Premio Racconti nella Rete 2011 “Bastava chiedere (cinque minuti prima)” di Peter Loich
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Sweet Music Bar-in un caruggio del centro storico di Genova-Un venerdì . Ora indefinita.
Note ossessive, fastidioso rimbombo di corde pizzicate con violenza da dita maldestre e grasse come wurstel, alla fine del giro un bel chitarrista della minchia: ecco la giostra che c’ha in testa Mirco mentre si sorbisce quello schifo di hard rock anni ’80, perché a Mirco il metallico fa vera anguscia. E poi quelli che stanno suonando sono un’orrenda copia di una vecchia band decisamente meno merdosa di chi c’ha lì davanti.
Pensare che li ha ingaggiati per fare musica dal vivo nel suo bar! Perché nel suo locale si fa buona musica il venerdì sera, ci tiene Mirco al suo music bar, c’ha investito una barcata di palanche.
<<Fanculo Enrico!>>, digrigna tra i denti Mirco Siliprandi. Sì, fanculo a Enrico Massa, il suo socio, che glieli aveva caldamente consigliati. E aveva anche insistito Enrico, gli aveva talmente fracassato il belino che aveva dovuto cedere. <<Alla gente piacciono ancora gli AC/DC>>, gli aveva detto Enrico, l’esperto di musica, che ora è seduto al tavolo vicino a lui; c’ha un sorrisetto ebete che gli taglia la faccia da parte a parte Enrico. Si vede che li apprezza, muove la testa avanti e indietro, <<manco a ritmo, lo stronzo…>>, si fa sfuggire Mirco tra i denti, mentre lo controlla con la coda dell’occhio.
<<Certo che piacciono ancora gli AC/DC ai giovani>>, aveva ammesso Mirco quando aveva accettato di prenderli; ma ’sti qua non sono gli AC/DC, pensa adesso sempre più incazzato, fanno vomitare, sarebbe da spaccargli la testa con la finta Fender che quel coglione ossigenato del chitarrista si fa rimbalzare sul pacco asfissiato dai pantaloni di pelle aderenti.
Perché si era preso Enrico come socio, perché? Forse perché gli aveva voluto bene, come a un fratello. Lui, che c’ha il cuore ibernato, bene a qualcuno! Tutto da ridere. Aveva avuto questa debolezza. <<Basta, niente più debolezze>>, si impone Mirco. Ci sarebbe stato tempo per provare affetto per qualcuno, aveva solo trent’anni Mirco, avrebbe trovato tempo anche lui per farsi fregare.
Fanculo a Enrico e alle debolezze!
Sweet Music Bar-in un caruggio del centro storico di Genova-Un venerdì . Ora indefinita.
Più 1 minuto.
Non ci sono clienti a quell’ora nel bar, è presto, fuori comanda ancora la luce del sole; il tramonto porterà vita lì dentro, e meno male, si consola Mirco, così nessuno sentirà quello scempio, <<perché quelli qua dentro non ci suonano più!>>, impreca con una smorfia di disgusto.
“Hell bells”, le campane dell’inferno, è il titolo del pezzo che ora stanno straziando quei tre deficienti; ma ancora per poco perché Mirco con un urlo squarcia il cono di suoni che esce dalla bocca di un0 scalcinato Marshall da 100 watt.<<Le campane, cazzo! Le campane!>>.
Mirco balza in piedi e scaraventa a dieci metri di distanza la puttana seduta sulle sue ginocchia, perché Mirco è sempre circondato da puttane. Mirco ci fa il grano con le puttane. Anche sua madre fa la puttana.
Sua madre è una delle sue puttane.
<<Quali campane, Mirco?>>, chiede Enrico travolto dall’onda d’urto. <<Di quali cazzo di campane parli?!>>.
Mirco non risponde, forse non ha nemmeno sentito le parole di Enrico, sui suoi timpani adesso bussano le carotidi impazzite; c’ha lo sguardo impallato Mirco, dritto su quelli che prima suonavano. Perché finalmente hanno smesso, hanno capito che dovevano smettere. Avrebbero evitato dei guai se avessero smesso, hanno pensato. Ma non sarà così.
Mirco è diventato una furia, la bocca schiumata, si accorge appena della goccia di sudore che dalla fronte, con coraggio, si è lasciata cadere sulla manica della camicia di lino azzurro, fresca di stiratura. In un altro momento quella macchia lo avrebbe fatto agitare come un muggine intrappolato in una nassa; sarebbe corso in bagno a lavarla via per evitare che gli lasciasse un ricordo indelebile, un bell’alone bianco. Li odia gli aloni bianchi lui, gli ricordano suo zio, quel bastardo di suo zio, che si portava sempre dietro delle chiazze puzzolenti sotto l’ascella, che poi asciutte si trasformavano in cerchi bianchi concentrici; ce l’ha stampati sulla retina quegli aloni Mirco, da più di vent’anni si sono attaccati ai neuroni e sono rimasti lì a ricordargli quel bastardo di suo zio, quello che quando erano soli gli infilava la mano dentro ai pantaloni e lo minacciava di non dirlo a nessuno altrimenti avrebbe fatto la stessa cosa anche a sua sorella. Sua sorella non la doveva toccare…no, non la doveva toccare.
Quel bastardo di suo zio, con quegli aloni che non volevano più andarsene dalla sua testa…
Ma poi un giorno Mirco ce l’aveva fatta a mandarli via quegli aloni, non c’erano volute medicine, niente neurolettici sciogli cervello; era bastata una mazza da baseball, quella che proprio suo zio gli aveva portato da un viaggio negli Stati Uniti, perché Mirco era appassionato di baseball, il calcio lo odiava, come il metallico. Con quel legno nervoso e lucido gli aveva sfondato il cranio “all’altezza della regione temporale sinistra”, così aveva scritto il medico legale sul referto; un tonfo sordo seguito da uno schizzo di sangue, ora c’ha quello Mirco di ricordo al posto di quegli aloni.
Poi suo zio l’avevano ritrovato a Prè, in fondo ad un vicolo strettissimo, dove ci s’infilano a svuotare la vescica quelli che sono andati a bagasce; suo zio l’aveva ritrovato una puttana, con la faccia nel piscio, dentro il suo piscio.
Suo zio l’aveva ritrovato sua madre.
Fanculo anche allo zio!
Sweet Music Bar-in un caruggio del centro storico di Genova- Un venerdì . Ora indefinita.
Più 2 minuti.
Sbraita adesso Mirco Siliprandi, ha ripreso il controllo di sé e della situazione. Si sente solo la sua voce nel locale, saette che tagliano il silenzio le sue parole. <<Rivoltateli come un calzino questi scemi!>>. Spara quell’ordine come un missile terra-aria Mirco e quelli cui è rivolto si materializzano dal nulla, forse erano nascosti sotto il tavolo, pensano i tre disgraziati mentre cercano di capire cosa sta succedendo; no –si dicono- non ci potevano stare sotto il tavolo, troppo grossi, potrebbero benissimo fare i camalli al porto.
E bastano meno di cinquanta secondi ai due scagnozzi cerebroprivi comandati da Mirco per spiaccicare sulle tavole del palco quelli del complesso, perquisirli senza trovare armi, frantumargli nella schiena gli strumenti da due lire, perché avevano rotto i coglioni anche a loro con quel lamento da gatto scuoiato vivo per farsi un collo di pelo, sollevarne di peso i resti macinati e trascinarli nel retro locale.
Di nuovo silenzio, solo fiato per respirare esce dalla bocca di Enrico; aspetta, è teso anche lui, ora. Azzarda un reclamo Enrico, anche se sa che il suo socio quando è in quello stato diventa molto pericoloso. Pericoloso per tutti, pure per lui. <<Mi vuoi spiegare cosa cazzo sta succedendo?>>.
<<Vieni con me!>>, gli risponde Mirco indicandogli di seguirlo nel retro del locale. Mirco si mette a percorrere velocemente il breve corridoio semibuio che conduce al suo ufficio. Enrico gli va appresso come un cagnolino; si odono solo i passi soffocati dalla moquette scura che ricopre tutto, pareti comprese. Con una manata Mirco spalanca una porta perfettamente mimetizzata, un fascio di luce li investe, Enrico socchiude gli occhi infastidito; l’ufficio è illuminato a giorno in violento contrasto con il resto del locale, volutamente avvolto dalle tenebre.
Mirco gira intorno alla scrivania e accende il monitor del pc che ci sta sopra; precedute da un avviso acustico prendono corpo le immagini della videocamera a circuito chiuso collegata alla stanza dove i soliti tre disgraziati sono in balia dei due cerebroprivi. Sorride compiaciuto Mirco nel vedere i suoi gorilla prenderli a calci nel culo ed incrinare loro anche le vertebre sacrali, le uniche rimaste intatte.
Enrico invece non ride, non ne ha nessuna voglia, è sempre più preoccupato. <<Allora, me lo vuoi dire cosa c’è o no?>>, insiste.
Mirco si sfila dalla tasca il cellulare, scorre il menù, clicca su messaggi e mostra il display al socio; la risposta è lì.
Inequivocabile.
Sweet Music Bar-in un caruggio del centro storico di Genova-Un venerdì . Ora indefinita.
Più 3 minuti.
<<Quando le campane smetteranno di suonare per te si apriranno le porte dell’inferno…>> Con un’espressione da ebete Enrico legge a voce alta il testo dell’SMS ricevuto da Mirco poche ore prima.
Sempre come un ebete fa eco alla secca conclusione di Mirco. <<Le campane dell’inferno? Quelle della canzone?>>.
<<Già, non hai capito?>>, fa Mirco sempre più invelenito. “Belin, possibile che non c’arrivi ‘sto scemo!”. Sta per dirglielo, ormai non si trattiene più, i nervi sono saltati del tutto. Ma poi non lo fa, lo spia, “forse c’è, c’arriva da solo”, si dice Mirco.
Finalmente il solito ebete prova da solo la conclusione. <<Non sarà mica un messaggio subliminale?>>.
E l’ebete, sempre lui, viene investito dalla furia di Mirco. <<Subliminale un cazzo! E’ opera di quel bastardo di Andrea Tonelli! Vuole farmi le scarpe, fottersi il mio harem, bastardo!>>
E chi non vorrebbe fottersi l’harem di Mirco?
Enrico fa un giro su se stesso prima di parlare, alla fine c’è arrivato, davvero. <<Vorresti dirmi che Tonelli vuole farti fuori e prendere il tuo posto?>>.
Mirco gli fa un cenno di assenso.<<Certo, gli sarà arrivata la voce che mi voglio ritirare dagli affari, cedere le mie ragazze e occuparmi solo del bar; ha pensato bene di non perdere tempo e di beccarsi tutto a costo zero>>, spiega mentre cerca disperatamente una sigaretta tra i pacchetti vuoti sparsi sulla scrivania. Mirco prova a ritrovare la calma, cercando di accendere il cerino al primo colpo. Gli riesce e se ne compiace manifestando un debole sorriso.
<<E secondo te avrebbe mandato quei tre lì per fare il lavoro?>>, domanda Enrico indicando il monitor ancora vivo d’immagini.
Mirco fa un lungo tiro, ci sta cercando l’ispirazione in quel tiro, se lo fa arrivare al cervello perché i suoi neuroni necessitano di una dose supplementare di nicotina per poter produrre una risposta. E la nicotina fa egregiamente il suo lavoro; il cervello si rilassa, le parole escono ben distanziate, non rischiano più di tamponarsi. <<No, non lo credo affatto. Questo è stato solo un avvertimento; della serie, togliti dalle palle da solo o ci penso io a convincerti >>.
<<Della serie>> aggiunge Enrico serio <<ti posso colpire dove, come e quando voglio…ardito l’amico!>>.
<<Proprio ardito, il mio amico…>>, sentenzia Mirco ormai di nuovo padrone dei suoi nervi.
Fanculo agli amici!
Sweet Music Bar-in un caruggio del centro storico di Genova-Un venerdì. Ora indefinita.
Più 4 minuti.
Mirco si lascia andare sulla poltrona, piacevole il contatto con la morbida Frau; Enrico lo osserva invidioso, lui non ce l’ha la poltrona di pelle Frau, lui non c’ha nemmeno l’ufficio a dire il vero, è un socio di minoranza. Ma un giorno ce l’avrà pure lui un ufficio così, sicuro.
<<Prima di ammazzarlo come un cane, gli chiederò se ha scelto personalmente quel cesso di canzone come colonna sonora del mio funerale>>, dice Mirco buttando fuori il fumo rumorosamente. << Beh, se gli piace tanto, la potrà utilizzare lui, bastardo!>>, conclude con una risata violenta.
Enrico sembra non ascoltare, è rimasto di spalle, il capo chino, perso nel suo mondo. Almeno così sembra.
Si volta lentamente Enrico, alza lo sguardo, filtra un’altra luce dai suoi occhi. E anche le sue parole suonano diverse. <<Mi spiace non sia di tuo gradimento… l’ho scelta io>>.
Una metamorfosi completa quella di Enrico, del fu ebete Enrico, Enrico che ora stringe una Glock, mai stata ebete una Glock. C’ha il cuore in gola Enrico, non credeva di farcela, e invece ce l’ha fatta, è stato più facile del previsto. “Non è così furbo Mirco, anzi è proprio un coglione!”, è convinto di questo Enrico. Si sente sicuro Enrico dietro la Glock nera, troppo sicuro e distratto Enrico, che non si accorge della Tomcat nella mano di Mirco, la piccola Tomcat, leggera ma dello stesso calibro della Glock; è argento vivo la Tomcat, non è nera come la Glock, e non è poi così ebete nemmeno la Tomcat, fa male anche lei.
E’ più veloce la Tomcat della Glock, più veloce la mano di Mirco. Troppo, troppo lenta la mano di Enrico.
Peccato per Enrico.
Sweet Music Bar-in un caruggio del centro storico di Genova-Un venerdì. Ora indefinita.
Più 5 minuti.
Vibra il cellulare nella mano di Mirco, ha preso il posto della Tomcat rovente che ora dorme sul tavolo. E’ rimasta fredda invece la Glock vicino al corpo di Enrico ancora caldo.
TONELLI…TONELLI…lampeggia il display.
Mirco ringrazia Tonelli per la soffiata e per l’idea avuta di far girare la voce che erano in guerra tra loro. <<Figurati Mirco, prima di crepare mi restituirai il favore!>>
<<Impiccati Andrea!>>, gli risponde Mirco mentre si riprende la sigaretta che aveva appoggiato un attimo sul portacenere; non l’aveva spenta perché sapeva che se la sarebbe finita.
Purtroppo per Enrico.
<<Così faremo piazza pulita di quelle serpi che ci stanno intorno>>, commenta Tonelli.
<<Non mi hai ancora detto come hai fatto a scoprire che uno dei miei era disposto a farmi la pelle>>, chiede Mirco dondolandosi sulla poltrona dove era tornato ad accomodarsi. Perché per sparare a Enrico si era dovuto alzare.
<<Oh, è stato facile: ho messo una bella taglia sulla tua testa e in men che non si dica si sono presentati in una decina!>>.
<<Minchia! Sto simpatico a molti…>>, risponde avvilito Mirco.
<<Tranquillo, l’unico realmente disposto a spararti è stato lui. Gli fornito l’arma e un cellulare sicuri…sicuri, sicuri un cazzo! >>, ride Tonelli. <<La Glock gli sarebbe esplosa in faccia e del cellulare ti ho passato il numero! Sono stato bravo, no?>>.
Mirco alza gli occhi al cielo. <<Ti ho già ringraziato, non tirarla tanto alla lunga>>.
<<Diciamo che in cambio vorrei un trattamento di riguardo: se sei sempre intenzionato a lasciare e se non hai ancora trovato a chi passare la mano, sono disposto a fare un’offerta per la tua mandria di puttane!>>, gli propone Tonelli. <<E mi tengo anche tua madre, la più zoccola di tutte!>>.
Mirco si stira e sbadiglia sguaiatamente, tanto nessuno lo vede. <<Già, devo giusto pensare a proteggere la mia mammina; non vorrei finisse in mani sbagliate…>> Poi si ferma per una frazione di secondo, allunga lo sguardo su Enrico, che si sta raffreddando. <<In effetti lo avevo anche trovato, il tipo. Ma poi c’ho ripensato. No, niente da fare, non vi libererete di me!>>.
<<Ho capito. Nemici come prima, Mirco. Stammi bene>>. Non si dicono altro, chiudono contemporaneamente la comunicazione. Poi Mirco si alza lentamente, gira intorno alla scrivania e si avvicina al cadavere; comincia ad essere distante da quel corpo Mirco, comincia ad essere solo un corpo ingombrante quello per lui. C’ha un ultimo pensiero per quel corpo che prima aveva un nome.
<<Te l’avrei ceduta la mia scuderia, mamma compresa…bastava solo chiedere!>>.
Enrico, bastava chiedere!
Un Mirco al pari di un equilibrista con poca paura pur essendo sull’orlo del precipizio. Se alcune volte è stato vittima, molte di più è riuscito ad essere carnefice.
Un Mirco prigioniero dell’abitudine a vivere oltre il limite delle convenzioni sociali. Poi Enrico arrivando a minacciarlo con la pistola gli da un ulteriore scusa per
continuare a comandare, senza slanci di umanità, la “scuderia”.
Una storia ben raccontata, ci presenta questo eroe negativo che può fornire al lettore ulteriori spunti per riflettere sul reale senso della vita umana.
Ringrazio pubblicamente Roberto per il tempo dedicatomi e per l’accurata analisi.
Racconto scorrevole e leggero. Azzeccata l’ ambientazione in quel calderone di anime che sono i vicoli di Genova. Bravo
Per Marella: mi fa piacere che il racconto di abbia deliziato un po’, è il suo scopo.
Grazie.