Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Maledetto Sé” di Jacques Martinet

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Si svegliò nel cuore della notte e non fu a causa di un brutto sogno. Accese l’abat-jour sul comodino e strizzò gli occhi, infastidito dalla luce gialla. Cercò di levarsi un po’ di stanchezza di dosso stropicciandosi la faccia con le mani, stava dormendo profondamente ma… Un altro rumore, proveniente dalla cucina. Iniziò a preoccuparsi. Si alzò e fece per infilarsi la vestaglia, ma questa non era come sempre adagiata sulla sedia accanto all’armadio. Un altro colpo lo fece precipitare in cucina, così com’era, con il mutandone blu a quadri. Se lo ritrovò lì, in piedi mentre rovistava nel suo frigorifero, con indosso la sua inconfondibile vestaglia a motivi tribali, per giunta aperta. Era un vecchio. Aveva l’aria dismessa, i pochi capelli grigi arruffati e la barba incolta.

Rimase impalato a fissare quell’estraneo nella sua dimora, fino a quando non trovò il coraggio di urlare un timido “Chi sei!”. L’intruso si girò di scatto e la vestaglia aperta lasciava intravedere il suo corpo, nudo e avvizzito. La carne aveva ceduto alle leggi della gravità e le rughe si propagavano per tutto il corpo, persino su di un pene che sembrava aver battuto ritirata da un pezzo. Il vecchio sussultò dallo spavento e lui si girò pur di non vedere quell’orribile corpo consumato dal tempo.

-Vuoi forse farmi morire d’infarto proprio adesso?

Disse l’intruso con aria divertita richiudendosi la vestaglia. E come se nulla fosse successo chiuse il frigo e iniziò a rovistare nei cassetti sopra i fornelli della cucina, mentre lui se ne stava lì impalato a fissarlo senza fiato.

– Dove tieni le scrocchie? Proprio non me lo ricordo.

– Dimmi chi sei e cosa vuoi o chiamo subito la polizia. Disse con voce autoritaria agitando un poco la mano per darsi un tono. Ma non ci riuscì.

-Alex, abbiamo tempo per queste cose, ora dimmi dove tieni le scrocchie e poi parleremo.

-Dimmi subito chi sei! E che ci fai in casa mia!

Il vecchio scoppiò in una risata rauca, rozza e sporca. Una risata da fumatore accanito giunto al crepuscolo. Alzò le mani al cielo e disse – d’accordo d’accordo…- la vestaglia si aprì di nuovo e fece per coprirsi.

-Ti dirò chi sono. Io sono tutto ciò che sei stato, tutto ciò che sei e quello che sarai. Io sono il tuo pensiero, i tuoi ricordi e le tue dimenticanze. Io sono una tua conseguenza e tu un mio riflesso. Io sono te Alex, ecco chi sono.

Lui per un attimo restò impalato incapace persino di pensare, sconvolto da ciò che stava accadendo, ma stranamente non era spaventato da quel vecchio che frugava nei suoi cassetti con indosso solo la sua vestaglia.

-Tu sei un vecchio pazzo! E adesso spiegherai alla polizia come sei riuscito ad entrare.

Così dicendo si avvicinò al telefono in soggiorno e alzò la cornetta, ma il vecchio scoppiò ancora in quella risata inquietante.

-Sul serio Alex vuoi chiamare la polizia? Guarda come sei ridotto. Lasciatelo dire hai un aspetto di merda, ma quanti anni hai? Sembri più vecchio di me.- Accennò di nuovo la sua risata e poi continuò. – Dammi retta siediti, dimmi dove sono le scrocchie e parliamone. 

-Come fai a sapere il mio nome? Disse posando la cornetta.

Il vecchio fece risentire la sua fastidiosa risata e poi rispose in tutta calma.

-Questo lo saprei anche se non fossimo la stessa persona. C’è il tuo nome sul campanello, sei l’unico stronzo che ha deciso di mettere il suo nome per esteso. Lo fai sempre, anche quando devi firmare qualche documento dove basta solo la sigla, tu firmi per intero. Non so dirti il perché, ma so dirti che lo fai perché lo facevo anche io. E noi siamo la stessa cosa. Quindi adesso calmati e dimmi dove sono quelle cazzo di scrocchie che ci piacciono tanto.

Quel vecchio arrogante aveva passato il limite. L’uomo aprì il cassetto accanto ai fornelli e tirò fuori un coltello da cucina tanto affilato da poter tagliare la densa atmosfera che si era creata in quella casa. Il vecchio rise di nuovo, questa volta più intensamente arrivando a tossire e a tirar su il catarro.

-Posa quell’affare Alex, non puoi che farti del male da solo.

-Ah sì? Perché noi siamo la stessa cosa, non è così vecchio matto?

Il vecchio era in piedi appoggiato al bancone della cucina ed era molto tranquillo, nonostante una lama appuntita puntasse verso le sue budella.

-Te lo proverò, scrivi su un pezzo di carta qualsiasi cosa.

-Io chiamo la polizia.

-Alex in nome di Emma, la nostra amata madre, fallo!

Sentire il nome di sua madre lo pietrificò e tutto a un tratto la rabbia che sgorgava in lui svanì. Dall’anta del frigorifero staccò la lavagnetta bianca con attaccato il pennarello e scrisse, senza farsi vedere e senza lasciare il coltello:

“Ho sognato mia moglie, nel solito granaio”.

Il vecchio s’incupì per la prima volta,  il suo ghigno sfacciato scomparve. 

-Era bellissima… anche quel giorno, in quel maledetto granaio. E tu ce l’hai ancora con lei, e questa è la cosa più dolorosa, non è così? Non tormentarti con le domande, non esiste risposta che può darti sollievo. Solo il tempo, devi confidare in lui.  Arriverai a dimenticartene, ti scorderai di tutto Alex e allora sarai di nuovo felice, proprio come lo sono io. E ora dimmi, dove sono le scrocchie?

 All’uomo cadde il coltello dalle mani, aveva l’espressione di uno che ha appena smarrito se stesso. Si chinò a raccogliere la lama e con un braccio indicò la dispensa sopra il lavello.

-Ecco dove le mettevamo!

Il vecchio tirò fuori dalla dispensa un sacchetto di plastica con dentro chicchi di mais tostati. Aprì la busta e se ne infilò una manciata in bocca. I chicchi iniziarono a distruggersi tra i suoi denti e un suono scrocchiante iniziò fastidiosamente a propagarsi nella stanza. Si sedette sul divano e mise i piedi sul tavolino invitandolo con un cenno della mano a sedersi accanto a lui.

I due uomini sedettero uno accanto all’altro, come una cosa sola divisa dal tempo. L’uomo rigirava il coltello tra le mani e pensava. Non si riconosceva in nessun tratto di quel vecchio: il viso, le mani, persino la risata, non c’era traccia di lui. Adesso che gli era vicino poteva sentirne la puzza, un odore d’incuria, di usato, di vecchio. Lui non aveva nessuna intenzione di dimenticarsi del suo passato, di sua moglie, solo per smettere di soffrire. Si chiedeva se mai fosse stato davvero lui quell’uomo arrogante e schifoso, come diamine c’era diventato. Il vecchio scoppiò nell’ennesima risata.

-La cosa resta cosa, è chi che si trasforma, Alex.

Dopo quelle parole guardava quell’ospite sgradito svaccato sul suo divano con ancor più disprezzo, se ne stava lì divertito, mentre mangiava le sue scrocchie, nudo e con indosso solo la sua vestaglia. A un tratto notò qualcosa che prima l’orrore della vista di quel vecchio corpo nudo gli aveva tenuto nascosto. Dalla vestaglia semiaperta vide una cicatrice immensa, proprio sopra la milza. Gli chiese cosa fosse successo e se doveva aspettarsi qualcosa. Il vecchio con la sua spocchia rispose: – Questa è opera tua.

Non aggiunse altro, continuò a divorare quei chicchi di mais come se i suoi denti fossero più robusti di quelli di un ragazzino. Ogni tanto ne sputava qualche pezzo sul tappeto, tra una manciata e l’altra tirava su il catarro con il naso. Provava un gran ribrezzo per quella persona che gli era accanto e pensò che se si fosse liberato di quell’orribile personaggio forse non lo sarebbe mai diventato. Così con tutta la forza che aveva in corpo piantò il coltello nelle budella del vecchio.

Si svegliò nel bel mezzo del giorno e non fu a causa di un brutto sogno. Aveva un tubo ficcato in gola, era sdraiato con le gambe leggermente alzate e indossava la sua vestaglia tribale. L’astratto rumore del suo cuore era scandito da un macchinario. Era in una camera d’ospedale, solo e con le tende tirate. Avvertì una forte fitta allo stomaco, scostò l’amata vestaglia e vide delle bende insanguinate. Con mano tremante sollevò le bende e scorse un’immensa cicatrice, tale e quale a quella del vecchio. Appoggiò la testa sul cuscino e scoppio in una risata rozza, sporca, catarrosa.

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9 commenti »

  1. Un racconto coinvolgente che fa riflettere. Perché siamo tanto diversi da quello che siamo stati e allo stesso tempo così profondamente uguali? Perché disprezziamo la metamorfosi e quasi la fuggiamo? Se è vero che siamo autori del nostro destino è altresì vero che siamo prodotti inevitabili del nostro passato. Eppure spesso ce ne dimentichiamo. Del resto il futuro che forma ha se ancora deve essere e se non esiste quanto di quello che faremo sarà influenzato da quello che abbiamo fatto? Questo racconto amaro ma allo stesso tempo nostalgicamente sincero mi fa venire voglia di scoprirlo.

  2. Racconto poetico che mi ha fatto riflettere sui conflitti interiori, sul tempo e sull’identità che, inevitabilmente, si costruisce nel tempo e grazie ai conflitti stessi. Complimenti.

  3. Tema molto intrigante ed attuale, anche per fatti di cronaca, ma con richiami per ognuno di noi. Da’ molto da pensare , pensieri anche complessi ma comunque produttivi.

  4. “Il passato è una terra straniera?” O il futuro? Il racconto è già un cortometraggio
    Bravo!

  5. Qualche giorno fa su radio 3 ho ascoltato con sconcerto il resoconto di un reparto ospedaliero dove sono ospitati adolescenti con gravi problemi psicologici e reduci da tentativi di suicidio o ripetuti atti di autolesionismo.
    Leggendo il bel racconto di Jacques, non ho potuto fare a meno di pensare che, aldilà di più o meno conclamate patologie, forse appartiene alla natura umana, almeno saltuariamente, di farci del male da soli, pur essendo evidente che le conseguenze saranno contro noi stessi.
    Ma questo non è che un mio pistolotto sociologico, mentre il racconto ha dalla sua una scrittura agile, leggera e, a tratti, divertente senza mancare di profondità spaziando tra fantascienza e thriller urbano.
    Bravo ragazzo.

  6. Il gioco del passato e il futuro è sempre affascinante.. Come al solito la cosa più importante non è cosa si racconta ma come si racconta.-
    Tu lo fai molto bene, Jacques. C’è anche un bel tocco poetico che alleggerisce questo tema da se pesante. Continua así muchacho.

  7. Racconto intrigante, per lo sviluppo dell’io, con un presente che si trasforma in passato per l’ingombro di un futuro indesiderato. Con una tensione che si scarica in atti di avversione e di violenza contro ciò in cui ineluttabilmente ci trasformiamo…

  8. Suggestivo e avvincente questo racconto che invita a riflettere con una vena di amaro se non macabro umorismo su quello che siamo senza sapere di esserlo.

  9. Grazie a tutti tutti per i preziosi commenti!

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