Premio Racconti nella Rete 2011 “Esistenziale” di Alice Cappagli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Durante il servizio civile, e proprio negli gli ultimi mesi, mi hanno mandato da un non vedente.
Le disposizioni sono di andare la mattina alle 9 e di accompagnare questo signore per una passeggiata o qualche piccola incombenza, in modo da avere quattro ore a disposizione per dargli una mano. Però di fatto lui non mi sopporta tutto quel tempo, e a un certo punto, una volta tornati a casa, mi dice ogni volta: «mi pare che sia tardi, probabilmente è l’ora che tu vada».Quindi è chiaro che mi vuole congedare per essere libero di restare da solo con i suoi pensieri. All’inizio mi sembrava strano, perché ero convinto che per uno nelle sue condizioni sarebbe stata una fortuna avere un po’ di compagnia, però poi con il tempo mi sono reso conto che forse sbagliamo a fare valutazioni sulle necessità degli altri.
Mi è capitato così di passare delle mezze giornate con lui: si chiama Ugo, è un pensionato, vive solo perché il figlio unico lavora all’estero e la moglie è morta dieci anni fa. Inutile dire che la situazione non è delle migliori, tuttavia non avrei mai immaginato che questa considerazione potesse diventare più opinabile che banale. A stare con Ugo ho imparato che si può vedere il mondo senza doverlo necessariamente guardare, come pure ho imparato che ogni particolare fa un rumore o che ogni cambiamento ha un odore. Ho anche imparato che ogni cosa può essere descritta, e che le parole sono potenti come i fatti, perché ad esse corrisponde una realtà. Prima non ci facevo gran che caso, d’altra parte di parole se ne sentono tante, buttate là insieme agli sguardi, ai gesti, ai sorrisi, alla musica, buona o cattiva che sia. Sembrano contorni, e invece è il piatto forte a mancare, così si sostituiscono al vuoto e lo rappresentano.
Quando suono il campanello a casa di Ugo, sento annaspare un po’ dietro la porta, in modo maldestro, poi lui apre apparendo nella sua giacca da casa a volte messa alla rovescia, e apre senza chiedere mai chi è, anche se è imprudente. Io glie l’ ho detto, ma lui risponde sempre «sapevo che dovevi essere te», come se non dubitasse mai di quello che deve accadere così come non dubita di quello che è accaduto. La radio è accesa, e immagino che la ascolti a ore a giudicare dalla quantità di pile che mi fa comprare. Ascolta notizie su notizie, commenti, musica classica, a volte letture di qualche libro, per lo più si tratta dei grandi romanzieri russi, roba che a me pare pesantissima.
«Ti dispiace leggermi i titoli del giornale che mi hanno portato ieri?», lui non considera mai scaduto un quotidiano, probabilmente perché ha una concezione diversa del tempo: mi chiede le cose con titubanza, quasi come se temesse di essere troppo esigente. Ma in pochi giorni ho capito che in realtà teme più i miei errori di lettura che i miei eventuali rifiuti. A volte mi corregge, ma più spesso fa una smorfia che secondo me significa che sono inconsapevole e grezzo come il legno di Geppetto.
La casa è cosparsa di libri e tazzine, cassette registrate e indumenti. Mi ha detto che una volta ci vedeva, abbastanza per studiare e per insegnare storia, ha letto finché ha potuto e poi, da una ventina d’anni, è sopraggiunto il ‘buio totale’, come dice lui.. Ma non vuole cedere, si arrangia con una domestica, con qualche vecchio amico, e preferisce andare in giro senza bastone, ma con l’ombrello. Anche se c’è un sole che spacca le pietre. Di prendersi un cane non se ne parla nemmeno, non gli leggerebbe nulla, sostiene che al limite è meglio un ragazzotto della periferia come me che almeno ha tentato di iscriversi a scienze politiche, senza andare oltre il quarto esame.
«Ma come fai a reggerlo?», dice la mia ragazza.
Lo reggo eccome, d’altra parte con i giovani ci sa fare visto che alla fine era il suo mestiere. Si tratta semplicemente di capire come fa lui a vedere il mondo. E sicuramente lo vede, anche se io non so spiegare come.
Ieri mattina ha messo la mano fuori dalla finestra (lo fa sempre prima di uscire per avere un’idea della temperatura), poi ha detto che avrebbe piovuto in giornata. Non gli avevo dato peso però ha piovuto per davvero, anche se la luce era quella di una giornata sana, tant’è che mi ero provato a descriverla:
«Il cielo è lattiginoso, no?», mi aveva chiesto Ugo.
«Non saprei, c’è il sole, non è tantissimo però scalda e poi…»
«Ho capito. Il negozio di fronte ha la tenda arrotolata?», ha chiesto.
«Si»
«Ma si vede l’ombra del tiglio? E’ netta o indistinta?»
«Poco, l’ombra non si vede tanto, è come sfocata», mi sembrava di essere un libro stampato.
«Pioverà», ha concluso con sicurezza.
Così siamo usciti con l’ombrello come d’altra parte succede in ogni caso, però si è anche voluto mettere l’impermeabile: «perché non si sa mai», ha aggiunto, e ci siamo incamminati lentamente, un po’ ondeggiando, verso i giardini di Porta Venezia. Lui abita in quella zona di Milano, all’ultimo piano di un vecchio palazzo, a volte passiamo nei pressi dell’ Istituto dei ciechi ma lui non lo cita mai quando mi vuole descrivere l’itinerario. Come se fosse un luogo nascosto alla sua mente.
«Sai», mi ha detto, «è stata mia moglie a insistere perché venissimo qua a Milano anche se lei era di Pisa e io di Viareggio. Secondo mia moglie a Milano avrebbero trovato un rimedio per la mia vista, perché credeva che nelle grandi città come questa ci potessero essere più specialisti all’avanguardia, e tante novità. Invece non si poteva fare nulla neanche qui…stai attento al traffico, a questo incrocio non si fermano, si sente che accelerano».
Chissà come faccia Ugo a distinguere così bene i punti in cui si può attraversare senza rischiare la pelle, però io mi sono accorto di quanto sia difficile portare in giro un cieco in una città programmata per ingrassare gli ingranaggi dell’economia.
Fra le moto e le macchine spiaggiate sui marciapiedi, gli escrementi, i pali che segnalano divieti disattesi, la gente che corre con l’auricolare, non c’è mai spazio per me e Ugo. Tutti hanno una mèta sempre troppo lontana, un corpo sempre troppo più voluminoso del nostro, delle esigenze infinitamente più inderogabili delle nostre, un cane sempre più commovente e scusabile di un vecchio con l’ombrello. Ugo mi prende il gomito e mi segue come fa un mercantile attaccato a un rimorchiatore, reagisce sempre un po’ dopo di me, per cui sono diventato bravo ad anticiparlo per cercare di non farlo inciampare. Ma è difficile in questa città.
Così andare al parco diventa un sollievo per tutti e due e lì finalmente non c’è più bisogno di urlare per sovrastare il traffico. Ci sediamo su una panchina come due naufraghi che hanno superato Scilla e Cariddi e aspettiamo che torni il fiato, che le narici possano dimenticare l’odore degli scarichi.
«Hai fatto caso che quando siamo sulle strisce accelerano per non rischiare di dover aspettare?»Questo è un suo tema ricorrente.
«Si», rispondo io sospirando, non riesco mai a trovare qualche parola intelligente.
«Secondo me sta arrivando la primavera», ha aggiunto Ugo. Io stavo giusto pensando che faceva assai più freddo di una settimana prima.
«Guarda un po’ se riesci a vedere qualche segno della primavera. Io sento cantare un uccellino che la volta scorsa non c’era, senti come è allegro!», e ha sorriso divertito.
Io guardavo invece le sue scarpe impolverate, perché non solleva bene i piedi quando mi segue titubando, forse è timoroso di essere condotto in prossimità di qualche trabocchetto del selciato, ma no perché non si fida di me, semplicemente non si fida della città. Fosse a Viareggio probabilmente si fiderebbe.
Siamo rimasti lì come in una bolla di tempo, protetti dal verde, fagocitati dalla calma del parco, finché ho trovato una risposta:
«Si, è vero», ho detto, «c’è qualche minuscola gemma su un ramo».
«Sai che albero potrebbe essere?»
Ma io non me ne intendo, e sono rimasto solo a contemplare il ramo chiedendomi come mai Ugo ci avesse azzeccato anche con la primavera. Lui invece se ne stava lì serio e concentrato ad ascoltare, o meglio ad auscultare: come fa il medico che mi ausculta i polmoni quando vado a farmi vedere dopo un mese che tossisco. Il dottore poi dice che è l’inquinamento, invece Ugo ausculta e dice:
«C’è ancora il barbone che rufola nel cestino? Sento un vago odore di rifiuti».
Lontano c’era un uomo giovane con una lunga barba che esaminava con cura quello che cavava fuori da un contenitore verde attaccato al palo, una quantità incredibile di piccole cose recuperabili compresi panini sbocconcellati.
«Si».
«Che ha trovato?»
«Una banana marcia, ma pare che gli piaccia».
Ugo è stato in silenzio per un po’, e poi ha tirato fuori il suo vecchio portamonete.
«Guarda quanto c’è qui dentro..», mi ha detto intanto che tastava le monete perplesso.
Probabilmente qualcuno gli aveva messo i soldi contati per un giornale, l’ennesimo da leggere magari dopo una settimana o un mese, e forse un caffè. Qualcuno che lo conosce poco perché Ugo sa distinguere le monete.
«Guarda un po’», ha ripetuto, «c’è poca roba qui..».
«Si, dipende, non abbiamo nulla da comprare».
«Il giornale?» ha chiesto.
«Si…».
Ha riflettuto un altro po’, tanto eravamo sospesi nella bolla di tempo e il mondo non ci contaminava:
io, Ugo, e il barbone che gustava con soddisfazione la banana macerata dall’umido.
«Dagli una moneta, bada che sia una un po’ pesante..»
«E il caffè?»
«Me lo sapresti fare? A casa ho quello solubile. Ti aspetto qua. Bada di non farglielo pesare..»
Appena sono tornato da Ugo aveva già aperto l’ombrello: iniziava a cadere qualche goccia di pioggia.
Il personaggio é ritratto con efficacia, il quadro é veramente espressivo, di quelli che non si dimenticano.
Garbo ed essenzialità nel descrivere gesti quotidiani di personaggi che quotidiani non sono. “Hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non sentono”; qui c’è la dimostrazione che gli occhi dell’anima sanno vedere meglio di quelli della testa.
Mi fai conoscere il tuo?
Il mio racconto? E’ in rete e si intitola Paska Zau.
Poetico e delicato. Semplice e al contempo intenso. Ugo è un personaggio davvero reale.
Ugo conduce il suo amico alla scoperta del mondo; gli fa guardare e comprendere ciò che normalmente non nota nei dettagli, affinandone la capacità di osservazione. Il nostro giovane volontario non potrebbe avere insegnante migliore. Ciò che apprende dal suo maestro è di alta qualità perché chi glielo trasmette, non ha bisogno di vedere, è infatti capace di ascoltare e sentire tutta la natura circostante ed il suo divenire. Il racconto ci disegna con efficacia una originale inversione di ruoli riuscendo a non cadere in una banale morale ed in un facile sentimentalismo.
Sono d’accordo con Rita, Ugo fa pensare che tu quest’esperienza l’abbia vissuta in prima persona. Mi piace il fatto che il tuo racconto faccia riflettere su particolari di cui non ci accorgiamo che pochissime volte.
Bel racconto, ben scritto. I personaggi descritti attraverso i loro pensieri, i loro movimenti. Mi è piaciuto molto.