“Nero, nero, profondamente nero…” di Giulia Penzo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011La prima volta che la vide…
Era stata una giornata noiosissima, con mille cose da fare. Pioveva, doveva raggiungere l’aeroporto ma la tangenziale di Mestre era bloccata da un incidente stradale e si stava rassegnando ad una partenza posticipata di qualche ora.
Uscì al primo svincolo e cercò la stazione ferroviaria.
Trovò velocemente parcheggio e corse per fare il biglietto e prendere il treno.
Fu lì che la vide, sulla scalinata della stazione, nel buio del crepuscolo notturno. E incrociò il suo sguardo, i suoi occhi, occhi neri, misteriosi e profondi, contornati da un intenso kajal nero.
Si fermò d’istinto, avrebbe voluto dirle qualcosa, non gli importava più della partenza, ma in quel momento un’altra donna raggiungeva la ragazza e se ne andavano insieme, voltandogli le spalle.
Si accorse degli stivaletti rossi che le accarezzavano i polpacci sottili e affusolati nonostante le calze di lana pesante di mille righe arcobaleno.
Indossava un cappello di lana nera da cui uscivano ciuffi di capelli biondi. Non gli era mai capitato di fermarsi a guardare una donna.
Certo, qualche sbirciata a decolleté traboccanti, a gambe chilometriche o a chiome fluenti, ma una donna… non ci pensava proprio in quel momento, con tutto il lavoro da progettare come informatico. Lo sguardo di quella ragazza chiedeva qualcosa, ne era rimasto incantato.
Deluso, andò in biglietteria e decise di partire con il primo treno a disposizione.
La seconda volta…
Erano ormai passati alcuni mesi, si era dimenticato di quella ragazza e si trovava con alcuni colleghi di lavoro. Entrò in bar e la vide, seduta al tavolino, insieme ad un’altra donna. La riconobbe subito, il suo sguardo era sempre quello: nero, nero, profondamente nero, ed era uno sguardo carico d’ira. Stava litigando con la donna che le era seduta di fronte, di questo ne era sicuro, anche se le voci erano bisbigli incomprensibili agli altri. E probabilmente la donna era la stessa che l’accompagnava la volta precedente.
Si fermò vicino al suo tavolino. Tanto insolito quel gesto che la ragazza tirò su lo sguardo e lo fissò con aria interrogativa. Rimase un attimo immobile, tuffandosi dentro quel nero, poi, come se si fosse sbagliato e timoroso, abbassò gli occhi e si diresse verso il bancone insieme con gli amici.
– Marco, che hai? La conosci? – gli chiese un amico che lo aveva seguito e aveva notato il suo imbarazzo.
– No, no, non la conosco, mi sembrava una tipa che avevo incontrato tempo fa… – rispose con finta naturalezza.
– A me sembra una puttana – disse il suo amico con aria scherzosa.
– Da dove lo capisci?
– Be’, una truccata in quel modo, vestita così!
In effetti, indossava un top e una minigonna nera, con calze coprenti e scarpe dal tacco infinito, ma il suo sguardo, in fondo a quel nero, era di una purezza cristallina. I capelli lisci biondi risaltavano impudenti tra quel nero.
La vedeva gesticolare, mentre la donna che le era seduta di fronte se ne stava impassibile a guardarla con amore, sembrava cercare compassione. Aveva all’incirca una quarantina d’anni, molto bella, un po’ trasandata nell’abbigliamento, senz’altro fuori moda.
Poi improvvisamente quella ragazza si alzò, andò verso il bancone, buttò con stizza qualche moneta vicino alla cassa e incrociò nuovamente il suo sguardo interrogativo e allora lo sfidò con voce alterata: – Che cazzo vuoi?
Non ebbe nemmeno il tempo di risponderle che se n’era già uscita dal locale.
– Che ti avevo detto? Quella è una che pippa… – sorrise divertito l’amico.
Ma non lo ascoltava, lui era felice, per un attimo aveva goduto della sua attenzione e, ne era sicuro, anche lei aveva capito che tra loro c’era un’alchimia particolare, qualcosa che sfuggiva ad una sua definizione.
La terza volta…
Pioveva a dirotto, una pioggia incessante che lo deprimeva. I server bloccati delle varie aziende a causa degli sbalzi di tensione lo avevano portato a numerosi controlli improvvisi in giro per la città. Si sentiva certe volte come un cyberobinhood, avrebbe potuto combinare un bel casino, magari in qualche webfarm piena di conti segreti archiviati sapientemente.
Si era infilato in macchina e sulla strada l’aveva vista che camminava spedita, incurante della pioggia.
Come al solito era vestita di nero. La pioggia cadeva incessante e mentre cercava di avvicinarsi con la macchina al marciapiede, la carreggiata ora sprofondava in un sottopassaggio. Quando risalì, la rivide.
Eccola!
Non fece nemmeno in tempo ad accostare che la ragazza già si era dileguata, forse entrando dentro uno di quegli innumerevoli portoni: trovarla sarebbe stata un’impresa impossibile.
Maledizione!
Imprecò contro quella giornata, il tempo, il destino e tutto quello che gli rimaneva.
La ragazza prima aprire il portone e di entrare si guardò alle spalle, per un attimo pensò di essere osservata da qualcuno. Ormai aveva sempre paura di trovarsela davanti, sua madre. La seguiva dappertutto, ma non voleva tornare a casa, ormai aveva fatto la sua scelta, anche se sbagliata. Salì le scale fino all’appartamento, dove aveva fissato l’incontro. L’uomo che le aprì era un grassone già in mutande…
Marco tornò a casa. Si sistemò davanti al pc con una buona tazza di latte caldo e qualche biscotto e cominciò a scrivere in quel nuovo sito, quello degli incontri casuali. L’aveva scovato proprio su wikipedia, un nuovo progetto di incontri e interscambio. Bastava affiggere il proprio messaggio in questa bacheca virtuale e poi si doveva sperare che il messaggio venisse letto dalla persona giusta.
Si registrò e compilò il modulo, inserendo i propri dati anagrafici e poi lasciò il messaggio:
I nostri occhi si sono incrociati all’uscita della stazione ferroviaria a Mestre il giorno 11 febbraio 2010 alle h. 17.30. In quel preciso momento avrei voluto dirti qualcosa, ma te ne sei andata insieme con un’altra donna, che probabilmente stavi aspettando. Tu indossavi stivaletti rossi e calze a righe arcobaleno, e un piccolo cappello di lana nera in testa… Ci siamo incontrati in altre due occasioni.
In un bar in centro a Mestre: maggio 2010. Eri seduta ad un tavolino insieme ad un’altra donna, di circa quarant’anni. Eri vestita di nero; mi hai anche parlato e poi sei uscita di corsa dal bar.
L’ultima volta ti ho visto vicino al sottopassaggio che sbuca in via Dante.
Mi piacerebbe incontrarti di nuovo, anche solo per prenderci un caffè.
Sono alto, con la barba, occhi azzurri, e insieme a me porto sempre un’insolita borsa rosa per il pc.
Sono solo.
Mi chiamo Marco, ti aspetto…
Chiuse il pc. Uno che ci lavora nel web, ne conosce la potenza delle connessioni. Funziona un po’ come il nostro cervello, tanti piccoli neuroni che si attivano e formano sempre nuovi e insoliti collegamenti.
Prima o poi lei, ne era sicuro, avrebbe risposto al suo messaggio.
Anna tornò a casa. Anche quella giornata era passata. Con chi doveva prendersela per quella vita di schifo? Con sua madre, tossica, alcolista, depressa, che fin da piccola l’aveva lasciata a parenti, genitori in affido, case famiglia?
Dopo quindici anni di abbandoni l’aveva cercata. In segreteria le lasciava i soliti messaggi: “Torniamo insieme, riproviamo… amiche, almeno.”
Mamma, non ti credo più! Ho vent’anni ormai e con qualcuno me la devo prendere!, le gridava.
Ma l’assistente sociale insisteva. La psicologa insisteva. Tutti insistevano. Aveva deciso di resistere, ora da maggiorenne poteva decidere della sua vita, per una volta.
Prese una birra dal frigorifero e accese il pc.
Fissava gli incontri in rete, ormai aveva i siti giusti dove lasciare il proprio profilo.
Cercava uno di questi quando incappò in un’insolita pubblicità di un progetto. Entrò nel sito: bisognava lasciare un messaggio nella bacheca virtuale.
Fu così che lo vide. Sorrise, felice. Aveva lasciato una foto e un messaggio per lei.
Se lo ricordava, alla stazione, al bar e persino in quell’insolita giornata di pioggia, con la sensazione di essere seguita.
Rispose al messaggio di Marco:
Mi chiamo Anna…
Scritto bene. Una favola, una bella favola contemporanea e chissà quanti vorrebbero che qualcuno gli salvasse la vita in un modo così semplice…
I miracoli direi che hanno aggiornato i loro mezzi, no?
Grazie, gentilissima. Direi che si sono moltiplicate le possibilità di incontro e d’altra parte la necessità dell’uomo di entrare in relazione con l’altro, spesso lo ha spinto a sempre nuove ricerche. Ci mettiamo in viaggio verso territori sconosciuti, percorriamo strade impervie per scoprire nuovi paesaggi e persone diverse. L’uomo in solitudine non esiste e non resiste.
Buona Pasqua
Ed ecco anche qui ho trovata la via. Un’altra strada in questo mondo fatto nero su bianco, di tocchi freddi che scaldano, ed ecco ritrovarne le pecurialità nei risvolti di un racconto tuo che non smentisce le tue potenzialità, ed anzi le esalta, contribuendo tu ad arricchirlo di emozioni e sensazioni.
Volevo raccontare la tristezza della solitudine, in questo vortice di movimenti umani.
Grazie Sergio. :))
La tua scrittura è piena di grazia, emoziona anche alla seconda e terza lettura, penso anche alle successive… Contiene un dono misterioso che cattura il lettore, lo incanta.
Allora vorresti essere Marco, perchè tu ingeneri ardore, tenerezza, passione per Anna, che riempi del fascino degli ultimi, degli esclusi, dei cristi, o meglio, delle criste…