Premio Racconti nella Rete 2025 “Le dimensioni” di Marco Ponzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Nel 2088 il mondo era diventato quasi invivibile e il motivo principale era la litigiosità delle persone, un comportamento che oramai si era impadronito degli esseri umani e non, sin dalla più tenera età.
Tutti litigavano per un nonnulla e la convivenza non era mai pacifica. C’erano sempre dei motivi di tensione e le occasioni per accapigliarsi, anche fisicamente, non mancavano. Anzi, era considerato normale risolvere una discussione mettendosi le mani addosso e si poteva dire che le escoriazioni sul viso fossero un segnale inequivocabile di un avvenuto dialogo, magari anche di un successivo accordo. Invece di una stretta di mano, ora si usavano calci e pugni.
Prendersi a schiaffoni era all’ordine del giorno, a tutti i livelli: bambini contro adulti, maschi contro femmine, donne giovani contro donne anziane, persone istruite contro persone incolte e via di seguito.
Il Consiglio di Sicurezza della Conferenza delle Nazioni, accortosi di una situazione comune a tutti gli stati del mondo, si riunì per stabilire quali provvedimenti adottare.
I rappresentanti delle nazioni, ciascuno coi suoi bei bernoccoli, esposero i fatti riferendo cosa stava accadendo, dato che ciò riguardava anche i politici, i parlamenti, i consigli comunali e ogni sede istituzionale, senza dimenticare i condomìni che però avevano già una tradizione consolidata da anni di pratica. Le conseguenze erano il blocco delle attività, i pronto soccorso pieni, l’intasamento dei tribunali e l’impossibilità di portare avanti le relazioni internazionali a causa dei ricoveri. Qualcuno di molto zelante riusciva a tenere delle conferenze stampa dal letto d’ospedale nella speranza di essere più convincente mostrando una gamba rotta. Ma erano casi rari, visti il pericolo reale presente anche negli ospedali e l’impossibilità di potersi difendere adeguatamente.
Quelli che si trovavano in maggiore difficoltà erano gli stati piccoli: Andorra, San Marino, il Principato di Monaco, il Belgio, la Svizzera, l’Ecuador, il Costa Rica, il Bangladesh, il Benin e così via. Ovviamente, anche l’Italia era interessata da questo problema, essendo diventata il paese del sole, del mare e delle botte.
Erano proprio gli stati piccoli a portare all’attenzione del resto del mondo una questione che riguardava tutti, in modo più o meno grave.
«Siamo arrivati a un livello oramai insostenibile» disse il rappresentante svizzero, con le sue scarpe di coccodrillo «tutti accampano pretese che solo venti anni fa erano considerate folli»
«Colpa della globalizzazione, colpa del benessere troppo a portata di mano» precisò il rappresentante belga che parlava agitando le mani, lasciando intravedere lo smartwatch di ultima generazione.
«Non saprei se si possa parlare di benessere» lo corresse il rappresentante del Bangladesh con un occhio nero «certo è che lo spazio è finito. Abbiamo consumato tutta la terra, tutti i fiumi, tutte le montagne»
«Siete voi che avete assecondato questa follia!» lo interruppe il delegato del Brasile «avete devastato le nostre foreste per avere materiale da costruzione, per fare spazio agli allevamenti intensivi e, adesso, anche noi che avevamo spazio non lo possiamo sfruttare perché è occupato da milioni di pannelli solari e pale eoliche. Avete prosciugato i letti dei fiumi per poter costruire fabbriche con manodopera a costo quasi zero»
Mentre il brasiliano esponeva il problema, estrasse delle fotografie che documentavano lo scempio ambientale.
«Questa cosa di mostrare le foto e gli schemini non funziona più!» proruppe il rappresentante degli Stati Uniti «lo sappiamo che le informazioni possono essere manipolate a piacimento, tanto nessuno si prende la briga di controllare!»
«Certo, voi ne sapete qualcosa» rispose l’altro.
«Cosa vorresti dire, pezzo di demente?»
«Che tua sorella è una grande manipolatrice… e pure tua madre!»
Il rappresentante americano scavalcò il banco e, in pochi secondi, si trovò addosso al brasiliano. Si azzuffarono nel mezzo dello spazio circolare delimitato dai banchi delle nazioni e proseguirono per diversi minuti rotolando sul pavimento.
Giunsero alcuni diplomatici per separare i due ma anche questi iniziarono a litigare.
«Togliti, me ne occupo io!»
«Ho detto che ci penso io, conosco questi due idioti»
«Spostati!»
Manco a dirlo, si accapigliarono anche loro. Adesso c’erano quattro persone che rotolavano sul pavimento, coi vestiti mezzo stracciati. Erano vestiti larghi e quindi molto soggetti agli strappi ma adatti a sfavorire la presa da parte di un aggressore. Tutti, in questa epoca, indossavano abbigliamento abbondante, extralarge.
«Basta! Basta! La seduta è sospesa!» dichiarò il presidente.
I quattro litiganti si fermarono e accettarono di smettere di picchiarsi, visto che la seduta era stata sospesa e non sarebbe stato messo agli atti nulla.
Dopo un paio d’ore, i rappresentanti si ritrovarono di nuovo in assemblea.
Qualcuno propose delle sanzioni.
«Chi vuoi sanzionare? A casaccio?» chiese il rappresentante dell’India, col suo bel turbante celeste.
«Sanzioneremo chi non si adegua e sono certo che le sanzioni avranno un effetto dirompente sull’economia dei trasgressori» rispose il rappresentante italiano, leggendo un testo scritto in inglese.
«Adeguarsi a cosa? E poi le sanzioni funzionicchiano, lo sappiamo» chiosò il cinese.
«Qui c’è un problema di dimensioni, dovrebbe essere chiaro a tutti. Propongo di ridurre le dimensioni degli oggetti» disse il rappresentante di San Marino, che era anche psicologo.
«Ma che stai dicendo? Le dimensioni non contano. Piantala con le fregnacce» lo provocò il canadese.
«Chiedilo a tua madre, se le dimensioni non contano»
Il canadese scavalcò il banco e si avventò sul sanmarinese.
«Fermi! Siete espulsi dall’aula!» ordinò il presidente.
I due litiganti vennero trascinati via per i piedi e la discussione proseguì in modo più pacato.
«Non ha detto una cosa sbagliata il delegato sanmarinese: oggi siamo circondati da un’abbondanza di oggetti, spesso ingombranti, voluminosi, costosi, che impegnano spazio, mente e denaro. Ridurne le dimensioni potrebbe aiutare a migliorare i rapporti umani, normalizzando le relazioni» disse il delegato austriaco «nessuno dovrà sentirsi superiore all’altro solo perché ha qualcosa di più grande da mostrare. È un fattore psicologico che ridimensiona le pretese»
«Beh, gli ingombranti condizionatori li avevamo già vietati per legge per evitare una guerra, ma non ha funzionato. Sono stati lanciati dei missili ugualmente, tutti sudati, certo» osservò il delegato greco, sarcastico, mentre quello italiano faceva una smorfia di disappunto.
«Propongo di vietare la produzione di mezzi di trasporto superiori agli 8 metri cubi di volume. C’è un sacco di gente che va in giro col carro armato comportandosi in modo prepotente. In più, oramai, le città europee non hanno più spazio. Una volta ci si spostava nella metà della cubatura e si trovava parcheggio: adesso si litiga per un posto in cui infilarsi facendo manovre infinite. Con le dimensioni attuali anche l’inquinamento ha un impatto non trascurabile»
«Potremmo ridurre anche la dimensione delle abitazioni, delle scuole, degli orologi, dei computer, degli aerei…»
«… delle pizze, dei cosmetici, delle matite, del denaro…» proseguì il rappresentante cipriota.
«Sì, riduciamo anche la lunghezza dei nomi… o dei neonati; peccato che non potremo chiamarci lillipuziani, però, perché “lillipuziani” è una parola troppo lunga»
«Tu di lillipuziano hai di sicuro il cervello, ma non solo, e non servono delle leggi per ridurne la dimensione» disse l’esponente del Qatar.
Il delegato russo si era già sfilato una scarpa e l’aveva appoggiata sul banco ma un’occhiataccia del presidente lo aveva fatto desistere dal suo proposito nostalgico.
«Orbene: lo mettiamo ai voti. Chi è a favore di ridurre le dimensioni dei nomi e di tutti gli oggetti?»
L’assemblea votò per alzata di mano e si espresse a stragrande maggioranza. Chi votò contro furono alcune nazioni grandi abituate a porre veti ma da quel giorno si sarebbero comunque dovute adeguare: bombe nucleari piccole, panini piccoli, autostrade piccole, carrelli della spesa piccoli, libri piccoli, film piccoli.
«… aggiungo una postilla: mi auguro che, con questi provvedimenti, verranno ridimensionate anche l’arroganza e la prevaricazione» chiosò il presidente, rivolgendosi alle nazioni più grandi.
I piccoli centri urbani ringraziarono, anche perché loro erano già in regola e alcune città cambiarono nome: in Italia, Cremona diventò Cremina, così come Casamassima che diventò Casaminima. Altre città come Arona, Grosseto e Frosinone divennero Arina, Piccoleto e Frosinino e il monte Abetone fu rinominato Abetino.
Le città che avevano già un nome piccolo come Torino o Minori risparmiarono dei soldi per le pratiche burocratiche e finalmente le persone smisero di litigare, riconoscendo il valore delle cose piccole e dell’uguaglianza.
Finalmente mai più ceffoni, semmai ceffini.