare che non ammetteva interferenze. Bianca inorridì: decise che si sarebbe licenziata e avrebbe cambiato continente piuttosto che rimettersi nel giro con Gloria. Vedeva le sue unghie rosse che si davano da fare con i tasti del cellulare, mentre le parlava senza mai guardarla e si ricordò che a vent’anni era stato divertente avere amiche così. La pausa caffè era finita, si infilarono le cuffiette e tornarono in postazione. Gloria non le aveva chiesto che cosa le mancasse di lui e così Bianca non aveva dovuto trovare le parole giuste per dirle che era il suo modo speciale di prendersi cura di lei. Antonio non era un sentimentale, però, quando passavano sulla provinciale che portava verso casa sua, nella campagna appena fuori Milano, e capitava di sorpassare la carcassa di un animale schiacciato da un auto in corsa, molto prima del loro passaggio, e lei faceva quel gemito, lui le diceva – era solo uno straccio – e poi – devi cambiare gli occhiali – Bianca sentiva una felicità silenziosa. Avrebbe desiderato riprovarla, ma allora non le era bastata: aveva, anzi, pensato che lei e Antonio fossero troppo diversi, che non bastava niente. Per anni era stata una giustificazione coerente al suo gesto, che le avrebbe, altrimenti, suscitato qualche rimorso. Per anni, fino al pomeriggio del giorno prima quando, camminando in pieno centro, si era fermata alla vetrina di un negozio di scarpe. Ne usciva una donna tonda vestita di un rosa brillante che non sembrava aver scelto. Trascinava una borsa con le rotelle per ogni mano. Cariche, stracariche di oggetti. Una senzatetto, di quelle che viaggiano con la propria vita appresso, stipata in borse sempre troppo piccole. Intanto arrivava un’altra donna, pelliccia lunga fino ai piedi, fresca di parrucchiere, che apostrofava l’altra chiamandola “carissima”. L’abbracciava, la baciava sulle guance screpolate lasciandovi un’idea di rossetto e si fermava a chiacchierare con lei, mentre Bianca le superava incredula. Fu a quel punto che si sentì sciocca per essersi preoccupata in passato della diversità che, se all’inizio attrae, alla fine disunisce. Si chiese quali storie, percorsi e affinità sottili e, al tempo stesso, essenziali ci fossero dietro a quella coppia così strana e pensò che la vita offre inverosimili possibilità e che bisogna farsele bastare per un po’, fino a che si possono guardare per intero e scoprirne il senso.
4.
– E’ arrivata una mail per te. Una certa Bianca.
Aveva appena richiuso gli occhi ed era in quella fase di cedimento per cui avrebbe per la prima volta dormito di nuovo, quella notte. Non fosse stato per Marcello e il suo tempismo e il volume della sua voce e la sua insonnia. Aveva la passione per internet e ci passava le notti. Antonio gli aveva dato la sua password chiedendogli di scaricare la posta ogni tanto, giusto per non perdere i contatti con sua sorella, l’ultima parte di famiglia che gli era rimasta in Italia. Per tre mesi erano arrivate solo offerte di carriere lampo e super remunerate nel commercio di viagra. Si era anche dimenticato di aver aperto il suo profilo in un social forum; concretamente l’aveva fatto sua sorella.
– Chi è?
– Chi?
– ‘Sta Bianca.
– Nessuno.
Come se non fosse stato lui a conoscere Bianca, non quell’Antonio disteso nudo sulla brandina. Si rassegnò alla sveglia anticipata e cercò di ricordare la sua faccia, ma rivide solo pochissimi tratti. Si alzò e scese da basso. Una volta connesso lesse subito le poche righe di messaggio che si limitavano ad accertare che fosse lui quell’Antonio Donati, nella foto troppo piccola e a chiedere notizie sul suo stato di salute. La risposta fu immediata: “Ciao! Ora sono fuori Milano. Torno il mese prossimo”. Seguiva il suo numero di cellulare.
5.
Peccato che Bianca non fosse un’esperta di posta elettronica, altrimenti una volta a casa si sarebbe accorta subito di una mail finita per sbaglio tra gli spam. Avrebbe placato così la sua ansia di aver fatto un errore, che nemmeno si ricordava o che stava ridendo di lei. Non gli scrisse di nuovo e non ne seppe più nulla. Incominciò a soffrire di un fastidio allo stomaco che l’accompagnò per molto tempo e che i medici non seppero spiegare. Un peso per cui non esistevano farmaci specifici e non bastava una dieta adeguata.
6.
Antonio ebbe a che fare con flebo, siringhe, sangue, medicine, disinfettanti, per tutto il giorno e per tutti i giorni di quell’ultimo mese di missione. Aiutò a salvare vite, curò malattie, vide molti morire. Non fu più triste né più felice. Tornò a Milano e ripartì. A Bianca pensò ancora qualche volta e poi se ne dimenticò, senza chiedersi spiegazioni dell’improvvisata e del suo tirarsi indietro, che tanto faceva lo stesso. Non aggiornò più il suo profilo nel social forum e scordò la password della posta elettronica, cosa che fece dispiacere a sua sorella ma non a lui, che non gli bastava il tempo, preso com’era dal lavoro da infermiere e dal sonno che lo divorava a tratti.