Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 – “Teatro” di Adele Massi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Sono qui accanto a te. Ti prendo la mano, sono eccitata. Tu neanche sembri accorgertene. Ho il tuo brillante al dito e al collo quel ciondolo d’oro che mi regalasti a Natale. Non so se lo hai notato.

Il teatro è colmo di spettatori. Non è una novità. Quando c’è lei, è il pienone.

Mi giro e abbraccio con lo sguardo tutta la platea. Giovani, anziani, coppie di mezz’età, come noi.

C’è, nell’aria, quel po’ di tensione che senti sempre, alle prime, pronta a disciogliersi nel dramma, a cui, sappiamo tutti, stiamo per partecipare, e quell’attesa, anch’essa tipica, di una grande interpretazione, una promessa di immortalità che siamo pronti ad accogliere, per emozionarci, commuoverci e piangere per l’ennesima volta. Tutto si rinnoverà, fino alla catarsi. Ci immedesimeremo ancora in questa femmina orgogliosa, soffriremo con lei, la commisereremo. Lo attendiamo tutti quel momento, tranne te, che stai guardando il cellulare.

L’attrice è una primadonna, si sa, darà il massimo e compirà la magia che attendiamo per rinnovare lo stupore, in cui vogliamo immergerci, di sicuro in cui io voglio immergermi, dopo questi ultimi giorni in cui ti ho visto così distaccato, così distante…non voglio più pensarci… Questo è il teatro, per questo lo adoro. Sono certa che, quando si aprirà il sipario, lentamente, si creerà quel silenzio assoluto dove tutto è appeso ad un filo, tutti mi sembreranno trattenere il respiro e la mia mente si svuoterà per entrare nella finzione, che mi echeggerà dentro fino a toccare le corde più profonde, e, anche se non vorrei, piangerò. Eppure, tutti conosciamo le battute a memoria.

Ma comparirà quell’uomo, che cordialmente disprezzo, e si porrà al centro del palcoscenico, e il coro dei coprotagonisti a poco a poco popolerà la scena, e colorirà ogni battuta con quell’accento napoletano, quelle espressioni tipiche, così popolari, così spiazzanti, Madonna mia, che mi strapperà il sorriso… e noi, come dei guitti in scena, anche noi entreremo in questa storia, ancora una volta.

Ecco, si fa buio in sala, si chiudono i telefonini in fretta, e si fa silenzio. Nel buio intravvedo di sottecchi il tuo profilo, il tuo sguardo sembra distratto.

La protagonista è a letto, agonizzante. Che la farsa abbia inizio.

La scenografia è essenziale, gli attori si muovono con circospezione, lo sguardo basso, tra un letto in ottone, la brocca e il catino sul comodino, in penombra, un crocifisso sulla parete, le tende abbassate. Un fascio di luce illumina il centro dell’azione, gli attori trattengono a stento le lagrime, tutti tranne lui.

Lui è al telefono, sta dietro una quinta, visibile ai nostri occhi, riparato da una tenda dal centro della scena, e sta scusandosi, con voce soffocata, al telefono, di un ritardo, di un increscioso contrattempo…sembri tu, quando hai quel tono così convincente, che mi mette subito sulla difensiva, scuse ben congegnate, mi dico, inganni ammantati da verosimiglianza, mi immagino, a un punto tale che a volte penso di ingannarmi, di dubitare ingiustamente di te, sembra tutto così logico, invece. Voglio crederci… Forse vedo solo fantasmi, mi dico, e mi sento in colpa. E ora, seguo lui, il grande attore, così misero nei suoi sotterfugi, così insensibile, cinico…sì, lo detesto.

Il colpo di scena mi coglie preparata, sorrido, lo attendevo: lei si erge trionfante, al centro della scena, i seni prosperosi che strabordano dalla scollatura, ingenuamente orgogliosa del suo sotterfugio. È immensa, tutta discinta nella sua vestaglietta smunta; la prima attrice alza la voce roca in un impeto tagliente, che sale su fino in balconata, a urlare la sua vendetta. Applauso. Siamo tutti con lei, anche se è un’illusione.

– Te l’ho fatta, Mimì, siamo marito e moglie! – esclama strafottente.

Dio, quanto la amo! Finalmente una rivincita, anche se effimera, dopo tanto penare. Lo conosco quel senso di sconfitta perenne, quell’umiliazione costante, e se anche se lo deve strappare dal cuore, quell’uomo, lei lo fa. L’adoro, è il coraggio della disperazione, l’ultimo anelito di dignità di fronte all’ennesima onta.

E lui, vigliacco, che la insegue, la deride, le da dell’ignorante… che attore splendido, è perfetto nel suo sarcasmo, si sente vincitore, approfitta della sua ingenuità popolana. E poi, dopo una girandola di inseguimenti, tutti intorno a un tavolo, lo schiaffo, l’estremo insulto…

– Filume’…A te è più facile spogliarti che vestirti.

E lo scherno:

– Ma che ti credevi??

Già che ti credevi, eri una zoccola, ti ho raccolto dalla strada…

– A farti da serva…- risponde lei indomita.

Assisto impotente alla sua sconfitta, con l’avvocato che le spiega che il matrimonio, sì, non è valido, se ne deve convincere, la legge è chiara, non è valido. La legge, quale legge?

– Quando si conosce il bene e non si può avere…- dolente, il ricordo, sale e si espande per la sala, diventando denso, intenso, corporeo…

E poi, la descrizione dei bassi, il clima soffocante, la famiglia ingombrante, il padre traditore…perché mi commuovo ogni volta? Non merita pietà, dite, non la merita?

– Chi non c’ha cuore, non gli può venire l’infarto.

Gli attori la guardano fermi, la osservano contriti, sconfitta. Solo lui la insegue ancora, minimizza, la disprezza. Come fa a non capire il suo dolore?

E poi cala sulla platea, la rivelazione, il nuovo colpo di scena, la donna calcolatrice che ha saputo sfruttarlo a sua volta, fargli la cresta, prendersi il suo…come le spetta. Non è più arrogante, non implora, non piange. Rivendica. E si prende gioco di lui.

– I figli non si pagano.

No, i figli so’ figli, sono tutto…come una madre può diventare una tigre…lo so bene.

Ecco, ora è lui a diventare ridicolo, cerca di dissuaderla dal rivelare chi è, non vuole credere che, uno dei tre, “è figlio a lui”…ma lei gli infila una stilettata, bene al centro, al cuore di maschio…E’ vivo grazie a me, ‘o figlio tuo! E i figli sono tutti uguali. Non gli dirà mai qual è. Brava! Ma non per sottile vendetta, no, perché sei madre fino in fondo, sei grande! Perché li vuoi proteggere tutti, i figli tuoi. Ma lui che ne capisce, che può capire, egocentrico vanesio? Che ne sa, lui?

Mi muovo sulla poltrona, la mia indignazione si ricrea, ancora, una volta.

Maschio prevedibile e scontato, ora non sei più così arrogante, eh? Sì, non sei più l’inseguitore…ora preghi…non pregare, ora non sei più predatore, ora sei preda, preda della tigre che hai creato! Giustizia è fatta, non quella della legge, non quella degli uomini, ma quella delle donne. Ora sei tu a pietire…

Sipario. Fine del primo tempo. La luce si riaccende. Sono ancora preda alle emozioni, ma le nascondo quando mi chiedi:

– Vuoi qualcosa al bar?

– Sì, vengo con te.

Non un commento, non una parola.

– Ti piace? – chiedo.

– Lei o lui?

– Beh, entrambi…

– Lui un po’ impacciato, lei un po’ sopra le righe, direi…bravi i caratteristi, sì, quelli molto bravi…

Taccio. E mentre sorseggio il mio succo al pompelmo, dopo una lunga fila che abbiamo attraversato in silenzio, come due estranei, penso:

– Chi non c’ha cuore, non gli può venire l’infarto…Mimì, lo sai quando si piange? Quando si conosce il bene e non si può avere…

Eppure, alla fine, piange anche lei…io, chissà. Filomena mia, tu sì che si’ ‘na femmina.

Io invece rimiro il mio brillante. Mentre lui riaccende il cellulare.

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