Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “In alta quota” di Francesca Pelliccia

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Non mi piace la montagna, non mi è mai piaciuta e quando Lucia mi ha invitata alla sua baita per passare il weekend con alcuni suoi amici, non ero per niente entusiasta. Lei ha insistito come suo solito, mi ha pregata di andare, dicendomi che senza di me non sarebbe stato lo stesso e allora eccomi qua. “Wow non sapevo che sarebbe venuta anche Barbie” mi dice subito un suo amico appena varco la porta, capisco che il fine settimana sarà molto lungo. “Ma come ti sei vestita?” infierisce Lucia mentre mi squadra dalla testa ai piedi. “Ma che ne so” rispondo io, “non avevo niente di adatto allora sono andata al negozio sportivo dove la commessa mi ha consigliato questo set, ha detto che per le bionde il rosa è perfetto”.

Lucia continua a squadrarmi sconcertata, osserva il mio completo rosa fluo abbinato agli scarponi rosa pastello, effettivamente fino ad ora non mi ero accorta di sembrare una Barbie in carne e ossa. Sconcertata mi fa cenno di seguirla, “vabbè, vieni che ti presento come si deve” chiudendosi la porta alle spalle. I suoi amici tutti vicini al fuoco con un bicchiere di rosé in mano, manco a farlo a posta, mi fissano incuriositi e Lucia parte con la presentazione, “questa è la mia amica Giulia, lavora al…”.

Prontamente però interrompo il discorso, “dai Luci non tediarli, ciao piacere a tutti dalla vostra amichevole Barbie di quartiere”, ho detto presentandomi al volo, facendo ridere tutti. Non amo parlare di me, mi annoia terribilmente. Sono sempre stata affascinata dalle storie degli altri e per mia esperienza questo non è affatto un problema, le persone sono molto più inclini a parlare di sé piuttosto che ad ascoltare, così ho passato tutta la serata a sentire cosa avevano da dire. In realtà non amo particolarmente neanche le persone, non nel senso comune almeno. Amo i segni sul corpo e la storia che possono raccontare, ma soprattutto quelli che non si vedono, i problemi che di nascosto le persone si portano addosso e a volte anche quelli che non sanno di avere. “Allora come va, ti stai divertendo? So che non ami questo genere di cose o la montagna, ma qua è bellissimo sono sicura che starai bene.” Mi dice Lucia bussando alla mia porta dopo la serata prima di andare a dormire e poi aggiunge “domani per te va bene se andiamo a sciare giusto? Stiamo insieme, ma se non te la senti non devi venire”. Erano passati anni, anni da quando non ero sulla cima di una montagna. Non so neanche perché sono qua, cosa devo provare a me stessa, se sono pronta oppure no però alla fine ho deciso io di venire e non mi va di rovinare la festa a tutti, quindi rispondo che va bene, non c’è problema. Lei mi abbraccia a modo suo per un tempo lungo e io sento il suo cuore battere nel petto, comincio a contare perché è più forte di me, sessantacinque battiti al minuto, regolare. Non dico niente, a volte mi chiedo perché non posso essere normale, perché non posso godermi un abbraccio senza fare caso al cuore che batte, senza sentirlo in quel modo così analitico, senza dover controllare che Lucia stia bene, che tutti stiano bene.

“Buongiorno belli addormentati, una fantastica giornata di sole ci aspetta”, l’amico di Lucia ci sveglia tutti sbattendo una padella contro un mestolo, mi sembra di essere in una caserma. Non mi ricordo bene il suo nome dalla sera prima e nemmeno quello degli altri, sono pessima coi nomi. Il sole di montagna è terribile, è alto all’orizzonte, implacabile scalda senza sosta e una volta che sei in pista non esistono ripari. Ho portato la crema solare, la spalmo bene su tutta la faccia, ma già so che non basterà e che il mio naso si scotterà, dovrei godermi la giornata invece ho un altro pensiero fisso in mente, il melanoma. Questo pensiero mi aiuta a non pensare, a distogliere l’attenzione, il melanoma è meglio di ciò da cui la mia mente sta scappando con tutte le sue forze. Saliamo sulla funivia, ci siamo buttati su una pista per principianti tanto per scaldarci, non ho mai sciato. “Insomma vista la tua entrata scenica con quel completino di ieri direi che non sei una campionessa eh?” Andrea, mi ricordo solo il suo nome, scherza con me e io sto al gioco “no, ma l’abito non fa il monaco giusto? Potrei sorprenderti”. Spoiler: non sorprendo nessuno. Cado un po’ di volte e arrivo in fondo in un modo parecchio discutibile, uno spazzaneve rivisitato. Mi sfrecciano accanto bambini di ogni età, direi dai cinque ai dieci anni e se la cavano tutti molto meglio di me, mi guardano e ridono, come dargli torto. I piedi dentro agli scarponi mi fanno un po’ male, comincio a sentirli un po’ stretti, Lucia mi convince a provare una pista intermedia, non so perché ci sto andando.

Mentre salgo sulla funivia mi guardo intorno, la neve bianca circonda tutto, toccata dal sole sembra brillare di luce propria, riconosco la bellezza che mi circonda, ma una parte dentro di me non riesce a godersela. Il mio naso scotta, come sospettavo la crema non è bastata e resto immersa nei miei pensieri, combatto contro il ricordo e penso che non è colpa mia, né della montagna, non è colpa di nessuno. Proprio nel momento in cui tocco terra immersa nei miei pensieri sento urlare da lontano, viene dal basso, gridano aiuto. Io e Lucia ci precipitiamo giù velocemente, i miei piedi si muovono in un modo diverso adesso, sono veloce senza dover pensare, tengo il passo con lei anzi la supero e in un attimo vedo un suo amico, è a terra. “Non so cos’è successo stavamo scherzando poi si è accasciato così all’improvviso e ora non risponde, non so cosa fare”. Andrea ci guarda con il terrore negli occhi, completamente perso, senza appigli. Intorno a noi c’è solo neve, qualcun altro è arrivato e hanno chiamato i soccorsi, ma ci metteranno un po’, stanno tutti ad aspettare qualcuno, un segno. I miei ricordi si scontrano con la realtà, passano secondi che nella mia mente sembrano un’eternità, “non è possibile, non di nuovo” farfuglio frastornata. In un attimo rivedo mio padre a terra, la neve, mia madre che non c’è perché è con mio fratello, io ho solo cinque anni e non so cosa fare, sono sola. Urlo, chiamo la mamma, urlo fortissimo, non arriva nessuno.

Sono da sola in alta quota, comincia a fare freddo e ho paura. Quando dico che non so sciare è vero, perché io di come sono arrivata lassù con mio padre non ricordo niente, i miei ricordi partono esattamente da quel preciso istante. Di sicuro avevo gli scii ai piedi, ma non lo ricordo, ricordo solo lui. Mio padre accasciato a terra, il freddo sempre più pungente, il suo respiro affannoso, la mano sul petto. Aveva lo sguardo perso, in quel momento mio padre non sapeva niente e lui invece sapeva sempre tutto. Dopo non so quanto tempo, ricordo mia madre tornare con mio fratello e chiamare i soccorsi, poi mio padre legato, lo vedo sparire in cima a un elicottero. Non parlava, non lo ha fatto mai più. Io non capivo cosa stava succedendo, volevo andare con lui, ma non potevo, l’ho visto volare via ancora più in alto, mentre mia madre mi stringeva forte. Aveva avuto un infarto, a quarantatré anni, sono cose che capitano. L’ho saputo solo molto tempo dopo che cos’è un infarto, che non fa tante distinzioni e che può colpire chiunque in qualsiasi momento. Adesso, in questo preciso istante lo so bene che cos’è perché non ho più cinque anni adesso e quello non è mio padre, ma la storia si ripete. Sono stata con tutti quei pensieri nella testa solo per trenta secondi e poi ho reagito perché era l’unica cosa che dovevo fare, che sapevo fare. Rivedo lo sguardo perso, sento il freddo che mi punge le ossa e so che non c’è tempo da perdere, “fatemi passare, sono un medico”.

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4 commenti »

  1. “fatemi passare sono un medico” lo si intuisce alla fine del terzo paragrafo. Però gran bel racconto, superbamente scritto.

  2. Ho letto con partecipazione In alta quota. È scritto molto bene, a mio avviso, e ha la capacità di tirarti dentro le emozioni della protagonista coinvolgendoti appieno. Lo stato d’animo della voce narrante è reso con grande abilità e in effetti ci si attende da lei un qualche gesto significativo, viste le circostanze che si vanno a poco a poco delineando, il racconto crea insomma un’aspettativa, una certa suspense (ed è un risultato notevole secondo me, non così frequente): si tratta solo di arrivare fino in fondo e vedere cosa succede. Il colpo di scena c’è, ma forse non è tanto nel fatto che lei sia un medico quanto nel seguito non raccontato, perché ci si immagina che il medico intervenga con calma, metodo, professionalità e lucidità, in altre parole secondo me ci si immagina una figura ben diversa dal ritratto che la protagonista ha dato di sé fino a quell’ultima, breve frase rivelatrice 🙂

  3. Complimenti Francesca, bellissimo racconto e scritto benissimo!

  4. Vi ringrazio tantissimo per questi commenti così belli, sono davvero contenta che vi sia piaciuto.

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