Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Vino, carote e rosmarino” di Piero Orlando

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

“Verrà l’era in cui i pazzi saranno savi e le loro parole diffonderanno serenità”.

Macchiorru chiuse il libricino che in quel tempo ritrovato era solito leggere, seppure sfogliandolo in modo casuale. Sulla copertina di pelle di pecora diventata color ocra vi era una scritta incisa con lettere dorate e scrostate: “De vulgaris sapientiae”. Era un vademecum di luoghi comuni,  apocrifo. Chissà perché, in quei giorni mesti, lui si ostinava a consultarlo. Sul segnalibro altrettanto logoro che era solito ficcare tra le pagine come se tagliasse un mazzo di carte, qualcuno aveva scritto a penna:

– Io sono una forza del Passato.

Solo nella tradizione è il mio amore.

Vengo dai ruderi, dalle chiese,

dalle pale d’altare, dai borghi

abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,

dove sono vissuti i fratelli. –

“Sdeng” risuonò il mestolo urtando il piatto. Servizio a mo’ di lancio del peso: “e che fai Maria, se ‘sto cutturiddi me lo butti così mi passa la fame” le disse Macchiorru.

“E tu te ne stai sempre con ‘sto libro, e chissà cosa ci sarà da leggere in quelle quattro pagine unte, e mettiti a cancariare.  Devo andare in bagno da stamane, un po’ i bambini, un po’ tu, ancora non sono riuscita. Non volevo essere maleducata”. Lei ci metteva pure il vino rosso durante la cottura. A lui il cutturiddi piaceva colorato e profumato così: col vino, le carote, il rosmarino e preparato nel coccio.

Consumata la cena, Macchiorru prese il telefonino, aprì whattsapp e fotografò la frase che quel giorno gli era rimasta impressa, quella dei pazzi, poi scelse condividi e cercò i contatti: Pipirussu, Ippazio, Pecuraru, Mangiafarina, Mustazza, Ghetta: invia. Mezz’ora dopo tutti i segni di spunta erano diventati azzurri ma di risposte neanche l’ombra, le vecchie vie lastricate della memoria verso piazza dei Ritrovati erano state asfaltate e riasfaltate, non ci si poteva aspettare granché. E dopotutto lui che ne sapeva di verità, perché gli era venuta ‘sta smania di mettere le cose a posto, questa specie di voglia di riappropriarsi di quel che ultimamente riteneva gli appartenesse: la sua vita, il senso della sua vita.

Una vibrazione sul tavolo di castagno. Ma guarda, Mangiafarina rispondeva con un video comico, accompagnato da una didascalia che lo specificava come “effetto da isolamento”. Era un siparietto in cui marito e moglie rinchiusi in casa si davano botte sulla testa ricoperta da una specie di scolapasta, forse per il tedio, oppure perché impazziti male nel tentativo di ingannare l’attesa. Macchiorru cominciò a sorridere, ma le labbra si bloccarono in una specie di smorfia, può darsi a causa del baffo che gli restituiva l’odore acre del sigaro, oppure perché la scena aveva un aspetto grottesco. Rispose con quelle faccette gialle che sorridono, pure per lasciare tempo al succo di fermentare e vedere se diventava vino.

Prima di sera anche gli altri risposero con qualche minchiata simile. Certo, erano tutti quanti annighièt, lui compreso. Poco dopo mezzanotte lo svegliò il ronzio di quel moscone che da un paio di giorni era ospite fuoristagione in casa sua.  La manata centrò in pieno il cellulare che si stava ricaricando sul comodino e così vide il messaggio: “Ah, mancava Ippazio, e che cantilena ha scritto.” L’amico si era preso la briga di ricopiare tutto un testo di quel regista che aveva fatto un film a Matera a metà anni ’60. –  Finché il “diverso” vive la sua “diversità” in silenzio, chiuso nel ghetto mentale che gli viene assegnato, tutto va bene e tutti si sentono gratificati dalla tolleranza che gli concedono. Ma se appena egli dice una parola sulla propria esperienza di “diverso” oppure, semplicemente, osa pronunciare delle parole “tinte” dal sentimento della sua esperienza di diverso, si scatena il linciaggio, come nei più tenebrosi tempi clerico-fascisti. Lo scherno più volgare, il lazzo più volgare, l’incomprensione più feroce lo gettano nella degradazione e nella vergogna. –

Altro che camomilla ci voleva per digerirla la frase, e poi a quell’ora. Però Ippazio un segno di fecondità l’aveva dato.

Macchiorru intuì subito che questa cosa del diverso riguardava ciascuno di noi. Si, all’apparenza uno poteva pensare che fosse indirizzata a una minoranza, ma quelle parole tinte dal sentimento di esperienza di diverso, erano proprio le parole che a lui sembrava di non poter più pronunciare. Pena la vrigogna.

Quella notte stessa sognò umido. Stava in un’aula di tribunale, cercava di scagionare un suo amico da alcune colpe che riteneva avere commesso lui e che il giudice invece attribuiva all’altro, subito dopo si vedeva travestito da frate, per non farsi riconoscere, mentre partecipava al proprio funerale. Allora si lanciava nella fossa e si pigliava il proprio cadavere in braccio, portandoselo via.

Alla mattina il moscone se ne stava ancora là, a grattarsi con le zampette, appoggiato sul lembo di segnalibro che spuntava tra le pagine ingiallite.

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