Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Il topo che voleva volare” di Giuliana Ricci (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

C’era una volta un topo che voleva imparare a volare, ma ogni tentativo che aveva fatto, era fallito miseramente. Non restava che un’unica possibilità: andare in cerca del castello dove viveva la fata dei desideri. Questa era una fata molto riservata che non svelava la propria esistenza a tutti quelli che la chiamavano, ma solo a quelli che meritavano veramente i suoi incantesimi. Nerino, questo era il nome del topo, avrebbe dovuto percorrere tanta strada e, una volta arrivato, forse, non sarebbe riuscito neanche a vedere la fata. Tuttavia decise che valeva la pena tentare.

     Si diceva che il castello sorgesse dietro le colline, nel mezzo di un parco antico che a sua volta era circondato da un bosco. In pochi lo avevano cercato e di quei pochi, che avessero avuto fortuna o meno, nessuno era tornato. Cammina, cammina, Nerino superò le colline e, con grande coraggio, attraversò il bosco diretto verso il parco. Quando arrivò, però, ebbe una grande delusione: il castello che una volta vi sorgeva in mezzo, doveva essere crollato da tempo. Solo qualche vecchio muro appariva, sparso qua e là, tra le folte erbe selvatiche.

     Stanco si lasciò cadere sull’erba, al riparo di due cipressi, e osservava la luce del cielo incupirsi quando le nuvole passavano contro il sole. Rimase così a lungo, sdraiato, senza quasi muoversi e pian piano s’abbandonò al sonno. Dopo essersi riposato, avrebbe ripreso la strada di casa.

     Un fruscio di foglie lo trasse dal sonno e, quando aprì gli occhi, vide un gatto bianco sopra un muro che lo fissava con uno sguardo astuto e interessato. Nerino fece subito per scappare ma il gatto lo fermò:

–        Ma come, non mi riconosci? – disse con una voce piena di lusinghe.

–        Chi sei? – domandò a sua volta Nerino mentre cauto indietreggiava allontanandosi dal gatto.

–        Sono la fata dei desideri.

–        Pensavo tu fossi diversa!

–        Io posso avere molte forme! – spiegò il gatto –  Questa l’ho scelta per vedere se hai coraggio e meriti la mia attenzione.

     Nerino, quindi, non fuggì anche se dalla paura tremava come una foglia sbattuta dal vento.

–        Sentiamo! Qual’è il tuo desiderio? – riprese a parlare il gatto.

–        Io desidero tanto poter volare.

–        Posso farlo! Ma tu cosa mi dai in cambio? – domandò, allora, il gatto.

–        Qualsiasi cosa tu chieda. – rispose Nerino che preso dall’emozione dimenticò ogni prudenza.

–        Affare fatto! Io voglio la luce dei tuoi occhi così che riesca a vedere bene anche nell’oscurità.

     Tanto grande era il desiderio di Nerino che accettò subito e così si ritrovò ad essere quasi cieco.

–        Ora devi dirmi come posso fare per volare. – disse Nerino.

–        Vai laggiù, dove c’è quel mucchietto di roba vecchia. Troverai della stoffa e del fil di ferro. Costruisci due ali e sali in cima al cipresso. A quel punto appoggia le ali sopra il dorso e  lanciati nell’aria. Vedrai che volerai. – gli spiegò il gatto leccandosi soddisfatto una zampa.

     Nerino andò dove gli aveva indicato il gatto. Trovò un sacco di roba bizzarra e polverosa ma anche inutile ad eccezione di un ombrello nero tutto rotto. Usò la stoffa e le stecche di quell’oggetto per costruire un paio d’ali che non erano proprio il massimo dell’eleganza ma purché gli consentissero di volare andavano bene ugualmente.

     Terminato il lavoro salì veloce sopra uno dei cipressi e, senza essere colto neanche per un solo istante dall’ombra del sospetto, appoggiò le ali sul dorso e si lanciò nell’aria. Ovviamente le ali, non essendo collegate al dorso ma solo appoggiate, si staccarono volando per conto proprio e Nerino precipitò disastrosamente a terra. Si ritrovò con il naso schiacciato contro il terreno prima ancora di riuscire a gridare aiuto.

–        Povero sciocco! – disse a quel punto il gatto avvicinandosi al topo –  Pensavi davvero di riuscire a volare il quel modo? E hai creduto sul serio che io potessi essere la fata dei desideri?

–        Purtroppo! – rispose Nerino con un fil di voce.

–        Sai quanti giorni sono che sto aspettando la fata in questo parco? Un’infinità. Sono quasi morto di fame. – continuò il gatto –  Poi, arrivi tu e pensi di poterla vedere subito. Povero illuso! Meriti proprio la fine che ti farò fare: adesso ti catturerò e ti mangerò in un sol boccone.

     A quelle parole Nerino si spaventò tanto mai che, anche se mezzo stordito e quasi cieco, corse a perdifiato pur di sfuggire al gatto. Girò velocemente intorno alle pietre, percorse il prato a zig zag, finché non riuscì ad infilarsi in un buco in cui il gatto non poteva entrare. Purtroppo si ritrovò prigioniero perché il gatto rimase imperterrito a sorvegliare l’ingresso del rifugio di Nerino e non mollò la presa per tutto il giorno.

     Le ore scorrevano lente e pian piano arrivò la notte. Sul vecchio parco scintillava la tenue luce delle stelle ma all’improvviso cominciarono a passare cerchi luminosi sull’erba e sui petali chiari dei fiori. Sembravano giungere direttamente dalla luna, scendevano giù per la collina e attraversavano gli alberi del bosco fino al vecchio parco. Il gatto pensò che fosse l’effetto della sua nuova vista ma guardandosi intorno si accorse che qualcosa di strano stava accadendo: il parco brillava di nuovi magici colori ed era illuminato a festa come se attendesse qualcuno.

     In seguito, sia il gatto che il topo udirono dei passi leggeri far scricchiolare le foglie e i piccoli rami secchi sul sentiero che una volta portava al castello. Udirono anche il fruscio di un lungo abito e un battito delicato di ali che mosse l’aria. Il gatto, spaventato, mollò l’assedio al topo e andò a nascondersi dietro una roccia dove poteva spiare la nuova presenza senza essere visto. Fu allora che dopo tanti giorni riuscì a vederla! Era la fata dei desideri: una fanciulla bellissima con i capelli d’argento e un abito blu trapuntato di stelle.

     La fata andò da Nerino e lo prese tra le sue braccia accarezzandogli il musetto che era rimasto schiacciato dopo la caduta. Poi raccolse le due ali che il topo aveva costruito e le appoggiò su un muretto accanto al povero animale ingannato. A quel punto si diresse verso il gatto che, sperando di non essere visto, si era rannicchiato su se stesso e stava immobile come se fosse caduto in un sonno profondo. Le mani della fata, però, caute e silenziose lo raggiunsero e lo sollevarono. Il gatto trattenne il respiro per lo spavento: sapeva che la fata non avrebbe esaudito nessun suo desiderio ma lo avrebbe punito per ciò che aveva fatto al topo. Infatti, gli strappò alcuni dei suoi preziosi baffi:

–        Hai fatto un patto con il topo. Lui lo ha rispettato e tu adesso devi dargli la possibilità di volare. – disse la fata mentre legava i baffi insieme per farne un filo molto forte.

     Poi la fata tornò da Nerino e, mentre gli cantava una bella canzoncina, gli legò le ali intorno al corpo con il filo appena fatto.

–        Prova a sbattere le ali. – gli suggerì la fata appena ebbe terminato il lavoro.

     Nerino fece vibrare le sue ali scure nell’aria e sentì che erano salde e forti. Quelle ali potevano sostenerlo e farlo volare velocemente ma, essendo cieco, aveva paura di andare a sbattere contro gli alberi, le case e gli altri uccelli. Allora la fata gli diede un piccolo bacio sugli occhi e Nerino d’improvviso divenne capace di avvertire tutto quello che gli si trovava davanti e di poterlo evitare senza problemi.

     Finalmente Nerino spiccò il suo primo volo! Incredulo e felice, volò alto nel cielo verso il chiaro disco della luna. Poi tornò indietro e fece un paio di piroette sopra il gatto, cantando le parole che gli aveva insegnato la fata:

–        Non sono più topo e neanche uccello,

            ma grazie ai tuoi baffi son pipistrello.

Il gatto guardò il topo volante indispettito. Adesso non sarebbe più riuscito a mettere le zampe su quella preda che, per di più, poteva volare grazie ai suoi baffi. Non avrebbe mai dimenticato una simile lezione, come nessun’altro gatto lo avrebbe fatto in futuro.

            E, per chi non crede che questa storia sia vera …

            provi ad avvicinarsi ad un gatto

            e a toccargli i baffi in qualche maniera.

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