Premio Racconti nella Rete 2011 “E par che dorma” di Dirce Scarpello
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011– Eh mo’ che cacchio c’entra sta’ neve!
Scendo in strada, devo andare in missione attraversando tutta la città per arrivare al Quartiere per quest’ennesimo appostamento. Sta per fare giorno. Un giorno freddo, livido che si specchia paradossale sul lungomare. Ho appena incrociato le battone della zona del Centro Commerciale che escono tra la neve appena sciolta come lumache dopo la pioggia. Ormai non c’è più un orario per quello e non c’è neppure sesso o età, ne vedi di ogni e ti fai il callo.
Al Quartiere all’alba porte sbattute, motorini che sgommano e voci forti di rabbia. La retata si è appena conclusa con i soliti pesci piccoli e minimi aggiustamenti nella gerarchia. Col nuovo Prefetto le cose sono un po’ cambiate però. Pinuccio Mezzarecchia, detto così perché è nato con un orecchio mozzato ma che i più credono abbia perso in qualche azione sanguinaria, è l’obiettivo, l’uomo da stanare. Si pensa che stia proprio lì, qualche metro sotto i nostri piedi, in una galera volontaria che può durare una vita intera e lasciare la sua scia di terrore e sangue come se niente fosse, come se noi non fossimo lì fuori a vigilare. I suoi tre figli sono la sua forza. Maria, la grande, è femmina ma vale più degli due maschi messi insieme, Nicola e Michele; quest’ultimo è sempre un po’ ribelle, risentito. Pinuccio fa’ finta di niente. So’ cose che si sentono dire in giro.
Rimango in strada nella mia vecchia ‘600 che non da’ nell’occhio come me che sono in borghese e peso quasi cento chili, ho la pancia, l’orecchino e anche una cicatrice d’ordinanza sul mento e posso passare per un magnaccia qualunque. E penso a lei. E fa un freddo del cazzo. E’ che noi non siamo abituati.
-Pà.
-Maria.
Maria, un bel metro e ottanta di femmina dalle forme solide ma non troppo abbondanti, gli occhi neri che però brillano come braci e una folta massa di capelli color mogano, fa il suo ingresso nel grande locale scantinato di uno dei palazzotti più vecchi del Quartiere. E’ l’unica che non chiede permesso per entrare.
-Papà, amm ‘a parlà coi ***, c’avan aiutà. Non potimm cchiù comannà da dò. Amm ‘a fa na riunione.
Pinuccio guarda sua figlia, bella, sanitosa, luminosa d’orgoglio per essere la figlia del boss, la preferita anche rispetto ai maschi. Sa però, che i tempi sono difficili, l’autorità del boss può vacillare per il lungo isolamento.
-Cè vuè fa?
-Voggh scì da Colin ‘u condrabbandir, cù fasc casin cossì tu pot scappà.
Anche Nicola e Michele entrano nel locale.
-Pà, ten raggion Marì . Sciam a’ Colin appen se pot scì- dice Nicola.
Una fuga. Il boss per un attimo ricorda la libertà. Non ricorda tutti i morti ammazzati però. Né tutte le famiglie terrorizzate dai suoi esattori. Né tutte le donne che ha mantenuto puttane a vita. E i fiumi di droga che lo hanno reso ricco e potente. Si guarda l’anello enorme che porta al posto della fede.
-Ah, ce sit bravv! Semb ‘nnzim voi è du. Me, sta fatt- dice compiaciuto. Si affida completamente a loro. Sono il futuro della Famiglia. Tutti devono sapere che comanda ancora la loro Famiglia. Altrimenti la guerra continuerà. E continuerà pure quella maledetta pressione della Polizia che lo costringe, lui che ha buona parte della città in mano, a stare chiuso lì, come un topo di fogna.
-E iè?- dice Michele.
-No, tu av à restà ddo. Av à restà qualchedun co’ papà– comanda Maria. Michele tace con occhio avvelenato. Prendere ordini da una femmina è una vergogna. Ma basta che resti in famiglia, che non lo veda nessuno. Lui è quello che più si vanta pubblicamente di essere il figlio di Mezzarecchia ed è per questo il più pericoloso, il più imprudente.
Aspetteranno che passi la giornata così si calmano un po’ le acque. Maria e Nicola dovranno uscire di notte, sfidando la sorveglianza della Polizia con addosso le istruzioni dettagliate per Colino- un fedelissimo di un paese vicino- di dove, come e quando fare l’azione diversiva. E poi c’hanno una serie di conteggi. Devono riscuotere.
Maria va a riposarsi un po’ nella sua stanza, semplice, per niente femminile. Essere femmina è una debolezza nella Famiglia. La mamma è morta quando lei aveva quattro anni, dice il padre. Li ha tirati su, circondato dal rispetto che tutti avevano per il boss incontrastato del Quartiere, sfuggito mille volte alla cattura, latitante, di fatto agli arresti domiciliari, in quello stesso quartiere che è il suo regno. Chissà perché non si è fatto una donna, si comincia a chiedere Maria. Ha l’età per chiederselo e anche quella per pagare qualche bella puttana occasionale per lui. Forse lo fa per lei, perché è lei, nonostante tutto, l’unica donna della famiglia e deve restare tale.
Un potere immenso, un sacco di soldi e proprietà ma sta in quel buco come un topo in gabbia.
Maria accende la tv per tenersi sveglia, anche se l’adrenalina è già a mille. E’ sempre così quando va in missione. C’è una bella donna mora sui quaranta, uno dei soliti talk show. Parla con un accento settentrionale, ma c’è un sentore pugliese. E’ stata sposata ad un boss della Sacra Corona con cui ha avuto tre figli; rimasta incinta giovanissima non pensava ad una vita diversa. Poi è scappata. Ha fatto una vita normale, al Nord, una nuova identità. Non si vergogna di dire che ha fatto i lavori più umili ma è rimasta onesta. ‘Onestà’. Puah! Che parola, pensa Maria. Ora la donna dice che le mancano i suoi tre figli, avuti ad un anno di distanza l’uno dall’altro lasciati in fasce.
-Ragazzi miei, Maria, Nicola, Michele, pentitevi! C’è sempre la possibilità di fare una vita migliore di quella che state facendo…
Maria sente un pugno allo stomaco. Sua madre è viva. E non è dentro la Famiglia. E’ un’infame allora. Ma non ha tradito però. E’ come quelli di fuori però. Tutte le sue certezze ad un tratto vacillano.
“Marì, sciamaninn.” Nicola, la realtà. Urgente, crudele.
Maria s’infagotta, nasconde i capelli nel casco e si veste di nero, devono prendere il colore della notte. Prende il casco di Michele, il suo ha una stella rossa, un vezzo femminile. Non deve essere riconosciuta. Lì fuori è pieno di poliziotti.
Sono tornato a casa a riposarmi un po’ ma sono rimontato già stanotte. Faccio turni di merda perché sono l’unico a non avere famiglia. Sostituisco il mio compagno ad uno degli ingressi secondari del Quartiere, quello da cui prima o poi qualcuno deve passare. Dentro quel grande rettangolo di case popolari altre regole, altri capi, altri ordini e tutti lo sanno. Meglio l’assedio allo scontro diretto.
Da un po’ di tempo qualcosa mi tormenta. Una fissa, cazzo! Lei, bona, irraggiungibile, vergine, forse, che si spoglia, ignara d’essere osservata. Una dimenticanza, una tenda aperta, alle sue morbide forme un rapido massaggio sotto la doccia, come in un film cult anni ’70, poi abiti scuri e anonimi. Quella volta l’ho seguita la bella Walchiria, in sella al motorino per la spesa al mercato. Fluenti e morbide chiome color mogano, un colore caldo che fa pensare ai solidi tronchi di un bosco esotico, liberate dal casco con la stella rossa, per parlare al fruttivendolo. Strano. La figlia di un boss, anzi del boss col casco, per non farsi fermare. Strana e insana passione quella di un agente scelto, che sta in incognito in una schifosissima ‘600.
Sveglia! C’è un bolide dalla cilindrata esagerata: in sella due ombre nere con i lombi stretti sul sellino come antichi cavalieri sul loro destriero. Il Quartiere, che di fatto è un ghetto dove sono stati esiliati i malavitosi, è stato costruito di recente. Traverse, parallele e grandi vialoni fatti apposta per arrivare a duecento all’ora. Vengo caricato da una delle tre volanti che ho allertato e cominciamo l’inseguimento. Il centauro esperto tenta con movimenti concentrici di confonderci e riuscire a scappare via, ma per quanti sforzi faccia trova sempre una delle tre alle calcagna. Decide di ritornare al sicuro, nella cinta di quelle mura del rettangolo di case popolari, ma nell’inseguimento ad un tratto qualcosa va storto, una sgommata, una manovra sbagliata – il ghiaccio- e quello seduto dietro viene sbalzato sull’asfalto. L’altro indugia qualche istante, guardando il compagno, apparentemente svenuto; fa per tendergli la mano ma noi stiamo arrivando a sirene spiegate e lui tira dritto – codardo- e si rifugia al riparo. Sparisce. Il centauro, irriconoscibile per il casco, si scuote e vistosi accerchiato tira fuori un’arma. Scendo dall’auto e con i miei mi nascondo dietro la volante.
-Arrenditi, sei circondato!- grido. La figura comincia a correre con il casco che dondola sulla testa. Imbocca una stradina più stretta che non avevo notato: forse una scorciatoia per raggiungere la zona sicura. Nonostante i miei cento chili corro, cazzo se corro, e la distanza via via si riduce.
-Arrenditi, non hai scampo!
E’ormai spacciato. L’ombra nera si volta, si mette in posizione e mi spara. Mi manca ma io ho già mirato e colpito. Mi avvicino al corpo che cerca di rubare ancora qualche istante alla vita. Come al solito sono confuso tra paura, dolore e orgoglio per quello che ho fatto. E’ una vita, una vita di merda forse, una vita fuori e contro quelle regole che ho giurato di servire e servirò finché campo. Ma è una vita. Umana. E per me questo conta, dopo tutto.
Nell’angusta stradina, alla fioca luce di un lampione, tolgo il casco al centauro e una massa fluente di capelli color mogano mi ricopre le cosce su cui ho appena adagiato il corpo agonizzante. Lì le morbide forme che hanno riempito i miei sogni e i lineamenti che tante volte ho osservato di nascosto nella sua vita quotidiana. Le apro il giubbotto per farla respirare meglio, sconvolto quasi non noto i rotolini di carta con gli appunti fitti del boss che si stanno tingendo di rosso.
“Perché tu! Perché proprio io?” penso disperato. Maria con un fil di voce mi guarda inconsapevole, e, mentre sente la vita che va via da lei dice:
-Non sacc ci sì tu…Tu sai ci so’ ie… oggi ho saputo che teng na’ mamm… I miei fratelli… ditegli dove sta mamma…almeno loro…
Fa un lieve sorriso mentre passa altrove.‘ E par che dorma’.
I miei compagni sono tutti muti intorno a me, come gelati.
Ma no, non immaginano certo il mio dolore di novello Tancredi.
Intenso. “Ho appena incrociato le battone della zona del Centro Commerciale che escono tra la neve appena sciolta come lumache dopo la pioggia.”
L’atmosfera è tesa, le parole fendono l’aria, eppure ci sono una dolcezza e una sensazione di solitudine e inevitabilità che abbracciano la lettura fin dalle prime battute.
Complimenti!