Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “Emozioni – La vita di Carlo” di Giovanni Bucci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Il sole cuoce la città, e Carlo cammina lungo alla strada. La suola sporca delle Nike si lascia dietro asfalto bollente, strusciano i lacci per terra. Ha 17anni. Macchine fanno la coda, fanno rumore i tassisti coi finestrini aperti e le braccia fuori a reggere una siga. È così caldo e umido che ti vorresti strappare la pelle di dosso e Carlo avanza lento, con una maglietta sudata della Colombia e ancora un po’ di cali in mano consumata a ritmo di vento. L’afa filtra dalle serrande.

L’estate avanzava giorno dopo giorno prima della notizia. Perché ora le cose sono cambiate. Un paio di mesi prima Carlo era tornato a casa, sua madre stava leggendo il giornale e Carlo sapeva che non era mai un buon segno. Sì, perché lei lo sfogliava solo quando qualcuno moriva o veniva arrestato, e più e più volte Carlo aveva fatto finta di non conoscere ragazzi con cui aveva condiviso pensieri sulle panchine del parchetto per ore ed ore, fino a farsi scavalcare dal sole e pure dalla luna, tutto per non farla preoccupare. Solo con Samy non ci riuscì, Carlo sapeva che sua mamma l’aveva visto spesso e per questo si limitò a dire: “Si, lo so.” Non si presentò però al funerale, si vergognava di non riuscire a versare neanche una misera lacrima. E chiese scusa a Samy, glie la chiese sulla tomba, sforzandosi, almeno in quell’occasione, di piangere, ma nulla. In cuore di Carlo i morti non hanno mai occupato più di un secondo.

Quel giorno però arrivò una notizia diversa. Nessuno era morto. Proprio nessuno. Su tutta la superficie del globo non un singolo cuore aveva smesso di battere. Una notizia singolare che si strascicò di bocca in bocca, di giorno in giorno. Tutti erano entusiasti. Tutti si chiedevano come fosse possibile, tra fame, piombo e tempeste. Ogni singola persona aveva superato ciò, come quando da piccoli si saltano le onde in spiaggia. Tutto sembrava passare tra i piedi delle persone come acqua trascinata dalla corrente, ma senza portarsi dietro nessuno, erano tutti rimasti lì, dove stavano il giorno prima e quello prima ancora.

Appena sua madre gli lasciò la notizia Carlo corse in bagno a vomitare. Non lo fece apposta, lo fece e basta. Provò a rigettare tutto nel cesso ma non uscì null’altro che cibo. Carlo salutò suo padre che faceva sempre quella faccia quando andava a lavoro che Carlo avrebbe voluto strappargliela con le unghie, ma rimaneva sempre lì. Uscì a fumare con la sua ragazza come ogni sera da gennaio a dicembre. Quella sera d’estate freddo Alaska, la luna salì più luminosa che mai e sarebbe rimasta sveglia con Carlo tutta la notte. Carlo parlava a malapena, gli tremavano i nervi, le viscere. La sua ragazza invece parlava, stupenda. La pelle illuminata dagli astri. Era più bella di tutti i soldi del mondo messi insieme. Gli occhi, la bocca, la schiena, era riuscita a sfiorargli il cuore arrivando dove mai nessuna era arrivata e lui veramente le voleva bene. Avevano bruciato insieme un numero infinito di sere e ogni volta era bello, come quando come ora chiacchieravano e fumavano all’ombra, come quando tornavano a casa ubriachi ballando oppure in silenzio, ma sempre in coppia, bello come quando Carlo si girava e lei lo guardava ancora.

Carlo la riaccompagnò a casa e tornò a sedersi su quel muretto. La cenere calava a terra come fiocchi di neve. Le voleva bene, le voleva bene veramente, ma ripensandoci non c’era mai stato un bacio senza cause né fini. Per un secondo almeno l’aveva amata, prima che le pupille si ritirassero nel buio. Ma Carlo voleva ancora amarla. Gli mancava il sapore che avevano avuto le sue labbra quella prima sera. Ma se le stelle esistono perché i ciechi non le possano guardare e i prati esistono perché gli zoppi non possano correrli, l’Amore, per Carlo, è come un meraviglioso cielo trapunto di stelle per i ciechi o immense distese di prati verdi per gli handicappati. E allora di tanto in tanto si chiedeva “che senso ha provarci?”. Carlo invidia chi ama senza sintetico.

Aspettò le sei del mattino su quel muretto, con la merce nella tuta. Di solito a quell’ora arrivavano la maggior parte delle chiamate di tutti quei tossici di merda, gli facevano schifo ma Carlo sapeva che quei soldi sarebbero serviti. Sarebbero perché era raro per lui spendere grosse somme, come avrebbe giustificato tanta ricchezza a sua madre? Che il giorno prima la sorella di Carlo le era andata a chiedere se avessero potuto cenare con la pizza essendo domenica, ma non c’erano manco dieci euro per una margherita. Ogni tanto Carlo regalava qualcosa a sua sorella e lei probabilmente sapeva da dove arrivassero, ma non disse mai nulla. Più per amore che per convenienza si diceva Carlo, perché c’era già anche troppa gente che gli stava intorno per convenienza, che lui chiamava amici.

Oggi Carlo cammina lungo la circonvalla. La notizia continua ad apparire ovunque, da mesi ormai va avanti questa storia. Chiunque ha rimandato i propri impegni adesso che c’è tempo e anche Carlo pensava che lo potesse far sentire meglio, ma così non fu. Non riesce a capire cosa fare, a che punto della vita è, ora che il tempo che lo separava dalla morte si è dilatato. Prima era così duro e incorrompibile, che quasi potevi spezzarlo come un’asta di legno, e adesso? Forse ogni milione di persone ne nasce una che soffre il mondo, anche se il mondo continua a girare ignorandola, e lui è quella persona. E sua madre glie lo dice che la vita è bella, che è un dono, e lui le chiede scusa nella sua testa perché per lui non è altro che la più grande imposizione di tutte, e adesso non ha manco più scadenza. Lei gli dice che la vita deve essere vissuta perché il più bello dei soli non è ancora sorto, ma forse non sorgerà neanche mai, forse tutti questi giorni che mancano Carlo li ha già vissuti, che poi “giorni che mancano” ma mancano a cosa? Ormai sono solo giorni. Per questo Carlo ha deciso di fare questa scelta così egoista. Perché lo hanno anche portato dalla psico ma quella è roba da ricchi, continua a ripetere “se sei triste sorridi che la morte è peggio, se sei triste sorridi che la morte è peggio”, ma Carlo sa che solo quando sarà morto sorriderà perché il peggio sarà finalmente passato. Per tutto questo sta salendo le scale di questo palazzo. Da così in alto, per fortuna, non riesce ad essere visto, si vergogna. Aspetta l’ultima luna fumando cali. Le ombre della via sottostante allungate dall’ultimo metronotte. Telefono spento, nessun messaggio, nessuna chiamata. I piedi a mollo nel buio. Si ricorda di quando, da piccolo, lasciava cadere i sassi dal tetto per sentirne l’effetto, adesso sta a lui. Finalmente adrenalina, ora può smettere di trattenere il fiato. La glock scaricata dell’unico proiettile mai comprato, le labbra sottili e fredde, rivolte verso, l’alto, dove il cielo è più blu. Tanto, come disse già qualcuno, avere 20 anni o 200 non cambia mica tanto, se non riesci a vivere la vita com’è.

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7 commenti »

  1. Racconto scritto benissimo, paragoni e metafore uniche, in grado di aprire uno sguardo “dal di dentro”, sia sul protagonista che sul bagaglio di rappresentanza che si porta. ” I piedi a mollo nel buio” sarebbe stato un ottimo titolo.
    “Dafne” di Murubutu mi è venuta in mente solo per il
    ritmo e il tema, senza togliere niente all’originalità del racconto.

  2. Ciao. Grazie per il commento. Purtroppo sono troppo giovane per conoscere la discografia di Murubutu ma sicuramente andrò a dare un ascolto a Dafne. Per correttezza devp anche ammettere che i “piedi a mollo nel buio” l’ho rubata ad una barra di un pezzo non molto conosciuto di Side chiamato “Medicine”, consiglio l’ascolto. Obrigado por tudo. Bom dia.

  3. Errore mio. Quella cit è di Stay Away di Skinny feat Ketama, Side e Franco126

  4. Io sono molto vecchio ma ti consiglio Tito Sherpa.?

  5. Arrabbiato, sgrammaticato, disperato…questo è un racconto punk! Top!

  6. Grazie del commento 🙂

  7. Tito Sherpa mai sentito prima ma me lo sono andato ad ascoltare tutto

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