Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Il sogno degli antenati” di Irene Bongiovanni

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Petra si trovava su una piccola imbarcazione guidata da un ometto sull’ottantina, l’unico che da più di cinquant’anni conduceva, come li chiamava lui, “quei pochi scellerati” che desiderassero avventurarsi sull’isola, misteriosa e piena di pericoli. 

Petra era una di loro e prima di lei suo nonno Paride Carti, archeologo esperto in civiltà antiche del pacifico, si trovò a seguire le tracce di una civiltà nell’arcipelago di Make non lontano dalle acque di Rapa Nui, la famosa isola di Pasqua per intenderci; l’arcipelago di Make era quasi completamente disabitato, fatta eccezione per una piccola popolazione di pescatori, che manteneva ancora viva l’identità, tradizioni e culti antichi. 

Paride aveva raccolto tutte le scoperte, ricerche e informazioni dei suoi viaggi in un diario che spedì alla sua famiglia insieme al suo fazzoletto rosso, prima di sparire nel nulla.

Petra venne al mondo pochi giorni prima dell’arrivo del diario che aveva spedito il nonno, la nonna le mise nella culla il fazzoletto rosso e conservò gelosamente il diario, nascondendolo alla nipote che, crescendo, era diventata sempre più curiosa e i soli racconti delle avventure del nonno non bastavano più, tanto che voleva diventare un’esploratrice come lui e, magari, venire a capo del mistero che aveva portato il nonno a non fare più ritorno a casa.

 La giovane archeologa crebbe e seguì i passi del nonno ma, questi, si interrompevano ogni volta che, ripercorrendo i suoi viaggi, arrivava a quel pezzo mancante, quel fosso che interrompeva la strada…il diario.

Petra non riuscì mai a scoprire il nascondiglio dove lo custodiva la nonna ma, un giorno, stava seduta alla scrivania nello studio del nonno e mentre rovistava nei vari cassettini pensava a quanto avrebbe voluto conoscerlo, quanto avrebbe voluto sentire da lui quelle storie da bambina, seduta in braccio a lui appollaiato sulla poltrona, confortati dal calore del caminetto, ma questa purtroppo era solo fantasia. Risvegliandosi da questo sogno malinconico e nostalgico iniziò a tamburellare con le dita sulla scrivania e lasciandosi trasportare da quel ritmo confuso spostò di qualche centimetro il sottomano di pelle bordeaux. Lo sollevò e vide il coperchio di uno scomparto nascosto, cercò di sollevarlo ma c’era troppo poco spazio per infilarci le dita, allora cercò nei cassetti il righello di metallo, una volta trovato fece leva e…fatta! Il coperchio si solleva rivelando, in tutto il suo fascino e mistero, un diario di pelle marrone chiuso da un nastro verde salvia, Petra era incredula, aveva quasi timore ad aprirlo ma quel timore si tramutò in curiosità, quella curiosità che per gran parte della sua vita l’aveva portata a porsi tante di quelle domande su suo nonno, sulla sua scomparsa, sulle sue scoperte, proprio seduta a quella scrivania. Presa da quell’uragano di emozioni del momento non riuscì a trattenere le lacrime, aveva trovato il suo pezzo mancante.

Snodò il fiocco fatto con tanta cura mentre sfilava le pantofole e si appollaiava sulla poltrona col plaid della nonna sulle gambe, immergendosi in un’attenta lettura, analizzando ogni informazione, fino a che le palpebre si fecero pesanti e reclamarono un sonno profondo.

Quando si svegliò, Petra pensò di aver fatto un sogno magnifico, invece no, era tutto vero! 

Allora si alzò dalla poltrona, inciampando nelle pantofole, per chiudere lo scomparto segreto della scrivania. Prima di far ciò, notò che, sul fondo, c’era un altro diario con un biglietto ingiallito su cui c’era scritto:  

                             “La mia avventura termina con esito inaudito, ora continua tu…

                              Segui le stelle e troverai il cammino che porta alla civiltà perduta.

                                                                                                        Paride C.” 

Aveva lasciato un diario vuoto con la speranza che in futuro, qualcuno tra i suoi discendenti lo trovasse…ma per farne cosa? Cos’è questa scoperta di cui parla? Perché non l’ha annunciata al mondo se è così importante? Erano tutte domande che le risuonavano in testa in quel momento e accrescevano in lei una forte curiosità. Così decise di partire, spacciando la missione per un banale viaggio in solitaria in sud America. Seguendo le istruzioni lasciate dal nonno nel diario arrivò in Cile e da lì prese un trabiccolo che chiamavano idrovolante che la portò sull’unica isola abitata dell’arcipelago di Make. 

Lì incontrò l’anziano signore che si offrì di accompagnarla sull’isola indicata dal nonno.

Scesa dall’imbarcazione era completamente sola, su un’isola apparentemente deserta e la cosa più viva che vide a primo impatto era il fumo grigio che fuoriusciva dal vulcano.

«Magnifico!» disse tra sé « Fase “ora continua tu” in atto.», «Ora nonno, di che stelle stai parlando? Costellazioni? Mappe astrali?». Cominciò a camminare verso la foresta per esplorare la zona e mentre camminava tirò fuori il fazzoletto del nonno. Lo prese in mano per farsi forza e cominciò ad accarezzare i piccoli rombi del ricamo legati l’uno all’altro da un filo sottile, notò che erano posizionati in modo strano, irregolare, però tutti giravano attorno a due cerchi concentrici. Lo aveva sicuramente riportato da uno dei suoi viaggi, chissà quali abili mani avevano confezionato quel manufatto tanto prezioso e soprattutto cosa significavano quei ricami.

Dopo ore di cammino sotto il sole cocente si rese conto che era il momento di trovare un riparo e soprattutto trovare un posto sicuro dove stare la notte, proprio in quel momento vide in lontananza le rovine di un villaggio, sicuramente di età precolombiana, forse era la scoperta di cui scriveva il nonno, ma non sembrava così speciale come la descriveva lui. Tra le rovine si accorse di alcune iscrizioni, sembrava un codice cifrato diverso da qualunque altro mai scoperto in archeologia, ma in qualche modo sembravano ricordargli il fazzoletto del nonno o magari era solo un’impressione. Qualunque cosa fosse l’avrebbe decifrata, insomma aveva molto tempo da spendere sull’isola e quello le sembrava un buon inizio.

Cominciò a fare buio, così decise di accamparsi appena fuori dalle rovine, accese un bel fuoco, mangiò qualcosa e poi montò la tenda e si mise comoda per aggiornare il diario con le nuove scoperte della giornata. Ad un tratto, quando ormai era notte fonda, le sembrò di vedere una figura passare davanti al fuoco, un animale selvatico pensò o la stanchezza che giocava strani scherzi, in ogni caso dopo poco si addormentò.

Il mattino seguente si svegliò all’alba per andare a cercare qualcosa per fare colazione che non fosse fagioli in scatola o gallette di riso, dopodiché tornò alle rovine e cominciò a studiare le iscrizioni trovate il giorno prima e si rese conto che non erano affatto ciò che aveva ipotizzato, infatti c’erano alcune raffigurazioni che mostravano il vulcano con un cerchio di fumo sulla sommità e tanti piccoli rombi attorno che sembravano stelle. All’inizio pensò a qualcosa di mitico o appartenente a un culto religioso ma c’era qualcosa che non quadrava, non erano rappresentati riti o cose del genere, ma le figure umane sembravano attraversare quei rombi sparsi sulla montagna. Quindi mise a confronto le varie incisioni e riproducendole sul diario riuscì a individuare dodici di questi varchi situati tutti intorno al vulcano. A quel punto le opzioni erano 2: o le rappresentazioni mostravano dei sacrifici offerti a qualche dio di un antico culto o il vulcano non era altro che una montagna cava alla quale in qualche modo si poteva accedere. 

Mentre stava riflettendo sentì un fruscio venire da un gruppo di alberi alle sue spalle, ma non vi diede troppo peso, così cominciò a passeggiare tra le rovine del villaggio. Trovò armi da fuoco antiche sotto alcune pareti crollate ma, anche armi più rudimentali dei popoli autoctoni, «Sicuramente è ciò che resta degli ultimi scontri con i conquistatori» pensò «L’uomo sa essere tanto geniale quanto imbecille e ottuso».

 Non mancava molto al crepuscolo, così raccolse le sue cose e si diresse verso il punto dove si era accampata. Una volta arrivata si sedette accanto al fuoco e aprì la seconda scatoletta di fagioli della giornata, accompagnata dalle aridissime gallette di riso, dopotutto questo ed altro per la ricerca!

Finita la cena era arrivata l’ora di rifugiarsi dalle zanzare e aggiornare il diario con le nuove scoperte della giornata ma, quando alzò gli occhi dal diario, vide un’ombra fuori dalla tenda e stavolta non ebbe alcun dubbio, quello era un umano.

«Niente panico Petra,» pensò, si fece forza, per sicurezza prese in mano il coltellino svizzero e con un movimento fulmineo aprì la cerniera della tenda e gridò «Fermo là! Sono armata!» lui con scatto felino in pochi istanti la disarmò e la spinse contro un albero, la bloccò con un braccio e poi, con l’altra mano le teneva un grosso pugnale premuto sulla tempia. Era molto alto, muscoloso come un kouros e la pelle color cioccolato, «Cosa fai qui? Cosa cerchi sulla mia isola?» ringhiò il giovane, Petra era terrorizzata ma ebbe il coraggio di chiedere «Chi ti ha insegnato la mia lingua?», «Non divagare» Petra sbalordita rispose «Io sono un’archeologa, mio nonno anche, è stato qui 22 anni fa e non è più tornato» continuò «Ora rispondimi tu, chi ti ha insegnato questa lingua?». Il ragazzo mise a posto il pugnale ma non lasciò la presa «Esploratore, sessant’anni, aveva il nome di un eroe» Petra lo interruppe «Paride! E’ questo il nome vero?!» il ragazzo annuì e con aria sorpresa indietreggiò lasciandola libera. «Sei davvero la nipote?», «Sì! Tu l’hai conosciuto?»  disse Petra. E da lì cominciarono a parlare, lui si chiamava Ariura Ka Mo’eore, per gli amici Ari, principe della tribù nascosta dei Make; le raccontò ciò che ricordava sul nonno ma anche lui era molto piccolo quando Paride arrivò. Apparve un giorno aprendo uno dei varchi. Ricordava che tornò diverse volte dai Make e ogni volta portava libri e oggetti dal mondo di fuori e insegnò loro la sua lingua. Petra rimase ad ascoltarlo fino a notte fonda, come se qualche ora prima Ari non avesse cercato di ucciderla, ma sono solo dettagli in fondo.

Il mattino seguente la portò al villaggio nascosto, dove molti riconobbero il fazzoletto rosso del nonno e la lasciarono passare, in quei giorni le mostrarono ciò che aveva portato, delle sue foto, e poi le loro tradizioni, la loro storia, di quando la popolazione si nascose nella montagna per sfuggire alle crudeltà dei conquistatori e la speranza dei suoi antenati di tornare un giorno in superficie. Insomma le spiegarono ogni cosa, lei promise che avrebbe pensato a un modo per farli uscire dall’isola.

Dopo 2 mesi condusse i primi abitanti di Make fuori dall’isola e vedendoli così felici ripensò a ciò che gli disse Ari quando stava per partire 2 mesi prima: «Ce l’abbiamo fatta Petra, tu volevi vedere compiuto il desiderio di tuo nonno e io, beh…Il sogno degli antenati.»

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1 commento »

  1. Bello, ma mi sembra il prologo di qualcosa.

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