Premio Racconti nella Rete 2025 “La zattera” di Roberto Fiorentini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Il ronzio del vecchio condizionatore riempiva, strisciante, la stanza. Vagava petulante come una zanzara in cerca di una preda. Si arrampicava, indolente, sui muri. Sui mobili. Sul letto. Fino ad arrivare dentro l’orecchio di Cinzia. Scandiva una ritmica stanca che l’accompagnava dalla veglia al sonno. Il suo corpo, immobile, giaceva disteso su una sdraio, tra il balcone e la porta finestra della camera da letto. Sotto la testa, un cuscino le permetteva di osservare il panorama oltre il parapetto.
Vedeva la piana. I filari interminabili di pioppi. I campi arsi. Il fiume, in quell’esatto punto in cui si allargava in un’ansa infinita. Lì la corrente scivolava veloce. Come se il mare lontano, migliaia di chilometri, la attirasse a sé, con una forza magica. Il caldo torrido di inizio luglio sfocava la visione. Deformava: linee e forme. Anche i colori mutavano; ad ogni movimento delle palpebre.
Era il mare ad occupare i pensieri di Cinza. Immaginava le onde su quel suo corpo ricoperto da una patina di sudore, immerso ora in una leggera vestaglia. Cercava di risentire sensazioni fisiche, da decenni dimenticate. Brividi. Sussulti interiori. Scosse di antica passione. Sprofondava in un ricordo di un’immensità agognata. Immersa nel desiderio di abbandonare le membra a un naufragio tra la battigia e le onde morenti.
Davanti agli occhi le scorrevano immagini, talmente vecchie, che sembravano fotografie in bianco e nero. Sapevano di un amore marino: ora evaporato. Eroso: diventato nulla.
Lontananza di corpi e di sessi. Indifferenza colpevole. Solitaria.
Girò leggermente il capo verso l’interno di quella stanza. L’uomo che nella foto della memoria l’abbracciava con passione, in mezzo al mare, era ora lì seduto. Dimesso. Controfigura di quel giovane amante; diventato poi suo marito.
Carlo stava affondato in una sedia da picnic. Con gli anni aveva perso la sua originaria prestanza fisica. Si era rimpicciolito. Il volto, leggermente adunco come il naso, aveva finito per prevalere sul corpo. Pian piano aveva
smarrito i capelli. Gliene rimanevano pochi. Li pettinava ancora come i divi del cinema anni Cinquanta. Una foggia che gli consegnava un’immagine grottesca. Possedeva ancora certa grinta ogni volta che entrava in un campo da calcio; nonostante il corpo si fosse imbolsito. Il football era stata la sua passione di gioventù. Tramontata, ben presto, quando le doti da bomber erano svanite nel tempo.
Proprio il calcio e le sue mille distrazioni li avevano allontanati. Separati. Lei alla ricerca di nuove emozioni. Lui incupito dalla mancanza della gloria sportiva. Da un lavoro grigio e insignificante. Incarognito, ogni giorno, in inutili carte. Sepolto in un angolo di casa. Con poca voglia di affrontare il mondo esterno. Serrato in quattro mura a guardare calcio alla televisione.
Nonostante tutto rimanevano sotto lo stesso tetto. Lei: per pura convenienza economica, così diceva agli amanti occasionali. Lui: per il timore di sprofondare in una nera vecchiaia. Accettava di pranzare con i compagni di letto della moglie; pur di non perderla. Lei gli aveva garantito che non lo avrebbe mai abbandonato. Cinzia aveva provato anche ad andarsene. Convisse, per un certo periodo in un’altra città, con un socio in affari. Troppe botte e maltrattamenti da parte di questo ex camionista; con alle spalle dolorose vicende di crack economici e di ex mogli funeste.
Così aveva deciso di tornare nella casa con Carlo. Dividevano, mestamente, il triste e opaco quotidiano.
“Avrei voglia di tornare al mare”, disse improvvisamente lei, quasi parlando con sé stessa che non con l’uomo che aveva vicino. “Mi piacerebbe risentire l’acqua che mi avvolge e mi entra nel corpo”. “Sarà almeno vent’anni che non andiamo assieme in vacanza; sarebbe una buona idea”, rimbrottò lui. “Probabilmente non avrebbe alcun senso: sai come viviamo. I nostri corpi sono qui. Le nostre teste sono altrove. Per lo meno la mia. La tua non so e neppure mi interessa saperlo”.
Carlo si alzò in piedi, perplesso. Era indeciso se rispondere alla provocazione o lasciare perdere.
Dalla stanza, passò al balcone. Anche il suo sguardo si riempì dell’immensità del fiume e della vastità della golena. Accese una sigaretta. I suoi pensieri si dileguarono nell’aria seguendo le evoluzioni del fumo.
“Qui davanti, cinque pensionati partirono con una strana imbarcazione per raggiungere il mare. Volevano arrivare al Po e proseguire fino all’Adriatico”. “Come andò a finire?”. “In maniera grottesca Cinzia”, rispose. “Caricarono talmente tanto lo zatterone; soprattutto di vino che, alla prima curva del fiume, finirono tutti in acqua. Si salvarono ma erano tutti ubriachi”.
L’immagine di quella rudimentale navicella aveva destato Cinzia, dal lungo torpore pomeridiano. Recuperò una posizione più eretta sulla sdraio. Cercò, il pacchetto di sigarette, rimasto sul pavimento. Ne accese una con sfacciata voluttà. Nella sua immaginazione, pian piano, apparvero storie di viaggi. Di avventure. Di notti passate sotto il chiarore della luna; cullata dalla corrente del fiume. Di una recuperata passione per qualcosa che non fosse solo il letto del suo ultimo amante.
Guardò, con ancora più intensità, l’orizzonte: il fiume, la golena, i campi, i boschi di pioppi e rubine. Sentì un moto nuovo salirle dal cuore. Aveva il bisogno di liberarlo nell’aria.
“Trovo bellissima l’idea di utilizzare una zattera, fatta con le proprie mani, per arrivare al mare. Anzi meravigliosa. Sono stati molto più avventurosi loro che i giovani d’oggi: sempre mollicci”
“Sì! È proprio una bella storia”, commentò lui senza grande entusiasmo. “La raccontano, di tanto in tanto, al circolo. Spero che non sia una delle solite leggende buone per far passare i lunghi e noiosi pomeriggi di canicola in queste terre così piatte”. Gettò il mozzicone dal balcone. Migrò, con passo dolente, verso il salotto.
Quella sera mangiarono in silenzio. Senza più scambiarsi una parola.
“Carlo: svegliati! Ti devo parlare. Subito”. L’uomo ancora immerso in sogni di coppe di campioni e di scudetti aprì lentamente gli occhi. Osservò il viso della moglie. “Dimmi Cinzia”, bofonchiò. “Ho pensato che dobbiamo anche noi andare al mare. Come quegli anziani. Là ci siamo conosciuti. Ci siamo amati, per la prima volta. Dobbiamo tornarci”. Non ammetteva repliche. “Lasciami pensare un attimo. Non è semplice”.
“Si può fare tutto. Lo dobbiamo a noi. A questa nostra vita così bella: prima. Così disperata: ora”. “Va bene, va bene”, replicò lui cercando di uscire da quella situazione che lo stava imbarazzando. Improvvisamente sentì salirgli dall’animo un nuovo sentimento verso quella donna che aveva infinitamente amata. E che aveva perduta nei meandri grigi della quotidianità e della noiosa routine giornaliera. Nei piccoli egoismi di un’esistenza banale. Senza grandi ideali. Costruita su un senso di rivincita per una gioventù complicata passata nei quartieri periferici di una metropoli.
Il sole era alto sul fiume. I rondoni scorrazzavano in un cielo infinito. Marito e moglie si avvicinarono alla sponda.
Ernestino giaceva appoggiato al ronco di una rubina con le radici sprofondate nell’acqua. Un cappello di paglia sfilacciato gli ricopriva il volto. “Ernestino sveglia. Sveglia”, gridò Cinzia. L’anziano si destò, quasi intimorito. “Siamo venuti da te per chiederti se ci presti due vecchie barche delle tue”. “Te le paghiamo subito: tranquillo”, aggiunse Carlo.
“Che vi servono? Siete due matti voi”. “Vogliamo costruire una zattera e andare al mare. Un’idea grande e fantastica”, ribatté Cinzia immersa in un entusiasmo senza più limiti. “Secondo me è un’idea pazza. Ma proprio perché è così folle mi piace”. Percorsero una decina di metri in mezzo a un canneto selvaggio. Legati a un pioppo della golena, giacevano due scafi. “Ecco se vi possono servire: vi regalano queste. Là dietro, in quella baracca ci sono dei legni che vi possono servire. Fate voi. Torno a dormire”.
Lavorarono tre giorni. Inchiodarono assi. Passarono vernici fuori e dentro la barca. Tornarono, piano piano, ad amarsi come uomo e donna. Lo zatterone, nato dalle loro mani e dal loro cuore, fu chiamato ‘Felicità’.
L’alba si era appena alzata. Dolce e tranquilla quando spinsero ‘Felicità’ nel bel mezzo del fiume. Il vento sereno della pianura faceva ondeggiare leggermente quel lenzuolo, a mo’ di bandiera, su cui era stampato il ‘bacio’ di Klimt.
La navigazione fu serena. I due naviganti si scambiarono un lunghissimo abbraccio. Si assopirono.
Dalle montagne arrivò un tappeto di nuvolaglia grigia. In pochi minuti il vento spazzò il fiume. Cercarono di avvicinare ‘Felicità’ alla sponda. La zattera iniziò a ondeggiare. L’uomo calcò il remo sul fondo per stabilizzare lo scafo. Lei lo aiutò, con tutte le sue forze.
La corrente aumentava sempre più di velocità. La pioggia si trasformò in grandine. Carlo fece un ultimo disperato tentativo per tenere a galla l’imbarcazione. Una terribile raffica in controvento ribaltò lo scafo. Caddero in acqua. Cinzia nuotava affannosamente. Il marito, sbalzato più in là, non riusciva a restare a galla.
Arrancava affannosamente. “Carlo ti prego. Resisti”. Un pescatore, rifugiatosi sotto il telo di una posta di pesca abbandonata, avvertì i soccorsi.
“Non abbandonarmi: amore. Non mi puoi lasciare ora”. Più gridava, più il corpo dell’uomo era inghiottito da quell’inferno. “Dobbiamo vivere ancora insieme. Non puoi morire così”. “Aiutalo, per Dio”, urlava a squarciagola verso il pescatore che si era rintanato, ancor di più sotto gli alberi.
Con uno sforzo sovrumano cercò di avvicinarsi il più possibile al corpo dell’uomo; oramai in balia della corrente.
Fece appena a tempo a rivedere i suoi occhi ricolmi del terrore della morte. “Ti amo. Perdonami”, gridò prima che il marito sparisse.
La corrente si mescolò con le sue lacrime amare che arrivarono fino al mare.