Premio Racconti nella Rete 2024 “Mormora il fiume leggende antiche…” di Jessica Tommasi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024L’amadriade* si mosse, flebile e fragile, tra le fronde mentre il lumeggiare degli astri pareva farle da faro nella notte plumbea, come a volerla illuminare e proteggere col suo luccichio.
Delicata fluttuò fin al terreno nei pressi di quello che, un tempo, era stato ribattezzato Lambro per poi adagiarsi ai piedi dell’imponente quercia, le braccia strette alle caviglie in cerca di un incolmabile abbraccio.
Gocce d’ambra scesero dai suoi occhi infinitamente mesti, intagli di sole spezzate e spazzate dalla bufera del Solstizio d’Inverno.
Vestiva di bianco, un sol lungo abito che le aderiva al petto, allargandosi sino alle caviglie, lasciate libere. Le braccia, non imprigionate dal candore della stoffa, si avvolgevano salde attorno al suo corpo di cristallo.
Dietro a uno degli alberi che si ergeva in quel luogo, un uomo osservava l’esserino commosso per il pianto di lei, che ininterrotta singhiozzava, priva di forze come lo stantuffo di braci che via via si attenuano.
Non era armato, non esibiva corazze, bensì era ornato da vesti di cotone, due stivali e una cintura. Un poveraccio, sfornito di soldi e con una bisaccia d’acqua affiancata a un sacco con all’intero del pane raffermo.
La fame lo martoriava ma, vedendo l’abitante del Piccolo Popolo, avrebbe rinunciato persino alla sua provvigione affinché il sorriso tornasse a risplendere sull’etereo visino.
Malgrado la bontà d’animo che sentiva sorger nel petto, la timidezza gli fece d’avversaria e lui, disarmato, non poté contrastarla.
Il vagito perpetuava nella sera ormai tarda, simile a un canto di lucciole taciturne.
Quale strazio era udirlo! Un tormento per l’animo che non doveva durare ancora a lungo!
Soffriva la ninfa, troppo angosciata…
Inginocchiatosi a terra, le si avvicinò nella speranza che, divenendo anche lui microscopico, ella non si spaventasse.
A nulla valse l’accortezza.
In un lampo, dinanzi alla sconosciuta presenza, la creatura s’alzò rapida in volo per nascondersi tra le foglie dei rami più inaccessibili.
Disperato, l’uomo allungò una mano aperta, mostrando il tozzo di pane rimastogli, offrendolo al vento che celava nella sua trasparenza la fanciulla dalle ali di libellula.
Il pianto s’era arrestato, sebbene l’uomo lasciarla in quello stato non poteva, dolorante a causa di tremori che non conosceva e che mai avrebbe conosciuto.
Si accasciò al suolo dunque, affamato e debilitato, con il prezioso pezzo di cibo pronto a esser divorato. Tuttavia, non lo mise in bocca né lo dividette.
Desiderava donarlo a costo di perire: lo abbandonò là, ai piedi della quercia che imponente troneggiava dominando l’intera panoramica, per poi fuggire lontano, nell’ombra della sera che serpeggiava fra i radi alberi della radura.
Vagò a lungo, pensando e tormentandosi per quanto aveva compiuto. Da sempre le fate, di fronte agli esseri umani, svanivano. Lui aveva commesso un errore, auspicando tuttavia che la creatura tanto pura avesse anche solo il desiderio di saggiarne una briciola, sporca di pelle, imbrattata dell’essenza dell’Uomo.
Infine senza fiato, senza nulla, senza nemmeno un guscio da riempire di silenzio, incespicò e cadde riverso a terra mentre mormorava la sua implorazione al vento che, gentil e carezzevole, lo cullò fin dove sarebbe dovuto giungere.
Grazie all’intervento mediatore di Madre Natura, fu così che la ninfa apprese la preghiera dell’umano a lei rivolta affinché il cantuccio di pane, mai toccato, potesse essere di conforto al suo animo frantumato in mille argentee lamine.
E con quell’ultima preghiera, con quella conclusiva lacrima, il lamento cessò.
Morì in un sussulto di vita per raggiunger l’uomo, come una fiamma tremula nel cuore palpitante del crepuscolo.
*Categoria di ninfe protettrici del bosco… e nome di un tipo di farfalla che si nutre di frutta marcita.
Raffigurate solitamente con la parte superiore di donna, mentre la parte inferiore consisteva spesso in un tronco d’albero dal quale si diramavano le radici.
Appartiene a tale tipologia la famosa ninfa Euridice, sposa di Orfeo, che morì a causa di un morso di serpente.
Mi piacciono le leggende e ho apprezzato il registro che hai utilizzato per dare un tocco d’incanto alla storia.
Purtroppo, però, ci sono alcune parti che, non essendo approfondite, mi hanno mandato in confusione, sbalzandomi fuori dalla storia.
Mi dici che la protagonista è un’amadriade e io ne leggo la definizione (avresti potuto evitare di distogliere la mia attenzione descrivendola mentre si muove tra gli alberi, anziché spingermi a fondo pagina per capire cos’è).
Poi, però, mi dici che ha le caviglie, un corpo di cristallo, le ali, che è una fata, che è minuscola (vagisce? è pure un’infante?) e quindi, non è la donna della definizione che ti aspetti. Inoltre: perché piange? perché l’abbraccio è incolmabile?
Mi piacciono le espressioni che usi: “un canto di lucciole taciturne”, “la timidezza gli fece d’avversaria” e, forse, potresti lavorare di più su questa tua capacità di dare immagini suggestive, in sostituzione di tanti aggettivi, per far brillare di più il racconto.
“dolorante a causa di tremori che non conosceva e che mai avrebbe conosciuto”: sta provando i tremori, quindi ne fa esperienza, forse avresti potuto spiegare che prima non li aveva mai provati e quindi non li sa definire.
La storia è molto dolce, ha proprio l’aura della leggenda, e se mi sono permessa di presentarti le mie osservazioni per renderla più efficace è perché anch’io commetto ancora le stesse inesattezze e credo che partecipare a questo concorso sia un’occasione per confrontarci e crescere.
Non ci resta che continuare a scrivere e sperimentare come esprimere al meglio la nostra voce.
In primo luogo, chiedo venia per l’oltraggioso ritardo con cui replico al commento degli organizzatori; secondo – ma non certo pregno di minore importanza – grazie per la sopracitata critica assai costruttiva, di cui faccio volentieri tesoro, atta a colmare mie mancanze per il perseguimento di un fine più alto, di un futuro miglioramento in vista!
Nulla da eccepire per quanto concerne la descrizione dell’esserino dalle fattezze femminili che si ispira all’amadriade e, più in generale, simboleggia un velato rimando al Piccolo Popolo…
Comprendo come possa aver destato confusione.
Per quanto riguarda invece l’uso abbondante degli aggettivi, costituisce, ebbene sì, un espediente voluto: avvalendomi di un pizzico di imprudenza, non ho tenuto conto dell’eventualità che ciò avrebbe – con tutte le probabilità del caso – rallentato/appesantito/inficiato la narrazione, quel che più premeva era pervadere il racconto d’un senso di magia e meraviglia rendendolo per certi versi simile a una prosa poetica baroccheggiante dal momento che, al di là dello scribacchiare racconti brevi e pur breverrimi (vedasi per esempio le antologie #BookTok, curate dalla linea editoriale Einaudi Ragazzi, ove un mio scritto è stato selezionato), mi diletto altresì nella composizione di liriche, alcune delle quali premiate in precedenza in altri concorsi.
A questo “giro di valzer” sono stata, evidentemente, poco abile a predisporre il lettore al giusto contesto e a guidarlo sotto la giusta prospettiva…
Cionondimeno, vale la regola del non lasciarsi sopraffare dallo scoramento.
Ritenterò il prossimo anno!
Caparbiamente vostra,
Jessica