Premio Racconti nella Rete 2025 “Il coro” di Roberto Ghidorsi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Un coro, di voci bianche. In una piccola chiesa di paese, la sera di una settimana prima di Natale. Sono una ventina di bambini, composti su due file, i maschi dietro, sono i contralti, le femmine davanti: i soprani. Sono disposti in un cerchio, davanti all’altare, così il nostro sguardo può liberamente girarci intorno, durante tutta l’esecuzione del brano. È una musica di un giovane compositore, composta su una poesia di Pascoli. L’organo comincia a suonare le note dell’introduzione, che servono a intonare e a guidare il canto dei ragazzi, anche lui rotondo, ripetitivo, cadenzato sul breve e semplice testo.
Un marciapiede, in un grande sottopasso di una grande città. La stessa sera. C’è un grosso fagotto. Una coperta che avvolge un’altra coperta, sopra un cartone che è stato appoggiato sul marciapiede, nel ristretto spazio tra un pilastro e il successivo della lunga galleria. Il fagotto nasconde un uomo, che dorme. È solo, non ha più nessuno che può prendersi cura di lui. Tecnicamente è orfano. Di tutto.
Metà dei ragazzi ha iniziato a cantare, i rimanenti sono ancora immobili e impettiti nel loro maglione nero, i colletti bianchi delle camicie, le braccia distese lungo i fianchi, le mani appoggiate ai pantaloni scuri. Non ci guardano, mentre con il nostro sguardo cominciamo a girare loro intorno, lentamente.
Lenta fiocca, fiocca la neve. Lenta, lenta fiocca la neve…
Fuori dal sottopasso sta piovendo. Una pioggia sottile, ma intensa. Le auto la trascinano all’interno della galleria, con i loro pneumatici, con i parabrezza, con i tergicristalli che vi oscillano sopra. Lasciano scie di bagnato sempre più larghe, più scure.
(Lenta fiocca, fiocca la neve. Lenta, lenta fiocca la neve…)
Un istante prima che noi leviamo gli occhi verso l’alto, verso la volta a crociera che copre l’abside della piccola chiesa, anche l’altra metà dei ragazzi inizia a cantare. È la linea melodica del brano, che si appoggia sulla precedente armonia di base, ma le si mantiene distinta.
Senti: una zana dondola pian piano…
Verde, la volta in pietra costruita all’interno dell’incrocio tra due costoloni, anch’essi in pietra. Un verde scuro, di muschio, di sottobosco, che volutamente è stato messo a contrastare con i rossi, gli arancioni e gli ocra delle scene affrescate sulla faccia dell’arco che prospetta sulla corta navata dei fedeli. Sono tante scene, in sequenza: una presentazione al Tempio, un’Assunzione, una Natività.
…un bimbo piange, il piccol dito in bocca…
(Lenta, lenta fiocca la neve…)
Se, all’aperto, la città avvolta dal buio è silenziosa, tutto sommato, sotto le campate di quei grossi e alti pilastri in cemento, illuminati da diverse file di luci arancioni e fioche, il frastuono è assordante. Per tutta la galleria rimbombano, rimbalzando sulle pareti, contro la volta, le vibrazioni delle auto che si inseguono, i rumori dei motori che accelerano per non perdere il semaforo posizionato in corrispondenza dell’uscita là in fondo, squarciano i timpani i colpi di clacson che intimano al veicolo che precede di non azzardarsi a rallentare, perché tra due secondi diventerà giallo.
… canta una vecchia, il mento sulla mano…
(Lenta, lenta fiocca la neve…)
Il nostro movimento circolare intorno al cerchio dei ragazzi e il canto che stanno intonando le loro bocche sono diventati tutt’uno. Cominciamo a sentirci anche noi avvolti in quella spirale che ci solleva, verso l’alto. Non solo metaforicamente: cominciamo a vedere più da vicino le file di dottori della chiesa, di angeli e arcangeli che seguono, uno sopra l’altro, le linee dei costoloni; i medaglioni con le Madonne in trono e i Cristo benedicenti che ci osservano, col loro medievale e ieratico sguardo, da lassù. E noi giriamo, giriamo, giriamo.
… La vecchia canta: intorno al tuo lettino…
(Lenta, lenta fiocca la neve…)
La melodia è diventata ipnotica. È un mantra che si ripete, continuo, quasi monocorde, ma dentro un meraviglioso impasto di voci, sottili, leggere. Acute e meno acute. Quasi perfette.
(Lenta, lenta fiocca la neve…)
Il freddo è diventato una foresta di pugnali, sono tutti riusciti a perforare quelle coperte lerce e a infilzarsi nei piedi, nei fianchi, nel petto e nella gola dell’uomo. Dell’orfano.
… c’è rose e gigli, tutto un bel giardino…
(Lenta, lenta fiocca la neve…)
Anche i gas di scarico, micidiali cocktail di ossido di carbonio e altri veleni vari, hanno invaso la poca aria contenuta all’interno del fagotto, e ne hanno preso il posto. Gli orecchi dell’uomo non ne possono più di quei rumori violenti, delle vibrazioni basse che continuano a scuoterlo e del freddo che li sta martellando di dolore, fin dentro la testa.
(Lenta, lenta fiocca la neve…)
Non c’è un cuscino, solo il risvolto delle coperte, che lui si è cacciato a forza sotto il capo, tra il cartone e il cappuccio del giaccone che indossa. E poi sotto le scarpe, le gambe, le braccia, per non lasciar spiragli al freddo.
…Nel bel giardino il bimbo s’addormenta…
Ora siamo sopra il coro, continuiamo a girargli intorno, ci abbassiamo, vediamo in sequenza tutti quei bei visi sereni, felici, gioiosi. Quelle bocche che sono state bene educate a modulare i suoni; li emettono potenti, poi più moderati, poi lievissimi, seguendo i movimenti delle mani del maestro che li dirige. I busti rigidi, dritti. Le braccia lungo i fianchi. I colletti bianchi che sbucano dai colli a V dei maglioni neri e incorniciano i loro visi di preadolescenti. Belli, puliti, pettinati, giovani.
… S’addormenta…
Il fagotto è sempre lì. Steso sul cartone tra due dei tanti pilastri che reggono la volta del sottopasso. Lo intravediamo solo tra il passaggio di un’auto e quella successiva, perché è proprio sul marciapiede centrale, quindi è quasi impossibile, per il nostro sguardo, avvicinarsi.
(Lenta, lenta fiocca la neve…)
Ci sembra stia muovendosi ancora. Sussultando, piano. Ma poco, molto poco. È quasi impercettibile.
(Lenta, lenta fiocca la neve…)
Ora il suono dell’organo si interrompe. Proseguono solo le voci, tutte insieme, senza canto. Solo sussurrate, nel silenzio totale della chiesa.
(Lenta, lenta fiocca la neve…)
Ancora più sussurrate. Un soffio, appena appena udibile.
Il movimento del fagotto si è fermato. Ora è immobile.
Lenta, lenta. Fiocca la neve.
È un racconto di fantasia. Liberamente ispirato a una partitura per coro, La neve, di Andrea Venturini (2008), a sua volta composta su una poesia, L’orfano, di Giovanni Pascoli (1891); realmente ascoltato in quella piccola chiesa.
Secondo me davvero bello, con il contrasto tra la bellezza musicale del coro e il barbone morente nella cacofonia del traffico.
Un racconto dal taglio molto “visivo”, tutto al presente (scelta rara), articolato su più livelli, con il fil rouge della poesia di Pascoli che unisce il destino del senza tetto a quello dell’inconsapevole coro di bambini e il sincrono fra musica e vita che finiscono insieme. Una bella architettura, decisamente inconsueta, costruita intorno alla solitudine e alla povertà contrapposte sia alla rappresentazione d’una distante vita celeste, colta non a caso sotto Natale, sia all’indifferenza terrena, almeno questa è la lettura che ne traggo io. Molto interessante e originale. 🙂