Premio Racconti nella Rete 2025 “O&E 50 anni dopo” di Anna Martellotti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025- Ehi tu. Girati per favore.
- Dici a me?
- A te sì.
L’evanescente fanciulla lo squadrò bene, poi cadde in ginocchio e, levando gli occhi in alto, prese a cantilenare
- Possenti regnanti di questo luogo, prostrata vi ringrazio! Oggi è un immenso giorno, il mio desiderio alfine si realizza, per un breve istante io rinasco. Grazie per avermelo concesso; al vostro cospetto a breve verrò grata a inchinarmi.
Terminata la sua preghiera la bianca figura si rialzò e di nuovo squadrò l’anziano, che era rimasto fermo, incerto sul da farsi.
- E così, guarda un po’ chi si rivede! Finalmente, stavolta sono certa, se tu. Fatti guardare un po’ meglio: eh, sì, non ho dubbi: invecchiato, ma, sei proprio tu.
- Io … io …io
- Cos’è, sei rimasto senza parole? Pensavi che mi sarei bevuta la storia dello scempio delle Baccanti? Il povero poeta innamorato e incrollabilmente fedele all’amata perduta sbranato dalle ebbre! Inventa qualcos’altro.
- Non era per te, era per i posteri.
- Mi riconosci, dunque?
- Ti riconosco, sì. Sei ancora bellissima.
- Lo sarò inutilmente per sempre. Perché avrò per sempre solo vent’anni. Te invece ti vedo cadente! D’altronde cos’hai adesso, settant’anni? Eh sì, devono essere almeno cinquant’anni che ti aspetto appostata su questa riva. Ormai cominciavo a scoraggiarmi; se morivi fra un anno o due, capace che non mi avresti trovata qui. E invece, eccoti arrivato. Che sfacelo, guarda! Avevi tutti quei boccoli castani, eri magro, bello. Ora hai solo questa rada corona canuta a cingerti il capo calvo e il ventre di chi troppo indulge al vino. E guarda le mani, le dita! Erano come farfalle sopra le corde della tua cetra, e adesso? Sembrano rami d’olivo e tronchi di vite! Come fai a suonare con quelle mani?
- Da tempo non accarezzo più la mia cetra. Polibea me lo ha vietato.
- Chi è Polibea?
- Mia moglie.
- Ti sei sposato, quindi.
- Diceva che canto e suono destavano i bambini quando dormivano e li distraeva dai loro compiti da svegli.
- Dunque hai avuto anche dei figli!
- Quattro, tre maschi e una femmina.
L’ombra si gettò nuovamente a terra, battendosi il petto e tirandosi selvaggiamente le belle e lunghe ciocche brune, insieme emettendo grida e lamenti.
- Quattro figli! Maledetto! Mentre io languivo qui, a scrutare questo fiume plumbeo, col mio ventre sterile e inutile! In attesa.
- Ma io ti ho resa immortale, Euridice! Il nostro mito rimarrà imperituro per tutti i secoli a venire.
- Il nostro mito? Il tuo mito, vuoi dire. Nel quale io sono e resterò per sempre solo una pallida e fugace apparizione, l’impresa sarà per sempre la tua impresa. Se non ti fossi voltato, se mi avessi fatta risalire, allora sì! Tu saresti stato l’unico vivente a traversare il confine ultimo del genere umano senza che la parca avesse reciso il tuo filo, ma io sarei stata l’unica ricondotta alla vita, l’unica morta due volte, l’unica resuscitata. E avrei potuto condurre a termine la mia vita, godere la gioventù ancora fiorente, generare figli, vederli crescere, conoscere la vita, apprendere e comprendere. Se solo tu, insulso anellide, non avessi disobbedito. Mai abbastanza ti accuserò, stupido cantorucolo senza nerbo.
- Euridice, lascia che ti spieghi.
- E cosa mi vuoi spiegare, Orfeo? Ti sei girato. Non c’è altro da dire. Pure te l’aveva raccomandato, Ade. E pure Persefone te lo aveva ripetuto, ricordi? Era accorata: “Portala con te, Orfeo dalla voce flautata, e non voltarti indietro; ricorda che, finché non sarete sotto il cielo, lei è suddita del sovrano. Non guardatevi indietro, guardate avanti.” Ci aveva messo tutta l’intenzione, in quella raccomandazione, la dea regina. Ancora le sobbalzava qualche singhiozzo nel petto. E di sicuro ci guardava avviarci alla risalita con desiderio immenso; perché allora molto mancava ancora al suo tempo. Ma tu, niente. Ti sei voltato e hai rovinato tutto!
- Io … io vorrei spiegarti…
- Non mi devi spiegare niente. Nessuna spiegazione mi appagherebbe, imbecille. C’eri riuscito! Tutta l’Ade era accorsa alla notizia di un vivente che era penetrato nell’ Averno. Tutta l’Ade era stipata in quella sala, ad ascoltarti. Tutta l’Ade piangeva e gemeva. Persefone singhiozzava convulsamente. Caronte tirava su col naso, Ermes si asciugava gli occhi, le anime gemevano ai tuoi versi strazianti. Perfino Cerbero mugolava a tutti quei sospiri e le pareti e le colonne parevano stillare lacrime anch’esse. Ade poi! Lui era quello che tenevo maggiormente d’occhio. Da seduto eretto aveva cominciato a curvare le spalle, poi aveva fatto calare il velo nero, a celare gli occhi che andavano arrossandosi. Cercava di trattenersi, ma il labbro superiore iniziava a tremargli. Allora aveva cominciato a ingiungerti di smettere, che la tua lira era troppo melodiosa, che il tuo canto era troppo commovente, che la tua voce era troppo dolce, che il tuo poema era troppo triste perfino per un luogo come il regno degli Inferi. Io, pur genuflessa, non smettevo di scrutarlo. Ero l’unica a non piangere in tutta la sala, e quando lo avevo visto volgere il volto verso di me, gli avevo piantato in viso lo sguardo più mansueto e mesto che m’era riuscito, per poi volgere, con un sospiro ch’era quasi un gemito, gli occhi verso di te, mettendoci tutto lo struggimento di cui m’ero resa capace. Fu allora che anche Ade scoppiò in quel pianto disperato! Mascherai il trionfo che m’esplodeva in petto: avevi vinto, avevamo vinto! Quasi incredula ascoltai la concessione balbettata tra i singulti, il comando di non volgere indietro lo sguardo, seguito dall’accorata ripetizione della dolce Persefone.
Ero perfino orgogliosa di te. Avevi fatto cose che mai ti avrei immaginato capace di fare! Viaggiare fino a scovare l’ingresso d’Averno, discendere impavido fin nel cuore degli Inferi, chiedere udienza ai sovrani e intonare un tuo canto, il tuo più riuscito, sfiorando la cetra… E invece! Hai trasformato un trionfo in una rovina, la mia rovina!
- Allora ascoltami, una buona volta. Su per quella salita, tu andavi via via riacquistando consistenza, il tuo passo veniva prendendo uno strascichio sempre meno leggero, il tuo fiato diventava ansimare simultaneo col mio, la tua mano chiusa nella mia ritrovava calore … poi, d’un tratto, me la lasciasti; e, dopo un piccolo lamento, il tuo respiro non si udì più.
- Eravamo risaliti fino a un tratto ghiaioso e io non indossavo calzari; m’ero fermata a liberarmi d’un ciottolo incastrato tra le dita d’un piede. Trattenni il fiato perché stavo per imprecare, e sapevo che era pericoloso. Non mi desti nemmeno il tempo d’avvertirti, scellerato! Non m’ero ancora nemmeno seduta che ti girasti!
- Sempre mia madre ti rimproverava quel tuo vizio d’imprecare a ogni inconveniente! Che non erano modi d’una nobile fanciulla! Io ti stavo riportando nel sole, quasi c’eravamo, e tu lasciasti la mia mano senza dirmene la ragione.
- Sciocco sventato! Pensavi che volessi ridiscendere negli inferi? Avevi un unico compito: non voltarti.
- Fu una reazione incontrollata. E in un attimo ti vidi scivolare all’indietro, e perderti nel buio del cunicolo senza una voce.
- Gridavo, invece. Ma le voci delle anime ai vivi non è dato sentirle.
- Fu tutto così rapido. Mi ritrovai a quell’imboccatura, con la mano ancora inutilmente tesa a sorreggerti, col cuore che moltiplicava i suoi tonfi, non più per l’ansimare della salita, non più per tutto il cantare di poco prima, ma per quel tuo svanire indietro, farti di nuovo ombra, le braccia levate, senza più contorni. In quel nulla di cui solo il mio cuore batteva il ritmo dovetti sedermi su una roccia a riprendere fiato. A raccogliere i pensieri. M’ero poi risolto di tornare indietro anch’io; di ritentare l’impresa. M’ero pure levato dal sedile improvvisato e avevo mosso qualche passo, quando in testa mi s’era formato un ricordo. Era il ricordo di tutte le volte che tu avevi respinto la mia foga: perché avevi il tuo sangue, o perché sentivi un dolore pulsarti nelle tempie, perfino quella volta che temevi di sciuparti l’acconciatura che t’avevano fatto per le nozze di mia sorella. E mi rammentai della tristezza dell’inverno, quando ti pareva troppo rigido per andare a cogliere erbe aromatiche, che pure mia madre t’aveva insegnate, e perfino ti rifiutavi di scendere sugli scogli, a riempire la brocca d’acqua salata per cuocere le tue insipide zuppe. O ancora mi tornò in mente quanto aspramente mi rimproveravi quando mi accadeva di sporcare il chitone, come ti adiravi per le poche volte in cui disertavo la visita di tua madre a favore dell’ozio con gli altri aedi di Tracia. E allora mi sono detto: “Chi me lo fa fare? E se scendendo un’altra volta, mi ritrovo morto pure io? Oltretutto non ho più spicci per pagare Caronte …” e così sono risalito.
- Quindi, per disprezzo della mia cucina, m’hai lasciata là sotto, sei tornato tra i vivi, ti sei sposato e hai fatto quattro figli. Alla faccia del martirio dell’amante!
- Euridice, ormai ciò che è stato non può essere modificato. Ma noi possiamo recuperare, in questo luogo desolato io sono solo, smarrito, e tu sei ancora così bella!
- Ma senti che faccia tosta ha il vecchio poeta! No, caro mio, io ora ho avuto la mia soddisfazione, non ho più ragione per rimanere su questa sponda a attendere. Anzi, mi incammino subito verso i troni dei regnanti a chieder loro di assegnarmi un luogo. Nell’Ade non è dato ritrovare i propri affetti terreni, se non per casualità. Il nostro incontro, che non è stato fortuito, è frutto dell’intercessione di Persefone, inteneritasi a vedermi così malconcia dopo il tonfo che m’hai fatto fare; riprese pure aspramente lo sposo, che sghignazzava a vedermi tornare mogia, confusa, tutta sporca di terra. Basta, non ci voglio pensare più, ora tutto è compiuto, vado a prostrarmi ai piedi dei sovrani e ad ascoltare il loro dettato.
- E io?
- Verrà qualcuno a prenderti, non allontanarti troppo da qui.
- Potrò rivederti?
- Me la servi su un piatto d’argento, babbeo. Manco morta! Ahahahah …
E sull’eco interminabile di quella risata sardonica, la svelta figurina si dileguò.
Fantastico anche questo! Ho cercato Anna Martellotti su Google, ho trovato una musicologa e una scrittrice, autori e tra l’altro di un “Il punto g delle donne sta al termine della parola shopping” che mi fa ghignare fin dal titolo. È la stessa persona? È lei?
Anna, sono di nuovo io. Dopo il primo ho inteso leggere il tuo secondo ed ecco il mito, è lì che si incontrano i nostri racconti, un’autentica combinazione. A dirtela tutta, preferisco virgola. Ti saluto con gioia
Geniale e stupendo! Complimenti Anna!