Racconti nella Rete 2009 “Pane e pepe” di Marianna Manzullo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Accanto alla finestra, dove le erbe aromatiche in bella vista fanno sfoggio di sé, c’è una stampa incorniciata: è un quadro di Chagall.
Ci sono due amanti, sospesi, come in una sovra-dimensione, in mezzo alle faccende quotidiane, in una cucina, davanti ad una torta.
Lei è avvolta da lui in un bacio che la sorprende, morbido.
Lei è tutta la sua gioia. Lui è tutta la sua festa.
Quando sono entrata per la prima volta nella cucina di Niña questo quadro è stata la prima cosa che ho notato.
La seconda è stata l’odore.
Nella sua cucina cuoceva sempre qualcosa in pentola. Sempre. Qualcosa.
Gli aromi del cibo si mescolavano con le spezie, le tinture madri, le essenze, con la carta dei libri sparsi ovunque, con il suo odore e tutto, tutto quanto insieme, era lei.
Niña era una donna-strega, capace di mescolare nel suo grembo ogni diversità, per questo molti l’hanno temuta: tremavano di fronte al suo sguardo che non si scandalizzava di nulla, così gratuitamente e sfacciatamente accogliente.
Ci siamo incontrate in un cimitero, anni fa.
Gli alberi dei cimiteri hanno una voce diversa dagli altri, il sole si posa sui loro rami come un ospite discreto e anche il vento pare chieda “permesso” quando vuol soffiare tra le piccole cappelle così difformi le une dalle altre.
Tutto è pacato. Silenziosamente imperfetto.
Mi sono sempre rifugiata in questa ombra di paese quando la solitudine mi strappava le carni e quando la nostalgia di Dio si faceva insostenibile. Restare in mezzo a quella quiete mi ha dato sempre pace: toglie il fiato a pensieri inutili…
Quel pomeriggio cercavo l’olio del silenzio sulle mie ferite e Niña era lì. Annusava i cipressi e sorrideva, di un sorriso che partiva molto oltre le sue labbra rosse.
Ricordo bene ogni cosa: mi ero fermata come al solito accanto a quello spiazzo che è sempre toccato dal sole, dove l’erba fa come una piccola radura.
Guardavo la terra ubriaca d’acqua dopo le abbondanti nevicate invernali, i raggi del sole che filtravano attraverso gli alberi come attratti dalla terra e la terra che sembrava sussultare con il suo nuovo verde, sedotta dal delicato calore del sole.
Lei mi si è accostata silenziosamente e il mio fiuto, sentinella instancabile della mia anima selvatica, ha colto ancor prima dei suoi passi la sua cannella.
Non ha detto una parola, mi si è messa accanto, guardando nella stessa direzione del mio sguardo.
Zitta.
Solo odore di cannella.
Ero imbarazzata, ma allo stesso tempo così piacevolmente avvolta dalla sua presenza da restare immobile, come quando ci si ferma, incantati, davanti ad una farfalla o ad un passero e ci si trattiene anche dal più piccolo, lieve movimento per timore che questi possa scappar via spaurito.
I gesti, le parole, sospesi, in quel quadro di silenzio…
Fu lei a parlare, improvvisamente, come a continuare un discorso cominciato chissà quando: “Il cipresso è un bell’albero, non trovi? Ed è una pianta balsamica: con questi freddi Dio sa quanto possa far bene! Ti va una tazza di tè? Ho appena fatto i biscotti”.
Ecco, il suo odore di cannella in quel momento non era più un mistero, lo rimaneva però la ragione del suo invito. Ci sono, tuttavia, misteri che non è necessario svelare, che ci si fanno dinnanzi per essere accolti, semplicemente.
Avevo visto Niña diverse volte, per strada. Ogni volta ero rimasta ad osservarla, incuriosita e stupita. Non so cosa fosse di lei, ma c’era qualcosa che mi affascinava.
Così, per forza di attrazione, quel giorno sono entrata nella sua casa.
Come spiegare la chimica che nasce tra due persone ancor prima che si parlino, quel lento accostarsi dei pensieri, dei sentimenti, dei gesti, che si mescolano come a formare, ingrediente dopo ingrediente, un buon impasto? – questo accostamento di immagini, così concreto, a lei sarebbe piaciuto molto! –
E’ mistero puro e semplice e così mi lasciai andare ad un incontro che il tempo aveva già preparato dentro di me.
Un detto orientale afferma: “Quando il discepolo è pronto incontra il maestro”, e Niña arrivò con il vento giusto, al tempo opportuno.
Era una donna così particolare!
Quel pomeriggio, mentre mi serviva il tè, alla rosa canina – per rilassare il cuore e rafforzare il sistema immunitario, diceva -, mi giungevano gli odori di quella dimora così piccola e così accogliente, non so… era come un grembo.
Non era affatto una casa disadorna, anzi era curata nei dettagli, seppur senza la maniacalità di quelle stanze bardate come musei del tutto, ma si riusciva a cogliere oltre ogni mobile, oltre ogni oggetto, un vuoto, non una assenza, quanto piuttosto uno spazio.
C’era spazio.
E i miei polmoni respiravano assieme agli aromi della casa un senso di libertà autentica.
Prendemmo il tè, accompagnato da quei biscotti deliziosi di cui avevo pregustato l’aroma nel suo odore. Lei li chiamava i “biscotti del buon umore”: erano carichi di spezie odorose, inebrianti.
– Me ne scrisse la ricetta su un foglio giallo, lo ricordo come fosse stato oggi, con la penna blu-.
Mangiavo e non era solo la mia pancia a nutrirsi: venivo nutrita profondamente.
Ero placata dal calore del tè, dal profumo intenso di quei biscotti e dai gesti lenti e pieni di solennità di Niña.
Il quadro di Chagall fu una delle prime cose di cui parlammo, di quegli amanti sospesi nella quotidianità di una cucina.
Disse a commento di quella scelta: “L’Amore è la possibilità di vivere accordarti con la Grande Vita che vibra in tutte le cose: Chagall mi piace perché è questo che vedo nei suoi quadri. Vuoi ancora del tè?”.
Chagall, il tè, Dio. Ero incantata dalla semplicità con cui riuniva tutto nel suono di poche parole, così efficaci.
Poi parlammo della sua cucina, di come avrebbe preparato le verdure che erano accanto al lavello, già mondate e pronte all’uso.
C’era passione in quel che diceva, ardore per le carote e le patate, slancio per le mele e il filetto di maiale: “Il Signore crea, conserva e dispensa per noi le piante, gli ortaggi e tutto ciò che può esserci di nutrimento. Tutto viene da Lui, tutto è pervaso della sua Presenza: quando mangiamo noi ci nutriamo di Dio! Perché Lui desideriamo in tutto ciò che ci dà gusto, anche se spesso non ne siamo neanche coscienti. Hai mai sussultato all’odore dei peperoni?”.
Nutrirsi di Dio. La gioia dei peperoni…
Per lei non esisteva un dentro e un fuori, un sopra e un sotto, un sacro e un profano, tutto era gravido di divino. La sua cucina era luogo del passaggio di Dio quanto lo era l’angolo di preghiera che aveva nella sua camera da letto e tutto era, senza soluzione di continuità, equilibrio e bellezza.
Tornai in quella casa molto spesso da quel pomeriggio di fine inverno e mentre mangiavo i suoi piatti venivo alla luce.
Una parte di me, rimasta sepolta nella confusione di un tempo di dolore, riemergeva tra le verdure e le torte, cucinata ogni volta in una nuova forma.
Niña si dava in pasto.
Cucinava le alchimie tratte dal suo spirito, metteva a disposizione la sua carne, la sua realtà contraddittoria di donna – ah, se amava gli opposti! -, e apparecchiava con estrema cura i suoi giorni.
Fino all’ultimo giorno.
La morte se l’è presa tra le braccia come una bimba, mentre era impegnata nelle sue solite faccende, – fiera e forte -, e le ha sussurrato che era ora. “Saluta, è tempo di andare”. Forse le ha detto così.
Quando sono arrivata da lei mi ha abbracciata, aveva odore di pepe nero e pane. Era serena.
Mi disse, con una risata piena di gusto: “Stasera niente cipolla, mi raccomando, lacrime quanto basta! …saprai regolarti…” e i suoi occhi erano due piccoli laghi verdi, adagiati come un ricamo sotto la fronte bianca.
Niña aveva l’essenzialità del pane e l’eccentrica saporosità del pepe.
Il suo corpo di pane con la pancia lievitante e tenera, il seno accogliente di madre e il viso candido di bambina, come appena impastati e il pepe, il pepe nero e il sole caldo che erano il suo spirito e la sua anima. Erano lì.
Il tempo di una lacrima, la mia, calda, gonfia della vita che era stata in lei, dei suoi giorni, dei suoi odori.
Il solco di una lacrima e via.
Dopo la sua morte – così buffa a dire il vero, perché lei sorrideva come se le si facesse un leggero solletico sotto il mento, mentre andava via -, dopo la sua morte ho avuto in dono la sua casa e tutta la storia che essa racchiude. Ogni evento accaduto dentro e fuori. Tutta la sua storia.
I muri grondano parole e quelle parole, parafrasando un verso, sono uomini.
Vivo qui, ora, con il mio uomo.
Chagall è sempre accanto alla finestra, questa con le erbe aromatiche.
Ogni volta che lo guardo il presente e il passato si mescolano come aromi di cucina e si leva, dal profondo, quell’energia vitale che tutto crea e conserva, la viriditas che è in me come nel più tenero germoglio verde, quell’eros divino che Niña, con la sua presenza, trasse da me.
Annuso l’aria, allora, – la senti l’aria? diceva lei -. La sento e il mio sorriso parte molto oltre le mie labbra rosse.
prendo “I muri grondano parole e quelle parole, parafrasando un verso, sono uomini.”