Premio Racconti nella Rete 2024 “Aperto per lutto” di Stefano Corradini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024Da piccolo Giovannino cadde dalle braccia di sua madre.
Aveva tre anni e si agitava come tutti i bambini vivaci.
Luigi, suo fratello maggiore, non cadde mai da quelle braccia.
La madre di Giovannino prese il piccolo lo avvolse in una coperta e si precipitò, insieme a Luigi, all’ospedale di San Faustina.
Codice rosso.
Solo quando l’infermiera sdraiò il piccolo in una lettiga vide che un piede era girato all’opposto dell’altro.
Giovannino e Luigi erano molto simili per lineamenti, carnagione e quei riccioli biondi.
«Hanno preso tutto da me» diceva mamma Letizia quando la fermavano per strada.
Giovannino, essendo il più piccolo era sempre seduto nel passeggino.
Luigi invece stava in piedi sulla pedana con le rotelle, riparato fra lo schienale e il corpo di sua madre.
Luigi era quello che si prendeva sempre baci e coccole. Giovannino riceveva solo qualche carezza ogni volta che piagnucolava.
«Stà buono, Nino» diceva Letizia.
Luigi, da dietro, tirava delle ginocchiate nella schiena del fratello per continuare a farlo piangere.
Luigi e Giovannino frequentarono la stessa scuola. Il grembiule di Luigi venne riadattato per Nino. Una macchia di inchiostro rosso dietro la schiena accompagnò la vita scolastica di Giovannino. Luigi se l’era fatta di proposito quando seppe che la sua preziosa uniforme bianca sarebbe passata a suo fratello.
I compagni di classe di Nino avevano formato due gruppi: quelli che si scambiavano le biglie e quelli che giocavano a calcio. La madre di Giovannino gli comprò volentieri qualche biglia colorata.
Luigi andava a nuoto ed era piuttosto bravo. Chiedeva sempre a Nino di andare a fare il tifo per lui. Prima di salire sui blocchi lo cercava fra il pubblico e come un cow boy lanciava un lazo immaginario verso la tribuna. Nino dal suo posto si dimenava catturato da quella corda invisibile.
Alle superiori Giovannino frequentò Ragioneria, come Luigi. Andavano a scuola in bicicletta con qualsiasi tempo. Quando pioveva Luigi sorpassava Nino per schizzarlo. Giovannino, sempre impacciato, non riusciva mai a mettersi in salvo. Arrivava a scuola sporco e bagnato. I bulli lo presero di mira.
Gli venne affibbiato un soprannome: Mr Hankey. Gli sembrò simpatico ma scoprì che Mr Hankey era un personaggio di South Park: una merda parlante nello specifico. Glielo spiegò Luigi.
«Se ti vesti sempre di marrone…» disse facendo spallucce «Dovresti menarli!»
Luigi aveva sempre ottime idee per peggiorare i problemi.
I compagni di Giovannino continuarono a chiamarlo Mr Hankey fino al giorno del diploma. Un paio di amici lo abbreviarono in “Hank”.
Nella foto di classe, Hank è nascosto dietro la testa di un suo compagno.
Luigi aveva trovato lavoro come elettricista.
I soldi che guadagnava li spendeva i fine settimana nelle discoteche.
«Trovati un lavoro Nino» gli disse suo fratello «fra un anno o due vado a stare per i cazzi miei».
«Devo finire ragioneria, ci penserò fra due anni»
«Fidati, vai a lavorare che poi si scopa un casino»
«Ok, ok» disse Giovannino tenendo a distanza Luigi e la sua puzza di Sambuca.
Giovannino voleva bene a Luigi. Iniziò a volerne anche alla sua ragazza e poi a tutte le fidanzate che seguirono. Ammirava il modo con cui riusciva a passare da una donna all’altra.
«Tieni sempre uno di questi, non si sa mai».
Giovannino infilò in fretta il preservativo in fondo alla tasca dei pantaloni.
Luigi guardò il fratello arrossire.
«Dai, non fare il finocchio!»
Giovannino trovò lavoro come commesso al Despar di via Como. Sistemava i prodotti negli scaffali dopo aver controllato le bolle di arrivo e spuntato la merce in d’ordine. Era un lavoro semplice. Controllava i documenti di trasporto, le giacenze e si preoccupava dei riordini.
Guadagnava meno di tutti, lo sapeva.
«È un lavoro, va bene così»
«Tieni Nino» disse Luciana passandogli un cicciolo frollo.
Lo tenne un po’ in bocca prima di mandarlo giù. Gli vennero i brividi.
Giovannino fu spostato al reparto macelleria.
Prese confidenza con qualche coltello. Bruno, che lavorava lì da dieci anni e nel tagliare la carne aveva l’abilità di un ninja, lo istruì sulle preparazioni e le disossature.
Giovannino passò presto al servizio al pubblico. Trattava tutti con la stessa gentilezza e lo stesso sorriso leggero.
Il tempo passò segnando il suo viso che invecchiava e il corpo che arrotondava sempre più.
Luigi un giorno gli telefonò.
«Come va Nino?»
«Bene Gigi, tu?»
«Tutto bene tranquillo, era solo per un saluto domani vado in trasferta. Ciao»
Giovannino riattaccò. Poche parole, scarne. Provò a ricontattarlo. Nessuna risposta.
Il giorno dopo al lavoro Giovannino ricevette una telefonata.
«Nino sono mamma, vieni a casa» disse «Luigi è morto».
Divenne bianco come il camice che indossava e allontanò la cornetta. Avvisò i colleghi che doveva uscire prima perché suo fratello era morto.
Nessuno riuscì a guardarlo in faccia. Solo Luciana lo baciò sulla guancia prima di dileguarsi.
Giovannino timbrò il cartellino.
Insieme ai suoi genitori andò nel magazzino dove lavorava Luigi.
Il corpo non era a terra: era appeso a una sbarra del soppalco, con un fascio di cavi elettrici attorno al collo.
Il giorno del funerale di suo padre, Giovannino lesse dall’ambone davanti a meno di dieci persone.
Sua madre in prima fila lo guardava da dietro due grossi occhiali scuri.
Nino diventò l’ultimo uomo di casa: l’ultimo che si sarebbe occupato di quella signora, ormai invecchiata, che lo fissava senza piangere.
Giorni dopo, mentre affettava il solito etto e mezzo per la signora Adelaide, gli si avvicinò Marione, uno degli ultimi assunti dal supermercato. Un ragazzo più giovane di Giovannino, aveva quasi trent’anni e un metro e novanta di muscoli. Un fisico da buttafuori grazie al quale riusciva a sollevare interi prosciutti come fossero gallette di riso.
Quel giorno gli raccontò di una macelleria in centro che stava vendendo; il vecchio proprietario aveva deciso di godersi la pensione in Portogallo dove la vita costava meno e avrebbe vissuto da signore.
Giovannino ne parlò con sua madre. Era stanco di vivere alle dipendenze di qualcun altro e Marione, che era figlio unico, aveva un discreto gruzzolo da parte.
«La gente ti vuole bene Nino, quel lavoro sembra fatto apposta per te. I clienti non ti mancheranno» profetizzò sua madre.
L’ultimo giorno di lavoro al supermercato Giovannino portò dei pasticcini per salutare i colleghi.
«Smetti di lavorare, qui ormai abbiamo finito. Inizia una nuova vita» disse Marione pochi minuti prima dell’orario di chiusura.
Giovannino pulì l’affettatrice. Era pronto per uscire ma fece un ultimo giro dietro al bancone come se dovesse salutare i salumi uno ad uno. Marione lo colse di sorpresa mentre sistemava per l’ultima volta il coltello da disosso nel cassetto. Gli diede un colpo sulla spalla.
«Basta dai, andiamo» gli gridò. Giovannino sobbalzò e il coltello gli scivolò dalla mano. Tentò di prenderlo al volo ma mancò il manico e la lama lo tagliò lungo il palmo.
Giovannino passò la sera dell’ultimo giorno di lavoro al Pronto Soccorso con il braccio alto e la divisa macchiata di sangue.
Tutto era sistemato come nelle macellerie di una volta, i Carpegna e i San Daniele appesi con i ganci alle travi in legno. Oltre ai tagli di carne e ai salumi faceva capolino anche qualche svizzera di macinato mista a spinaci per le signore attente alla linea.
La qualità dei prodotti e la gentilezza dei due soci attiravano clienti anche da fuori città.
Nino passava sempre qualche cicciolo frollo ai piccoli avventori. Le mamme lo ringraziavano sottovoce.
Marione teneva la contabilità. Informò Giovannino del primo insoluto solo due mesi dopo il primo sollecito del fornitore. Dopo cinque anni di attività era la prima volta che capitava.
Accadde anche il mese successivo. Marione soffriva per un divorzio che lo stava prosciugando. Giovannino gli prestò soldi. Poi gliene prestò ancora.
Il funerale di sua madre portò per la prima volta in rosso i suoi conti, costringendolo a diluire i pagamenti in sei rate. In banca gli spiegarono come compilare una cambiale, il signore in giacca e cravatta fu molto cortese. Diceva di non preoccuparsi ma aveva l’aria di non crederci più di tanto.
Marione non si presentò al lavoro per una settimana. Al cellulare rispondeva una voce registrata che diceva “il numero selezionato non è attivo”.
Una sera mentre stava per tirare giù la saracinesca un uomo con un cappellino dei Lakers spinse Giovannino dentro al locale. I due restarono dentro meno di un minuto.
Giovannino tornando a casa ripensò alle parole di quell’uomo e a quella foto che gli mostrò prima di tirargli un pugno alla bocca dello stomaco.
Non dormì.
Alla mattina aprì la macelleria come tutti i giorni.
L’uomo col cappellino ritornò poco prima delle otto.
Sapeva che lo avrebbe trovato lì.
Entrò in silenzio.
Appesi alla trave vide i salumi dondolare. In mezzo a loro Giovannino oscillava con una corda al collo.
Racconto scritto molto bene, riesco a “vedere” i personaggi mentre li descrivi. Mi piace come riesci a raccontare la storia mostrando i gesti dei protagonisti.
Il racconto ha un finale tragico che riesci a narrare in modo essenziale, non retorico e il finale riesce davvero a toccarti nel profondo. Grazie e complimenti!
Lineare e ben scritto, essenziale. Bravo davvero!