Premio Racconti nella Rete 2025 “Nathalie” di Lucio Gatto
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Correva sul viale dei Tigli, un nastro d’asfalto che taglia la macchia mediterranea che dalla darsena di Viareggio conduce a Torre del Lago, metodo super collaudato per non pensare.
Del resto, cosa poteva dire, cos’altro poteva aggiungere su se stessa e sulla sua poco più che trentennale esistenza che non avesse già detto e fatto un numero imprecisato di volte?
Correva, le sue gambe sembravano volersi staccare da terra in uno slancio estremo verso l’infinito, verso gli spazi siderali del cosmo. Raggiunto, lasciarsi successivamente risucchiare e avvolgere dalle onde elettromagnetiche, udirne l’urlo primordiale che ancora contengono.
Non era fatta per vivere nel suo tempo e per questa sua inadeguatezza subiva tutte le contraddizioni del mondo. Eppure, una volta abbandonata l’idea di farsi suora, aveva dato sfogo alle sue ispirazioni umanitarie e prima di recarsi in Africa aveva girato la periferia nord di Parigi su un autobus che forniva cibo, indumenti e cure mediche alle famiglie nomadi che sopravvivevano sotto i ponti della grande periferia.
Quale disegno aveva in mente Dio per lei?
Di fronte a queste domande, che sistematicamente riaffioravano nella sua mente, fermò la corsa.
Recuperò il fiato piegandosi sulle ginocchia e quando sollevò lo sguardo il mare si rivelò ai suoi occhi.
“Vuoi che veda fino a quando lo deciderai tu le nefandezze di cui noi esseri umani siamo capaci e che nel mio piccolo concorra a porvi rimedio? È questo che vuoi?” esclamò sollevando gli occhi al cielo.
Il mare sembrava una coperta azzurra e quando riemerse dall’acqua si voltò ad ammirare quella meraviglia.
Si distese sulla sabbia, e mentre il sole accarezzava le sue membra, le immagini presero a scorrerle nella testa, innescando subito atroci ricordi.
Aveva scelto l’ascesi, ma in sostanza viveva come un pascià, lontana mille miglia dalla vita reale, dalle difficoltà. Nutrita, alloggiata, protetta nel dire le sue preghiere, poteva dedicarsi a ciò che amava di più, i libri, mentre fuori da lì c’era l’inferno.
S’immaginò la sua carriera monacale, non sarebbe mai stata capace di chiudersi all’interno di un monastero. Confidò le sue incertezze alle superori e al suo padre spirituale, ma ne ricavò il solito bla bla.
Verso gli ultimi giorni del mese di giugno del 1993, giorno dell’introduzione delle nuove novizie, abbandonò definitivamente l’idea di farsi suora. Raggiunse Parigi, si diresse all’arcivescovato.
La lista delle organizzazioni umanitarie religiose era lunga. Si fermò sulla prima che stava per inviare missionari nel continente che aveva scelto: l’Africa.
Era il 1993 e si stava per lanciare nella sua prima avventura: il Ruanda, l’anno prima del genocidio.
Il rumore di un potente fuoribordo lacerò quel silenzio perfetto, strappandola ai suoi ricordi.
Seduta sulla sabbia guardò accigliata il potente natante, poi quando la scia delle eliche divenne evanescente, si distese nuovamente. Appena pochi attimi e le immagini di dolore presero a fluire di nuovo, devastandole la mente.
Le vie di Kigali risuonavano dei messaggi di odio della radio-televisione Libera , organo Hutu, che chiamava al massacro degli scarafaggi.
Riudì quella voce, e ancora una volta ripercorse con la mente la strada che conduceva al dispensario dove una semplice branda l’accoglieva per la notte. Slogan che rimbombavano per le strade, negli edifici, nell’aria umida e afosa di quel lontano pomeriggio. Poi il rumore che non dimenticherà più, il rumore dei machete sfregati contro il manto stradale in segno di minaccia, in segno di gioia.
Le lame che stridono contro l’asfalto prima di abbattersi sui corpi.
Le lame insanguinate che urlano dopo aver colpito.
Poi la fuga con i caschi Blu dell’ONU e la scoperta del genocidio.
Il carnaio che intasa le strade, i mucchi di cadaveri come dei ponti su cui erano costretti a transitare.
Nuovamente udì nelle ossa le scosse provocate dai corpi straziati che sobbalzavano sotto le ruote delle Jeep.
Una volta al campo profughi, quando prese il via l’operazione Turchese , la prima azione umanitaria importante eseguita in Ruanda sotto la bandiera francese, la sua crisi raggiunse il punto di non ritorno.
Per giorni e giorni i suoi occhi videro scene che non avrebbe mai immaginato di vedere: cadaveri ammassati in stato di putrefazione che venivano bruciati con il lancia fiamme. Riavvertì l’odore acre di carne bruciata.
Da dove nasceva questo odio?
Un odio che opprimeva la minoranza Tutzi, popolo dalla corporatura slanciata, elegante, da parte della maggioranza Hutu, gente bassa, tarchiata, che rappresentava il 90% degli abitanti di quel martoriato Paese.
La sua missione iniziò tra i Tutzi oppressi; cosa poteva dire a coloro che venivano a rifugiarsi terrorizzati alla missione?
Doveva semplicemente spiegare che non c’era nulla da fare, spiegare loro che Dio era morto.
Smise di mangiare, di parlare. Un medico dell’associazione Medici senza Frontiere dette il suo responso: non esisteva una causa organica ai suoi sintomi. In altre parole tutto succedeva nella sua testa.
Rimpatrio.
Trascorse giorni e giorni a piangere e a pregare, forse erroneamente aveva creduto di poter incassare tutto quell’orrore, tutto quel dolore, di tollerare il sangue e l’assenza di Dio.
Appena le cure psicologiche alle quali si era sottoposta iniziarono a fare gli effetti desiderati, iniziò a progettare l’idea di guarire l’essere umano dal suo male e non poteva farlo nel silenzio dell’isolamento.
Fare la poliziotta, affrontare il diavolo nel suo territorio, nelle periferie degradate delle città, sporcarsi le mani nel tentativo di sconfiggerlo.
Nel settembre del 1996 entrò all’Ensop, la scuola nazionale superiore di polizia.
Si sollevò, dette un’ultima occhiata al mare, e quando fu sul punto di alzarsi sentì una voce conosciuta dire:
“Splendido panorama, non trova?”
“Cosa ci fa lei qui?” esclamò girandosi di scatto.
“La stavo cercando e finalmente l’ho trovata.”
“Ho come la sensazione, ma sta diventando sempre più una certezza, che mi stiate col fiato sul collo, odio sentirmi soffocata. So benissimo difendermi da sola.”
“Mai messo in dubbio, cara collega …, mi lasci solo ricordarle che sarebbe un grave errore abbassare proprio ora la guardia …”
“Ha da dirmi per caso qualcosa?”
“Sono venuto a ricordarle che l’Ispettore sarà nel suo ufficio nel primo pomeriggio.”
“Okay.”
“Che ci fa ancora qui, ha intenzione di scortarmi?”
“Ho la macchina, ma se pensa di fare prima correndo, le ricordo che sono esattamente tredici chilometri …”
“Bene, mi aspetti in macchina.”
Bussò. Fu invitato ad entrare.
Atmosfera spoglia, con un leggero profumo di incenso, gli ricordava casa sua.
Nathalie era del tipo brutale, ma niente del suo aspetto lo lasciava trapelare.
Sulla trentina, carnagione chiara, fisico da indossatrice, portava i capelli a carré, sempre spettinati ad arte.
Una bellezza spigolosa, addolcita da grandi occhi verdi, calmi.
Sempre in tiro. Griffata perfino. Indossava capi di grandi marche italiane alle quali il dipartimento non era abituato.
Quanto a personalità, Nathalie era in sintonia con la squadra: dura, cinica, accanita.
Aveva prestato, alcuni anni addietro, servizio nell’antiterrorismo con risultati eccellenti.
“Le preparo un Martini?” domandò alzandosi.
“Grazie, va bene così.”
“Lo faccio comunque.”
Si diede da fare con shaker e ghiaccio. Aveva gesti da studentessa ma anche da sacerdotessa.
Dal suo rituale si sprigionava qualcosa di antico e di religioso.
Circolavano voci che frequentasse locali di scambisti, ma nessuno nel dipartimento aveva avuto le palle per andare fino in fondo.
“Può fumare se vuole.”
Fece il gesto di inchinarsi per prendere le Camel, ma sul più bello desisté.
“Sa perché l’ho fatta venire?”
“Lo posso immaginare.”
“Ah, sì! Allora avrà già preparato la valigia …”
“Cosa?”
Controllò il suo Rolex che teneva con una certa ostentazione al polso destro e infine esclamò:
“Sono le 13:42, il suo aereo decollerà alle 18:45. Come vede mi sono preoccupata che le rimanesse il tempo necessario per fare la valigia.”
Ho fatto fatica: fu invitato a entrare. Ma non è una donna? E a entrare dove? Chi è Nathalie? Perché la sconosciuta protagonista deve prendere l’aereo? Che fine ha fatto la persona che l’ha accompagnata in macchina?
Intrigante, questo racconto che si potrebbe definire “aperto”. Già scoprire che il titolo si riferisce a un personaggio che appare nel finale è particolare: Nathalie, figura ben delineata con poche parole, decide del destino della protagonista narrante ma lo lascia sospeso, viene da pensare che sia di nuovo l’Africa, ma forse non è così. Quello che mi è piaciuto è la ricerca di sé che la protagonista condivide con il lettore, con alcuni dettagli che fanno pensare a esperienze vissute in prima persona dall’autore, o quanto meno a circostanze molto sentite. L’ho trovato un racconto di piacevole lettura, che il lettore può in qualche modo completare aggiungendosi del suo. Un esperimento interessante
Chi è Nathalie? Una nessuna e centomila.
NAthalie sta correndo, ferma la sua corsa e osserva il creato. Immancabilmente ritornano nella sua mente immagini che non riesce a dimenticare e le rivive.
Successivamente viene riportata alla realtà da un suo collaboratore, il quale le annuncia che l’ispettore sarà tra poco nel suo ufficio come da accordi presi.
L’Ispettore bussa e successivamente entra nell’ufficio dove ad attenderlo c’è Nathalie e avverte le sensazioni descritte nella parte conclusiva del racconto.
Dopo avergli offerto da bere e annunciato che può fumare, gli comunica che il suo aereo partirà tra alcune ore..
Nathalie ha una personalità complessa e nel racconto riveste il ruolo di un alto funzionario della Sicurezza francese.
Ma all’inizio della sua avventura umana, e il racconto lo menziona, vediamo che nel momento in cui doveva prendere i voti per diventare monaca rinuncia. Intenzionata comunque a sconfiggere il male che affligge l’umanità, cercherà di combatterlo sul suo territorio:andando nelle periferia nelle periferie degradate di Parigi.
Ah, quindi il racconto è un montaggio di flash back di Nathalie? Perbacco, così tutto acquista un senso preciso. Grazie per il chiarimento
Ora ho capito, ma è stata necessaria la sua spiegazione, non è scontato che Nathalie sia la persona che all’inizio corre e ricorda parti della sua vita. Ci sono altre cose che mi lasciano perplesso: chi è il collega che la segue, le offre un passaggio e l’avverte che l’ispettore deve incontrarla? E soprattutto, che motivazioni ha? Magari un piccolo accenno basterebbe. E ancora, l’il luogo dove si svolge il colloquio finale, sembra più un appartamento, qualcosa di molto personale, che un ufficio. E infine la conclusione: anche qui un accenno sul perché l’ispettore debba prendere l’aereo sarebbe utile.
Essendo la voce narrante di Lucio Gatto, le comunico che quello che ha in testa quel capoccione del mio autore lo ignoro completamente.
Quello che le posso dire è che il personaggio di cui racconto le avventure sarà quasi ceetamente protagonista di un prossimo romazo giallo, sul quale sta lavorando già da un po’ Lucio gatto.
Per rispondere alla sue domande, inizierò dalla prima: Il collega che la segue è un suo colloboratore, un commissario di polizia, con il quale cerca di venire a capo di una indagine; il luogo dell’incontro è l’ufficio di Nathalie, dove ama ricevere i suoi collaboratori e pretende che sia confortevole. Ultima domanda: per quale motivo fa prendere l’aereo all’ispettore, che è un suo subalterno, ma per spedirlo a in un luogo X ad utlimare le indagini.
saluti..