Premio Racconti nella Rete 2011 “Come un giorno di novembre” di Andrea Polini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Novembre 1990
Dalla finestra della sala, guarda Marco allontanarsi nella pioggerella autunnale, giù sul marciapiede illuminato dalla luce fioca dei lampioni. Ha ancora sulle labbra il suo sapore. Hanno fatto l’amore, poi lui se n’è andato. Forse, questo è il loro destino: amarsi, e subito perdersi.
Successe anche vent’anni prima, quando nacque Serena. Paola, allora, era alle prime esperienze amorose. Un mese, si accorse che le mestruazioni tardavano ad arrivare. C’era rimasta fregata subito, si disse, e poi sapeva benissimo che tipo era il suo ragazzo. Bello, ribelle, ma guardandolo non con gli occhi dell’amore, era soltanto un vagabondo. Di mettere su famiglia con lui, non c’era neanche da parlarne. Sarebbe stato un fallimento sicuro. Capiva sin troppo chiaramente che qualora fosse stato costretto a sobbarcarsi la responsabilità di un figlio, tempo qualche mese sarebbero arrivati ad odiarsi. Poi lei lo amava davvero, e non voleva metterlo nei guai. Avrebbe deciso lui, e soltanto lui, se affrontare le sue responsabilità: si sarebbe rifatto vivo dopo vent’anni, per informarla che, in fondo, non l’aveva mai dimenticata. Paola, ai tempi, non disse mai ai suoi genitori con chi aveva concepito la bambina. Alle domande di suo padre e di sua madre fece sempre scena muta, come uno studente poco preparato ad una interrogazione. Solo che uno studente poco preparato rischia al massimo un “quattro” in pagella: lei, invece, per quel “peccato di gioventù” si beccò da genitori, parenti e conoscenti l’appellativo di “puttana”. Sapeva che non avrebbe potuto contare sull’aiuto di nessuno per mantenere e crescere la bambina, ma questo non le importava granché. Aveva salute, intraprendenza e buona volontà. Si ritenne anche fortunata per il fatto che suo padre non le avesse messo le mani addosso. Nel conto da pagare, aveva messo pure questo. Dapprima, andò ad abitare insieme ad una amica, Vincenza, che aveva conosciuto al liceo, e si manteneva lavorando in nero come cameriera in una pizzeria. Lavorò fino all’ottavo mese di gravidanza, e ricominciò a lavorare neanche quindici giorni dopo il parto. Quando dette alla luce la bimba, le stettero vicini Vincenza e i suoi genitori, che erano giovani e di idee assai aperte per l’epoca. I soldi, però, ora che le bocche da sfamare erano diventate due, scarseggiavano drammaticamente, ma non si perse d’animo, e in breve riuscì a farsi assumere come operaia in una ditta di pulizie assai nota in città. Un lavoro più faticoso di quello da cameriera, ma meglio retribuito e in regola, e, soprattutto, adesso guadagnava abbastanza per provvedere a se stessa e a Serena. Poco tempo dopo, le fu assegnato un alloggio popolare, così poté non approfittare oltre dell’ospitalità di Vincenza. Era una casetta trasandata di tre stanze: camera, bagno e cucina, ma l’arredò con mobili nuovi, seppure economici, e alla fine la trasformò in un alloggetto decoroso, dove abitò per più di dieci anni. Lavorava molto, e facendo attenzione alle spese riusciva pure a mettere qualche soldo da parte. Con Serena il rapporto era buono, anche se a mano a mano che cresceva, la bimba domandava sempre più spesso del padre, incalzata da una maestra petulante e bacchettona che proprio non sopportava di avere in classe una bambina che al tempo in cui bambina era lei, sarebbe stata bollata come figlia di “nn”. Una volta, stanca delle insistenze di Serena su suo padre, Paola andò a scuola e affrontò la maestra a brutto muso. L’alterco finì con un “si faccia gli affari suoi”, che all’epoca era cosa assai irriguardosa da dire ad una maestra. L’anno dopo, iscrisse Serena ad un’altra scuola elementare, più lontana da casa, ma con personale meno benpensante. La bimba e la tranquillità familiare ne trassero indubbio giovamento, seppure la vecchia maestra, ormai, avesse insinuato nella mente di Serena un tarlo insanabile che le faceva pensare che la sua famiglia composta solo dalla mamma fosse di parecchio inferiore a quelle “normali”, fatte di mamma, papà, nonni, zii e via discorrendo. Ma fu il millenovecentottantadue, l’anno che dette una vera svolta alla vita di Paola, perché, proprio quell’anno, vinse qualcosa come trecento milioni di lire al Totocalcio. Con cento milioni diventò socia per un terzo della ditta di pulizie, con altri cento o poco più acquistò la bella casa dove vive tuttora, in un quartiere residenziale, mentre i soldi rimanenti andarono a rinforzare il conto in banca, che ormai non era più così esiguo. Da allora, risolto il problema economico, Serena diventò sempre più il centro focale di tutta la sua vita.
Ora, alla soglia dei vent’anni, è una ragazza davvero carina, e i ragazzi la corteggiano spesso, ma a Paola è evidente che a sua figlia i maschi interessano soltanto per il sesso. Per il resto, li disprezza. Il fantasma del padre cattivo che ha abbandonato lei e la mamma, è una presenza ingombrante nella sua personalità, e tanto l’aveva cercato, quel padre cattivo, al tempo che la vecchia maestra la faceva sentire drammaticamente diminuita per questa mancanza, tanto ora si augura di non incontrarlo mai, per tutta la vita.
Paola, in tutti questi anni, aveva avuto un paio di amicizie maschili intime, ma si era sempre ben guardata dal farlo intuire a Serena, perché non era certa di come lei avrebbe preso la cosa. E poi, anche Paola degli uomini non si fidava. L’attraevano, secondo natura, ma non provava più per loro un vero coinvolgimento affettivo. Le ferite del passato lasciano il segno, e, come recita il detto: “chi si è scottato con l’acqua calda, ha paura anche di quella fredda”. La sua, comunque, era stata una vita tutto sommato tranquilla, dopo il terremoto della prima gioventù.
Ma perché Marco, dopo tanti anni, si è di nuovo interessato a me? si domanda spesso, da quando lui si è riavvicinato. “Perché certamente ha bisogno di qualcuno che lo mantenga. Perché sono la ripudiata ideale,” si risponde ogni volta a tutta prima. “Non gli ho mai rotto le scatole. Non le ho mai rotte a nessuno. Mi sono sempre arrangiata da sola.” E’ vero. Però Marco le ha detto di non averla mai dimenticata, e il bello è che pure Paola ha scoperto di non averlo dimenticato affatto, al punto che farebbe anche la pazzia di riprovarci, con quel bel quarantenne, ora come allora sfaccendato e squattrinato. “Ma Serena come reagirebbe trovandosi faccia a faccia con il padre una volta tanto cercato, e, dopo, nell’adolescenza, altrettanto detestato?” si domanda torturandosi la mente ogni giorno, cercando una soluzione per gli incontri stranamente clandestini col suo ragazzo di una volta, che ora le fanno provare un vago senso di vergogna. Conosce abbastanza sua figlia da scommettere che esploderebbe in un sonoro “vaffa”, e questo non vuole che succeda. Ha parlato di questo con Marco, dopo che avevano fatto l’amore, quando ancora erano distesi sul letto matrimoniale dove per tanti anni aveva dormito da sola. Lui le ha risposto che non potrebbe dar torto a quella figlia mai vista, qualora reagisse così, poi si è rivestito, e dopo aver baciato Paola davanti la porta d’ingresso, e averle detto che tra qualche giorno le telefonerà, è entrato nell’ascensore ed è andato via. Così, a lei non è rimasto che affacciarsi alla finestra della sala per guardarlo allontanarsi, tre piani sotto, sul marciapiede battuto dalla pioggerella autunnale. Si domanda che cosa le riserverà il futuro, e, soprattutto, se per sua figlia, alle soglie del duemila, le cose saranno più facili di come sono state per lei, che in un modo o nell’altro ha sempre dovuto scontrarsi con il giudizio di qualcuno: un tempo aveva affrontato il disprezzo di genitori e parenti, ora teme quello di Serena. “Pensieri un po’ sciocchi e inutili,” si dice, appena dopo averli formulati, e paragona la sua vita a questa giornata di novembre. Trova che le assomiglia dannatamente: romantica, a suo modo bella, forse. Come un rimpianto.