Premio Racconti nella Rete 2011 “Paska Zua” di Luciana Fancello
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Carcere Mandamentale di Nuoro, 28 maggio 1868
Via Roma s.n.
Giovanni Antonio Deledda,
è Paskedda Zau che ti scrive, la vedova del povero Zuanne Zola, e ti scrive dalla cella del carcere nel quale è finita in seguito alla strage che c’è stata il ventisei del mese scorso. Tu sai tutto quello che è successo e come sono andate le cose, e se non lo sai te lo racconto io.
L’inverno scorso la mia famiglia, composta da me, mio marito Zuanne, sette bambini, mia suocera cieca e mio suocero paralitico, si trovava nella condizione di non avere nulla, ma proprio nulla, da mangiare. Come se non bastasse, la piccola Grazia ad un certo punto si ammalò gravemente; il dottore disse che la bambina era denutrita, che avrebbe dovuto prendere del brodino caldo e qualche morso di carne, se volevamo sperare di salvarla.
La mia famiglia, quando ci siamo sposati io e Zuanne, stava bene, perché allora non c’era ancora la tassa sul macinato, perché si usufruiva ancora del diritto di ademprivio e si poteva andare a raccogliere ghiande per il pane nei terreni comuni; quando però il re ha stabilito che ci dovevano essere le chiudende, che si potevano chiudere i terreni comunali ed appropriarsene, la situazione della mia famiglia è peggiorata. Non potevamo più usufruire gratuitamente come prima di legna, cinghiali, lepri e pernici, perché Zuanne era un abile cacciatore.
La tua situazione era differente dalla mia, ti sei chiuso una tanca, e che tanca! Hai cominciato ad avere alle tue dipendenze servi pastori e servi contadini, nella tua casa di Santu Predu entra ogni ben di Dio, si sa! Anche se io abito nel rione di Seuna, quello dei poveri nullatenenti, le notizie arrivano fin qua, poi mio marito era tuo servo e vedeva la differenza fra la tua e la sua di famiglia. Tra la tua bambina, che si dovrebbe chiamare Grazia e che dovrebbe avere sette anni, e la mia che si chiama pure Grazia, sette anni anche lei, ma che si dovrebbe chiamare disgrazia, che non ha mai avuto un abitino nuovo, ha dovuto indossare quelli smessi della tua bambina che è più alta e robusta della mia e pare avere due anni in più. Di ben altri cibi sono fatti i suoi pranzi e le sue cene!
Quando Zuanne ha bollito quella pecora in cappotto, era per salvare la piccola che l’ha fatto, e tu invece lo hai denunciato per questo!
Quando ha infilato la mano sotto il cuscino per prendere la pistola, non era per uccidere il carabiniere che l’ha fatto, io lo conoscevo bene a Zuanne, ma per spaventarlo e costringerlo ad andarsene ed a lasciarlo in pace. Invece quel carabiniere ha preso dal fodero la sua pistola, e me l’ha ammazzato il poveretto, padre di sette figli e con i genitori vecchi e malati da mantenere.
Io non mi sono persa d’animo e, insieme ad altre donne che si trovavano in condizioni simili alla mia, e qualcuna anche peggio, mi sono recata nel Comune per annullare quegli atti che attestavano il possesso di terreni e beni, abbiamo stracciato quegli atti e li abbiamo bruciati nella piazza di Santu Predu vicina alla tua abitazione, verso Via Majore.
Era una protesta pacifica, non abbiamo torto un capello a nessuno, ma le forze dell’ordine sono intervenute ed hanno ammazzato sei donne che lottavano per dare da mangiare ai loro bambini, per salvare la vita dei loro figli!!
Ti voglio chiedere come ti senti tu di fronte a tutto questo, ti chiedo, se hai un briciolo di cuore, come dovrebbe averne uno che è padre, di andare in caserma e di chiarire tutta la mia situazione. Tu sai che io non ho denaro per pagare un avvocato; ce n’è uno a Bitti, quell’Asproni, anche deputato, ma mi sembra più dalla parte vostra che nostra, raccontagli tutto quello che è successo, non sarà mica così stupido da non capire la mia situazione??!!
Devi far sapere a tutta Nuoro che mio marito non era un malvivente, che io non sono una delinquente, che lottavamo solo per salvare i nostri bambini; ma li vogliono morti i nostri bambini, li volete morti i nostri bambini.
Vai a dire tutte queste cose ai carabinieri, ai giudici, al prefetto, vai a dir loro che chiediamo pane e anche un po’ di carne. Che chiediamo legna per scaldarci perché l’inverno qui è insopportabile, non tanto per me, quanto per i bambini e i vecchi. Vai, che forse a te ti ascoltano più di quanto non abbiano ascoltato noi, che ci hanno risposto con i fucili. Vai e forse posso sperare di uscire da qua e di tornare ad occuparmi dei miei bambini e dei due poveri vecchi.
Pecora in cappotto è pecora bollita con patate e sale, nel brodo vi si inzuppa il pane carasau; piatto tipico di Nuoro e dintorni.
E’ un racconto vero, non solo perché “storico”, ma perché ha un modo universale di raccontare la povertà e la generosità mista a rassegnazione di chi é in certe situazioni. Fa pensare a chi anche oggi sta così. Questa é la grande forza di questo racconto. Grazie a chi l’ha scritto, perché invece di essere pieno di odio come tanti racconti-debnuncia, porta dei valori.
Affascinante la forma epistolare, dà forza alla realtà drammatica del racconto, si entra in contatto con il momento storico e le difficoltà dei primi anni dell’ unità d ‘ Italia.
Si vede il luogo, la situazione, si sentono gli odori. Non c’è spirito di vendetta, c’è semplicità, ma chiama a fare molte considerazioni sulla storia……che spesso poi si ripete seppur con altri fattori.
Bravisima Luciana… leggendo queste righe mi pareva davvero di vedere la vedova Zola che le scriveva. complimenti
…che orrore… ho scritto bravissima con una S sola… ma nel caso del tuo racconto ce ne vorrebbero almeno 3.
Complimenti Luciana, non è semplice interessare il lettore con eventi storici poco conosciuti dai più, riuscendo a rivelarli con una scrittura agile, essenziale , densa di sentimento e pertanto capace di appassionare