Premio Racconti nella Rete 2011 “Pesci di fiume” di Eleonora Filie
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Oggi tutti i pensieri si affollano nella mente, forse perché sono tornata qui, a camminare nel luogo che un tempo amavo. I passi, contro la mia volontà, mi conducono dove ti ho vista l’ultima volta. Ne è trascorso di tempo Elena, otto anni, e tutto è ancora così vivo.
Guardo il fiume. Neanche un attimo è passato, siamo bambine e al primo sole ci spogliavamo e ci tuffavamo dove il fiume forma una cascata, all’altezza del lungarno Colombo. Tornavamo a casa con i capelli ancora bagnati e prendevamo qualche schiaffone per aver disobbedito; “Guardate queste due – ci dicevano – dovevate nascere pesci!!”; le nostre madri temevano l’Arno, per metterci paura ci raccontavano storie tremende di persone che il fiume si inghiottiva. Non capivano che così ne eravamo ancora più attratte.
Nell’Arno imparammo a nuotare, quel luogo era il nostro ritrovo per tutto. Per giocare, per prendere il sole, per parlare lontano dal mondo e raccontarci i segreti, per i primi baci, i primi amori. I primi amori….
Avevamo quindici anni, uscimmo dall’acqua stanche e ridenti dell’ennesima gara che vincesti tu, eri velocissima in acqua, del resto la natura ti aiutava con braccia e gambe lunghissime.
Luca e Lorenzo ci stavano osservando, era da un po’ che ci provavano con noi, qualche mese che si sdraiavano vicino a noi a prendere il sole. Ci avevano chiesto più volte di uscire con loro, di andare a prenderci un gelato tutti insieme. Io avrei anche accettato ma tu…
Ricordo le tue parole: “Se mio padre mi vede o viene solo a sapere che esco con un ragazzo mi ammazza”. “Prima o poi dovrà accettare che diventi grande, che avrai un ragazzo” ti dicevo.
Tremavi solo all’idea, era complicata la tua vita, eri nata con una vita difficile tu, con quel padre violento, alcolista. Tua madre era come inesistente, se provava a dire qualcosa, a difenderti, lui l’ammazzava di botte.
A scuola eri sempre piena di lividi, dicevi a tutti che cadevi, dalle scale, per strada, cadevi. Solo a me confidavi la verità, solo io sapevo che tuo padre tornava a casa ubriaco fradicio e ti prendeva a pugni, a calci anche solo per uno sguardo, che tutto era un pretesto per scaricare su te chissà quale abisso della sua mente.
Al fiume dimenticavi tutto. La tua allegria, la tua volontà di voler star bene a tutti i costi mi stupivano sempre. Ci tuffavamo e via, la vita era facile, scorreva come il fiume.
Otto anni sono tanto tempo Elena, dovevo pur decidermi a parlare di nuovo con te, a tornare con la memoria al nostro ultimo incontro. Facemmo un patto da bambine, qualcosa che avevamo visto fare in un film, ci credevamo, ci sembrava qualcosa di magico, indissolubile. Ci promettemmo che non ci saremmo lasciate mai, che la nostra amicizia sarebbe durata per tutta la vita e così dicendo, con un coltello portato da casa al fiume, incidemmo con un piccolo taglio i nostri indici destri e quando il sangue cominciò a scorrere unimmo le nostre dita. “Per sempre” ci ripetemmo.
Fui la prima a non mantenere quella promessa, e forse, tutto quello che ne è seguito, è un poco colpa mia.
Lorenzo era simpatico, piaceva a tutti, ai ragazzi per la sua semplicità, perché era bravo a scuola e non lo faceva pesare, aiutava tutti, era un pozzo di idee, alle ragazze per la sua bellezza, il suo modo gentile di fare, perché aveva sempre la battuta pronta.
Ci innamorammo subito forse, ce ne rendemmo conto con il tempo. Avevo diciassette anni quando mi baciò la prima volta, te lo raccontai tornando a riva dopo una nuotata e vidi subito la tua espressione cambiare. Dicevi da tempo “gli piaci, si vede, non preoccuparti, non sarò gelosa, noi saremo amiche per sempre”.
Lorenzo e Luca erano inseparabili anche se totalmente diversi. Luca era il bello-canaglia che piace alle ragazze, ci provava con tutte e con tutte ci riusciva. Non con te. Con te ci provava più che con le altre. Eri così bella che tutti ci tentavano con te.
A te Luca piaceva, me lo avevi confidato, volevi tenerlo sulla corda, avevi capito che era un modo per farti apprezzare, per domarlo, dicevi che non ti saresti mai messa con un traditore incallito.
A me Luca non piaceva, con quell’aria “sono bello, siete mie” lo detestavo. Le poche volte che ci trovammo io e lui da soli fu odioso. Stavo già con il suo migliore amico da qualche mese e lui fu volgare e schifoso. “Mi sta aprendo la strada Lorenzo, poi passo io” disse con un sorrisetto osceno. “Sei un verme. Stai alla larga da me e anche da Elena” gli risposi. Non te l’ho mai raccontato, non so perché, forse avrei dovuto dirtelo subito, non dopo, dopo fu troppo tardi.
Tuo padre morì che avevamo ventidue anni. Io tirai un sospiro di sollievo, tu piangesti tutte le tue lacrime, che io non ho mai compreso, e quando te le asciugasti, finalmente iniziasti a vivere.
Finimmo l’università insieme e cominciammo a lavorare nella stessa scuola. Avevamo tutti gli argomenti, i gusti, i desideri comuni. Lorenzo è stato sempre un poco geloso di te. Luca mi odiava, per diversi motivi. Avevi iniziato a uscire con lui ma ero convinta che fosse un gran bastardo. Quando era a un passo da me gli sussurravo “Attento, ti controllo, falle del male e finisci di vivere” e lui metteva sulla faccia un sorriso mostruoso.
Passavamo le serate tutti insieme, le domeniche, le vacanze. Luca mi piaceva sempre meno, non capivo cosa trovavi di bello in lui, cosa ti attraeva oltre al suo fisico. Un giorno te lo chiesi e tu mi rispondesti in modo sorprendente: “Mi piace che non mi dia sicurezza, mi piace che da un momento all’altro potrei perderlo, mi piace anche la paura che talvolta provo”. Ti domandai se non avresti dovuto averne abbastanza di paure, se non sarebbe stato più sano avere accanto qualcuno che poteva amarti senza farti provare il brivido della paura ma quello dell’amore. E tu, ricordo esattamente le tue parole “Forse cerco ciò che già conosco, l’incertezza dell’amore, la violenza dell’amore”. “Questo non è amore” risposi, ostinata. “Per te forse, per me che ho conosciuto questa forma d’amore, per me non esiste altro”.
Questo tuo lato oscuro mi metteva addosso una strana inquietudine, mi sentivo in dovere di proteggerti ma allo stesso tempo mi chiedevo se forse non avrei dovuto lasciarti fare, raccontarti quello che sapevo di Luca, la sua ambiguità.
Lorenzo vinse un concorso per bibliotecario a Torino ed io chiesi il trasferimento che arrivò l’anno successivo. Ci sposammo a Firenze e, al ritorno dal viaggio di nozze, vivevamo già a Torino.
Tu, Elena, ci accompagnasti alla stazione e tra le lacrime ci dicemmo che almeno un fine settimana al mese ci saremmo viste. E’ stato sempre così.
Quando, dopo due mesi dal mio matrimonio, ci annunciasti che avresti sposato Luca, mi precipitai a casa tua. Ti raccontai le frasi dell’uomo che volevi sposare, le infinite avventure di cui si vantava, ma fu tutto inutile. Mi guardasti tranquilla dicendomi: “So che non sposo un santo, ma è cambiato, ci tiene a me, non essere sempre così rigida, Silvia, alle persone vanno date delle possibilità”.
Ci sono stati momenti in cui ho creduto che le tue parole erano giuste, che avevi avuto ragione. Quando ci incontravamo tutti e quattro e passavamo il fine-settimana ridendo e parlando e Luca ti guardava con occhi diversi,ci ho creduto. Anche quando da quattro diventammo sei, con i nostri rispettivi figli,per un poco ho continuato a crederci. Per un poco, appunto.
I bambini avevano due anni, quando una sera telefonasti, Elena. Piangevi al telefono, singhiozzavi: “Quel maiale – dicesti – perfino nel nostro letto l’ha portata”. Lo avevi trovato con una ragazza, uscendo dal lavoro due ore prima per lo sciopero, e lui, beffardo, la sera a cena ti disse di non prendertela troppo, che non era neppure la prima volta che ti tradiva, che in fondo che ti mancava, il sesso lo faceva anche con te, no?
Lo perdonasti e per un po’ tutto tornò come prima. Continuavamo a vederci e non eri più la stessa, avevi sempre gli occhi gonfi di pianto e non solo di pianto. Una domenica venni io sola a trovarti, tuo marito era a casa e tu avevi un occhio viola. Ce ne andammo, sole, al fiume.
Camminammo e dicesti: “Siamo state felici qui, vero Silvia? Qui ho passato i momenti migliori della mia vita” e mi raccontasti tutto quello che subivi da lui, le umiliazioni, le botte, le offese, i tradimenti. Il secondo uomo della tua vita, se possibile, era peggiore del primo. Tuo padre però non lo avevi scelto, questo eri ancora in tempo a lasciarlo, a ricominciare. Te lo dissi, ti proposi di prenderti una vacanza, di venire da noi per un po’, te e il bambino. Non accettasti, sembravi rassegnata all’infelicità.
Tornai a Torino con un peso nel cuore. La mattina telefonò tua madre: “Elena è scomparsa, ieri sera ha preso il bimbo, è uscita e non è ancora tornata, è venuta da te?”.
Mi precipitai da tua madre e la sera mi raggiunsero Lorenzo e il bambino. Rimanemmo con tua madre tutta la notte, ci preoccupava anche la sua salute oltre alla tua scomparsa e quella di tuo figlio.
Dopo una notte insonne, venni qui, esattamente dove mi trovo adesso, a camminare lungo il fiume.
E ti trovai. Dapprima non capii, non volevo capire. Il tuo corpo un poco gonfio, il volto bianco, di cera, solo dopo mi accorsi che parte della tua pelle era già bluastra. Non dimenticherò mai i tuoi capelli lunghissimi, neri, fluttuanti nell’acqua, sembravano alghe attorcigliate.
Urlai, gridai un no infinito e potente, mi tuffai per trascinarti a riva e mai più dimenticherò il gelo della tua pelle, delle tue mani dalle quali mi staccarono due poliziotti.
La sera trovarono anche il corpo di tuo figlio.
Le storie terrificanti delle nostre madri avevano preso vita.
Non sono mai più tornata al nostro fiume, non ne ho più avuto il coraggio. Ma oggi, dopo otto anni, capisco che qui c’è gran parte della mia, della nostra vita, i sogni, le risate, il pianto, il dolore, tutto come un fiume in piena.
E’ una giornata bellissima, il sole è caldo, l’Arno tranquillo. M’incanta il lento e talvolta burrascoso scorrere di queste acque.
Mi raggiungono Lorenzo e Riccardo, mio figlio che adesso ha dieci anni. Si spogliano e si tuffano in acqua. Li osservo, sono felici.
Rivedo due bambine che ridono, che scoprono la vita.
Due pesci di fiume.
Un tratto di fiume attorno al quale il racconto si sviluppa, evocando molti ricordi.
E’ il ritrovo di due ragazze adolescenti. La loro profonda amicizia, le prime confidenze importanti, i primi amori, i primi confronti con l’universo maschile.
Poi aumenta via via la tensione del racconto fino all’epilogo drammatico.
La storia è di quelle che si vorrebbero leggere soltanto tra le pagine dei racconti di fantasia.
Ma purtroppo, a volte, i fatti di cronaca dimostrano che anche la realtà sa essere tanto crudele.
E’ un racconto molto coinvolgente, narrato con uno stile narrativo che attanaglia ed emoziona.
Nikki Simonetti
Gioacchino De Padova
Nella scelta del partner succede a volte che essa cada su qualcuno o qualcuna che è l’ opposto della propria figura genitoriale di riferimento. Nel caso di Elena accade però esattamente il contrario come mai? Perché sceglie un compagno violento, come lo fu suo padre? Credo che cerchi di assicurarsi nel suo presente quella serenità che non ha avuto nell’infanzia prima e nell’adolescenza poi. Tenta di soddisfare questa esigenza profonda cercando di colmare il suo immenso vuoto del passato. Con la sua scelta pare voglia lenire le sue antiche ferite, sovrapponendo alla figura paterna il suo compagno, vuole riscrivere la storia della sua vita, solo così potrebbe affrancarsi dai suoi dolorosi ricordi. Il suo tentativo fallirà tragicamente Un intreccio che offre diversi spunti di analisi psicologica sulle motivazioni complessive che governano l’agire dei protagonisti.