Premio Racconti nella Rete 2025 “Acquari” di Antonello Rocco D’Avenia
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Immobile, si lasciava trascinare dalla scala mobile tra la folla dell’aeroporto Enrico Mattei di Pisticci. Quel giorno vi era l’inaugurazione di quella struttura aeroportuale, e il suo volo, partito da Nantes che era ancora buio, alle sei e quarantanove era il primo che toccava terra. Ad attendere quel momento, insieme alle prime luci dell’alba, c’erano sindaci, prefetto, vescovo e Presidente di Regione. Max era lucano e per la prima volta poteva tornare a casa in aereo. Due automezzi speciali antincendio lanciavano per l’occasione festose arcate d’acqua su quel velivolo che primo fra tutti toccava la lunga pista d’atterraggio. Il taglio del nastro tricolore mostrava la coesione delle Istituzioni, già strette in posa per la foto, fianco a fianco, con delle forbici in mano.
Max aveva partecipato a quelle celebrazioni da passeggero, in modo casuale, e mentre provava a sgusciare tra la folla per trovare l’uscita, sentì il bisogno di fumare. Ma la calca per quel giorno così atteso creava un viavai di curiosi, fotografi e giornalisti che gli impediva di raggiungere la porta a vetri scorrevole che lo separava dall’esterno.
Indossava un abito chiaro, color panna, ma troppo largo per la sua taglia, così anziché dargli eleganza, lo faceva sembrare un po’ goffo. Una camicia scura dava un po’ di colore alla sua figura. Aveva trentasei anni e una corporatura magra e secca. I capelli, folti e ondulati castano chiaro, gli donavano un certo fascino, così come gli occhi, che affondavano in una profondità di sguardo che a prima vista nessuno avrebbe detto. Le pupille si muovevano velocemente al ritmo dei pensieri. Indossava occhiali da sole neri curvi senza montatura e camminava con un Barbour nero appoggiato sul braccio che lo aiutava a prendere spazio tra tutta quella folla.
Ci mise una mezz’ora buona per divincolarsi da quella ressa di cronisti e curiosi. A costeggiare l’uscita, un ampio acquario di pesci tropicali. Costruito con forme squadrate rettangolari, era incastonato all’interno di un muro. Un cornicione dorato lucido, lo impreziosiva in modo kitsch. Quella struttura d’acqua marina godeva di una maestosità che chiunque, uscendo, non poteva che ammirarlo. Max si soffermò a guardarlo per alcuni minuti chiedendosi quanti litri fosse. Era imponente.
Quando finalmente varcò l’uscita cercò con lo sguardo l’area dedicata ai fumatori. Il sole ancora freddo di gennaio incominciava adesso ad alzarsi. Stringendosi nel Barbour che aveva indossato, si avvicinò lentamente al grosso posacenere nero, accerchiato da altri fumatori che si ammassavano intorno come fosse un totem. Prima di estrarre la sigaretta si fermò a guardarsi intorno, lo colpì la grafica di un cartellone pubblicitario, che enorme enfatizzava un amaro che a fiumi si riversava in un mare ghiacciato, poi osservò la navetta di turisti asiatici che accumulavano alla rinfusa valigie proprio nel mezzo dell’andirivieni delle autovetture.
Tirò fuori la sigaretta con un gesto ricercato, battendo con due dita sul pacchetto morbido. Fece rigirare la sigaretta tra le dita e se la portò alla bocca stringendola tra il pollice e l’anulare. In fondo non aveva fretta, poteva godersi il momento. Dalla tasca tirò via la custodia delle cuffiette bluetooth per ascoltare un po’ di musica. Con calma prese il cellulare e fece partire la playlist sailing in the summertime dove selezionava canzoni del momento.
Al suo fianco si avvicinò un ragazzo alto dalla schiena dritta, capelli castano scuro, sguardo sveglio, avrà avuto 26 anni. Anche lui accese una sigaretta, ma con fare deciso e veloce. Mentre fumava, guardava fisso il cellulare e pareva concentrato come assorto in una delicata operazione bancaria. A differenza sua, era vestito molto bene. Gli guardò il polso, aveva un orologio in oro rosa, che ragionò gli sarà costato poco meno di trentamila euro.
Finì di fumare in fretta e cercò lo stallo per prendere l’autobus che lo portasse nel centro storico del piccolo paese lucano di Pisticci. Guardando i quattro monitor appesi al muro capì che il suo autobus era allo stallo 19. Giunse all’area di sosta del Terminal a passo lento notando che il mezzo era già lì, pieno di viaggiatori che spintonavano per entrare. Quando salì, si sedette ai primi posti, alle spalle dell’autista, gli unici posti liberi. Passarono pochi minuti quando su l’autobus salì anche il ragazzo che aveva scrutato poco prima. Si sedette al suo fianco. Due minuti dopo, l’autobus partì.
Come il giovane prese posto, Max tirò giù le maniche della giacca per coprire il suo orologio dozzinale. Con sguardi furtivi provò a rileggere con attenzione l’eleganza curata del ragazzo. Questi aveva un abito blu che per manifattura era decisamente più costoso del suo. Le scarpe erano di modello derby nere decisamente di gran gusto. La camicia era a righe bianche e azzurre, finissima. La cravatta non gli piaceva, ma ormai si era messo in discussione e alla prima occasione si promise ne avrebbe comprata una simile, non della stessa stoffa, ma della stessa fantasia sì. Si fidava a pelle di quel giovane che sapeva il fatto suo e nonostante l’età doveva saperne più di lui.
Il ragazzo si sentì osservato, si mosse come infastidito, ma poi si rivolse verso Max, e chiese: “Scusi, è mai stato a piazza Mercato?”
“Si, tra l’altro è la mia fermata” rispose Max.
“Ah ottimo, devo andare al Vanity hotel. Lo conosce?” disse il ragazzo.
“Si è un hotel due stelle, poche stanze, ma molto curato. Un po’ nascosto, è dentro un palazzo storico, non ha insegne se non all’ingresso del piano. Comunque se ha l’indirizzo non può sbagliare.”
Il ragazzo si limitò a ringraziare senza dire altro.
Restarono in silenzio finché non arrivarono a Piazza Mercato. Scesero insieme. “Andiamo nella stessa direzione. L’accompagno al Vanity hotel se le va, è di strada per me.” disse Max al ragazzo che annuì con la testa. E provando ad approfondire la conoscenza, Max continuò: “Che ci fa qui?”.
“Vendo acquari” rispose il ragazzo “Ha visto quell’enorme acquario dell’aeroporto? L’ho realizzato e curato io, pensi è grande 4000 galloni d’acqua. C’ho messo più di sei mesi per completarlo. È unico nel suo genere. E ora il Vanity hotel vuole creare qualcosa di simile, ma più contenuto. Sa, è un hotel in ristrutturazione, vuole investire. Ha grandi progetti. Sono qui per fare un sopralluogo. Per fare un acquario così, serve vedere bene gli spazi. A me non piace improvvisare, sono un professionista nel mio”.
“Un acquario, che storia assurda, non me l’aspettavo. Ma grande quanto?”
“Eh non so” rispose il ragazzo “Vediamo, sarà grande quanto un intero muro, però bisogna vedere gli spazi, glielo l’ho detto, le misure, gli angoli, gli oggetti intorno, mica s’improvvisa”.
“Wow, un acquario grande quanto un muro intero” ripeté Max, e poi continuò “Da ragazzo avevo in casa, proprio all’ingresso, un piccolo acquario marino. Avevo un pesce pagliaccio. Ma il mio acquario era davvero piccolo, insomma, non era l’ideale per un pesce di mare. Voglio dire, un pesce di mare ha bisogno del mare o almeno di un acquario grande quanto un muro. Scusi, ma 4000 galloni a quanti litri corrispondono?”.
Il ragazzo non rispose, ma prese una sigaretta dal pacchetto che aveva in tasca e con un movimento rapido l’accese e iniziò a fumare camminando. Sbuffando nicotina riprese il suo discorso: “Sa, in realtà il Vanity ha chiesto due acquari, uno marino per metterci diverse varietà di anemoni e un altro di acqua dolce per pesci fluviali sudamericani. Apprezzo la loro scelta, e non perché sono di parte, insomma questo è il mio mestiere certo, ma se un giorno viaggiando tornassi qui e dovessi scegliere un hotel, sicuramente sceglierei il Vanity perché ha un arredamento, intendo un design, di questo tipo”.
Max si fermò dal dire altro perché si accorse che erano arrivati davanti al palazzo cinquecentesco dove al terzo piano c’era il Vanity hotel.
L’uomo e il ragazzo si guardarono come per salutarsi.
“Mi chiamo Alex” disse il ragazzo.
“Io Max” – “E abito alla fine della via, dove c’è il ristorante Il gabbiano. Sentiamoci perché anche io cerco un acquario per me, qualcosa di sostenibile. Sono anni che vorrei rimetterne uno a casa, si prenda il mio numero e ne riparliamo”.
Il ragazzo annuì, prese il numero e si congedò velocemente. Max si avviò verso casa ripensando a quell’incontro, e chiedendosi chissà a quanti litri corrispondessero 4000 galloni d’acqua.
Giunto davanti al ristorante Il gabbiano, si fermò. Era un posto chic, stellato, non aveva mai osato entrarci perché immaginava fosse troppo caro per le sue possibilità. Ci passava davanti ogni giorno, ma solo ora, in quel momento, notò che dall’ampia vetrata s’intravedeva, oltre i tavoli, un acquario dai vetri sporchi dove astici ammassati gli uni su gli altri, con le chele legate, formavano una pila di povere creature destinate alla mattanza.
Vorrei saperne di più di questo Max, è un personaggio interessante: astice da ristorante o pesce d’acqua dolce? Gli acquari grandi e quelli piccoli, l’aeroporto di un paese e i bus affollati, chi ostenta e chi cela, i tanti dualismi del racconto creano un’atmosfera solida. E rarefatta. Mi è piaciuto, complimenti.