Racconti nella Rete 2009 “La vita è nei sensi” di Martino Sgobba
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009
LA VISTA
Mauro si era frantumato e ritrovato nell’esistenza di Giulia durante le prove di uno spettacolo teatrale. Lui scrittore notturno e distratto giornalista, con una penna e un’agenda stanche da troppo tempo. Lei era sul palco. Sola. Sul confine del buio. Sul confine della luce. Sussurrava, implorava, piangeva, scagliava grida, parlava ad un desiderio fuggito lasciandole pietre e vetri sotto i piedi. Tagliava il palcoscenico nello sguardo del solitario spettatore. Era un corpo danzante con gesti di lacerato stupore, ricoperto di deserta bellezza da una flessuosa, dolente bianca veste di seta.
Mauro vedeva la danza. Le parole correvano a fermargli le palpebre. La luce e il buio bruciavano i suoi occhi. Un fragore di pianto gli apparve improvviso e poi un lamento lo costrinse a leggere sul volto di Giulia il dolore dell’abbandono, sul ventre il rimpianto del piacere, nei passi il silenzio della speranza.
La donna era distesa, su un fianco, offriva la schiena e la carne delle gambe. Mauro non ascoltava le parole gettate sulla scena, ma le scrutava come se fossero immagini, una dopo l’altra, ora lentamente, ora freneticamente.
Giulia si girò, ma il buio le nascose il viso. Altre parole rotolarono fino alla soglia del palco e si fermarono, in piena luce. L’uomo le fissò, fessurò le pupille, attese che venissero rigare gli occhi.
Al termine della prova, l’attrice ascoltò il regista e senza fretta ritornò nella realtà. Lo spettatore rimase seduto. Cieco. Poi entrò nel camerino e chiese alla protagonista cosa avesse pensato mentre recitava e la risposta arrivò prima che la domanda finisse: “A nulla. Fuggivo dai tuoi occhi, ma li ritrovavo sempre dentro di me a rubarmi il dolore. Ora che hai portato luce nel mio buio, continua a scavare là dove resta oscurità e io sarò sempre sul confine, in attesa, nell’ombra”.
IL GUSTO
Mauro le aveva scelte con cura. Una per una, fino a contarne nove. Ciascuna forgiata diversamente:
fredda come il brivido della lama,
soffice come un petalo di rosa,
forte come una morsa di acciaio,
dolce come una carezza fra i capelli,
buia come un ferita notturna,
luminosa come un sorriso di sazietà,
cattiva come un colpo di frusta,
avida come vita appena nata,
ruvida come un frutto acerbo.
Le avrebbe donate a Giulia, che era nuda, sul tappeto, nel riverbero del camino. Mise la prima sulla fronte, la seconda e la terza sulle palpebre, la quarta sulle labbra, la quinta e la sesta sui seni, la settima e l’ottava fra le dita, la nona sulla soglia del fiore.
Cominciò a suggerle: dalla fronte, poi dagli occhi, poi dalla bocca, poi dai capezzoli, poi dalle mani, infine dalla schiusa cicatrice.
Quando le ebbe tutte raccolte, le morse, le masticò, le frantumò, le ricompose, le ordinò, le legò con fili di gemito. Assaporò il fremito del freddo, la seta della rosa, la durezza dell’acciaio, il tepore concavo dei palmi, il rosso della ferita, il bianco della luce, lo sfregio della carne, la goccia del latte, la spina dei rovi.
Le nascose in gola e iniziò a percorrere con baci e con carezze il corpo nudo dell’amante. Giulia lo accoglieva tranquilla, come pozza d’acqua che subito avvolge la stilla cadente dalla roccia e così l’altra ancora e ancora l’altra, in una immobilità che protegge e uccide.
Mauro la rovistava, la scuoteva, la percuoteva, la dondolava. Ne forzava ogni accesso, con le dita, con la lingua, con gli occhi, con le parole. Ma trattenendo sempre in gola il suo tesoro, spingendolo verso il cuore, per mantenerlo al sicuro. Giulia era aperta e lo abbracciava, ma era ancora acqua di lieve respiro e appena sibilata da venti timidi. Aspettava la bufera e sorrideva. Ad un tratto, offrì la bocca e il turgore molle del sesso.
Mauro traboccò il respiro in Giulia e sulla sua lingua poggiò nove lettere: D-E-S-I-D-E-R-I-O.
Le gustarono a lungo. Amarono il sapore dell’obliquo, dell’informe, della linea barocca, del filo di fuoco, della bava d’unguento, del disordine, di ciò che si muta e non scompare. Continuarono a mangiarsi; quando insalivarono i cuori, gli occhi si chiusero di sazietà.
IL TATTO
Giulia attese che Mauro dormisse per farne specchio. Prese a sfiorarlo senza toccarlo. Cercava l’orma che gli aveva voluto donare.
La passione l’aveva travolta, ma una parte di sé, la più fragile, si era difesa come un petalo di gelsomino che si sottrae ai colpi della pioggia e alla sorpresa del vento.
Raccolta in quel velo bianco, baciando i suoi baci, si era posata sul suo petto e, soffio dopo soffio, nascosta nella tempesta, anche sulle labbra, sugli occhi, sulla fronte, nelle mani.
Giulia ora cercava se stessa nelle impronte sopravvissute al desiderio. Dov’erano? Perse? Non accolte? Eccole! Tracce per dita silenziose, per passi senza peso, per labbra di miele.
Si osservò a lungo sul corpo di Mauro: c’era ancora e lo sarebbe stata per sempre. Aveva temuto di essere distrutta da quella parola: DESIDERIO. Le lettere le erano entrate dentro, sfondando ogni difesa, sfigurando ogni forma, forzando il suo rantolo.
Giulia aveva sospettato di essere soltanto sabbia sempre nuova sotto i colpi dell’onda, soltanto un diverso volto per l’antica e sempre uguale cerimonia, soltanto un futuro ricordo per un altro frammento di nostalgia da raccontare. Invece era lì. Il suo viso era inciso in Mauro. Poteva sentire il disegno del proprio sorriso, accarezzandolo con gli occhi. Poteva leggere il proprio nome, appoggiando le mani cieche su quelle dell’amante.
L’UDITO
Le parole passeggiavano con Giulia e Mauro, faticavano a salire per il sentiero e guardavano in alto, cercando il laghetto dove fermarsi a riposare. Le domande, le risposte, i silenzi, le considerazioni si confondevano con il fruscio dei rami dei pini, ma ogni bisbiglio era raccolto e ricambiato, come un bacio denso di consuetudine sempre nuova.
Da quanto tempo, Giulia e Mauro si ascoltavano? I giorni erano passati. Le loro voci erano diventate lunghi discorsi, brevi frasi, gioco di ciarle, pianti, urla, sussurri, gemiti e poi sempre carezze. Mauro sapeva raccontare come chi, parlando, già regala alle dita e agli occhi una storia da scrivere e da immaginare. Giulia sapeva raccontare come chi, parlando, già riempie di emozione la brocca che porterà via l’arsura dalle labbra.
Avevano imparato ad andare oltre la voce, verso la spina delle idee e la rosa del cuore. Avevano imparato a custodire ciascuno la voce dell’altro ed a intrecciarle in una sola avventura.
L’acqua li rifletteva e, piena di sole, taceva. Giulia e Mauro erano in silenzio e sentivano la loro musica. Arrivava da lontano, a cerchi concentrici, come un bolero. Sapevano di avere ancora giorni da attraversare, ma ora capivano di aver raggiunto la meta, di aver confuso i loro suoni. Si regalarono un bacioparola.
In discesa, il cammino tratteneva il fiato e le parole si distanziavano, ma non si perdevano. Passò una moto e sollevò terra e rumore. Giulia e Mauro riapparvero senza grani di polvere addosso e continuarono a distillare parole dal silenzio. Le loro mani si toccarono, si videro, si assaporarono, si odorarono, si dissero segreti.
L’ODORATO
Giulia non ha indossato un fiore quando è morta.
Se avesse voluto, con l’ultimo sospiro si sarebbe cosparsa di gelsomino. I bianchi petali già bussavano alla finestra.
Di quale essenza vestire la morte quando bussa ad una porta di legno rugato dal tempo, ma ancora pieno di umori e di nuovi germogli?
Giulia si è assentata. Nulla da vedere, da sentire, da gustare, da odorare, da toccare. Il corpo di Giulia non è Giulia. Giulia è altrove. Altrove deve andare chi la vuole incontrare: in un ricordo, in una parola che continua a sorridere, in un passo che si ostina a non far rumore, in una rosa respirata lentamente.
Mauro è solo in casa. Quando gli ultimi amici saranno andati via, sarà la solitudine a fargli compagnia. Ora rigira fra le mani una sciarpa, di seta azzurra, piccola quanto bastava a dar mistero al collo e ai seni. Era il segnale dell’amore. Profumata sempre dello stesso fiore, la seta segnava il sentiero da percorrere per raggiungere la radura.
Mauro bacia quel velo e, d’improvviso, Giulia è lì. La respira fino a perdere il fiato. Mauro piange e, dopo la carezza della seta, le lacrime hanno aroma di lavanda.
Mauro corre nella stanza dell’amore. Percuote e svuota i cassetti. Ogni stoffa è attraversata da un lamento e il profumo di Giulia è scaraventato ovunque e poi raccolto nella culla delle mani.
È sera. Mauro ha rimesso in ordine e Giulia è tranquilla… nascosta fra le vesti, ha un foulard fra le dita. Mauro ha le mani perse nelle tasche, le labbra aride, gli occhi chiusi, ma Giulia è lì… antico sussurro di fiori di arancio.
Un linguaggio molto poetico,per gusto personale toglierei i puntini sospensivi nel finale.
sì. potrebbero essere tolti. ma è appunto gusto personale. grazie della lettura
Il desiderio è comunione di gesti, suoni, colori, profumi…
La sensualità delle immagini è un gioco di luci e ombre, di silenzio e gemito, di pensieri che si sfiorano e si fondono…
I puntini….prolungano l’emozione.