Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2011 “Una lacrima di luna” di Giuliana Ricci (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011

Si racconta che, tanto tempo fa, la luna era prigioniera della notte e passava ore infelici nel buio del cielo notturno, senza avere neanche la compagnia delle stelle. La rugiada, che al mattino si trovava sull’erba, erano le lacrime che la luna aveva pianto durante tutta la notte. Il sole le asciugava commosso, senza sapere a chi appartenessero.

Una mattina il sole non riuscì a far evaporare tutta la rugiada e, sotto un filo d’erba rimase una goccia che asciugandosi sulla terra si trasformò in una bellissima gemma. Molti uomini e donne si misero alla ricerca di questa pietra preziosa, ma per molto tempo nessuno riuscì mai a trovarla.

Era stato un pomeriggio disastroso! La pioggia era venuta giù a catinelle da un cielo coperto da nuvole scure e tirava un vento forte e freddo. La strada era ridotta in pessime condizioni, tutta fangosa, con solchi profondi e grosse buche che impedivano il cammino alle ruote del carretto di Felice.

    Felice era un giovane e povero contadino ma, come faceva capire il suo nome, era sempre di buon umore e non si perdeva mai d’animo di fronte alle difficoltà. Il tempo di quel giorno, però, stava mettendo a dura prova anche il suo carattere. Cercò ostinatamente di proseguire verso casa, anche se gli dispiaceva per la fatica che il suo povero mulo, chiamato Spino per il suo pelo ispido, era costretto a fare. Allora scese dal carretto e si mise a camminare di fianco al mulo:

–        Dobbiamo farci forza, amico mio, se vogliamo arrivare a casa! –  disse Felice ma proprio in quel momento una ruota del carro si ruppe.

    Felice osservò il danno: con i pochi attrezzi che aveva, ci sarebbero volute delle ore per la riparazione e stava calando la notte. Non potevano restare allo scoperto perché a quel tempo la luna era nascosta nel buio e le stelle non esistevano. La notte, quindi, era veramente oscura e paurosa.

     Felice si guardò intorno e in lontananza vide un piccolo gruppo di case. La luce che filtrava dalle imposte faceva presagire la possibilità di trovare un riparo caldo e accogliente, per lui e Spino. Allora, entrambi si prodigarono per tirare il carretto al lato della strada e nasconderlo dietro un grosso cespuglio. Poi Felice liberò Spino dal giogo e insieme s’incamminarono verso le case.

    Uscirono dalla strada principale e cominciarono a salire lungo un viottolo. Girarono a sinistra, poi girarono a destra, dopo percorsero un semicerchio e alla fine si trovarono a girare in tondo. Tutte le abitazioni sembravano sparite e loro finivano per trovarsi sempre di fronte alla stessa casa: un  rudere abbandonato, buio e freddo. Che non vi abitasse nessuno era ovvio: il comignolo non fumava, dalle finestre non filtrava nessuna luce, la staccionata era quasi tutta rotta e la soglia della porta era invasa da rampicanti ed erbacce. Allora, Felice s’azzardò ad aprire la porta che cedette subito sotto la spinta della sua mano ed entrò in una piccola stanza dove c’era un tavolo, una credenza e un bel caminetto. Felice ne approfittò per accendere un bel fuoco, poi gettò il proprio mantello a terra e si sdraiò stretto stretto a Spino davanti al caminetto. I due si asciugarono e si scaldarono ben contenti di poter riposare in quel giaciglio di fortuna e subito caddero in un sonno profondo.

    Quando Felice si svegliò, la mattina dopo, un sole sfolgorante entrava nella stanza. Si alzò dal suo giaciglio e andò alla finestra: con sua grande sorpresa vide che la strada che aveva percorso la sera prima non c’era più e al posto della staccionata c’era una distesa d’erba scintillante di rugiada. Corse subito fuori e fece il giro della casa ma trovò solo prati, alberi e cespugli incolti. Nel cercare di capirci qualcosa, si mise ad esplorare quei campi e i suoi passi lo condussero verso l’argine di un torrente. Si arrestò su una striscia di fango e sassolini per guardarsi intorno: non c’era traccia d’anima viva, mai in vita sua si era ritrovato così solo.

   Quando rientrò nella casa, Spino si era svegliato anche se continuava a starsene pigramente sdraiato davanti al fuoco.

–        Che strano posto per una casa! – esclamò Felice parlando tra sé e sé –  Ed il paesaggio mi sembra così diverso da ieri sera.

–        E’ diverso veramente. – affermò una voce.

–        Chi ha parlato? – domandò Felice trasalendo dalla sorpresa.

–        Io, Spino. Ti sembra che ci sia qualcun’altro in questa stanza?

–        E tu, da quando parli? – chiese Felice sempre più incredulo.

–        Da stanotte, quando tutte le cose sono cambiate per magia.

    Felice, a quel punto più spaventato che mai, fuggì a gambe levate dalla casa e pensando di non essersi ancora ripreso dal torpore del sonno fece un tuffo nell’acqua gelida del torrente. L’effetto del freddo avrebbe svegliato e riportato alla ragione chiunque.

    Dopo il bagno, si sdraiò al sole sulla spiaggia calda e, tenendo gli occhi chiusi, ripeteva a se stesso che si era trattato solo di un sogno. Brutto quanto si voleva ma pur sempre un sogno. Solo che, quando decise di riaprire gli occhi, vide il lungo muso di Spino chino su di lui.

–        La vuoi smettere di fare lo sciocco? – gli domandò il mulo –  Che differenza fa, per te, se parlo o se raglio?

–        Nessuna. – rispose confuso Felice perché lui aveva sempre parlato con Spino ma non era abituato a sentirsi rispondere.

–        Almeno potremmo fare un po’ di conversazione e tenerci compagnia. – aggiunse Spino.

–        Sì, certo. – confermò Felice pensando che in effetti, poter parlare con il suo mulo, non gli dispiaceva affatto.

–        Allora alzati che dobbiamo cercare un modo per tornare indietro.

    Cominciarono a camminare tra i ciottoli della spiaggia seguendo il percorso del torrente. Ma le sorprese non erano finite: in una piccola radura s’imbatterono in una statua tutta di marmo bianco che raffigurava la più bella fanciulla che Felice avesse mai visto. Tra le candide mani, scolpite con grande abilità, brillava una gemma perfetta ma il volto della ragazza non era felice e due grosse lacrime scendevano dai suoi occhi. Felice sarebbe rimasto ad ammirarla a bocca aperta ma, sollecitato da Spino, continuò a cercare il posto dove avevano nascosto il carretto. Camminarono tutta la mattina senza ottenere risultati e alla fine stanchi tornarono alla casa abbandonata per poter riposare.

    Quasi non credettero ai loro occhi! Quando entrando trovarono il fuoco che scoppiettava allegramente nel camino e la tavola completamente apparecchiata. La tovaglia e i tovaglioli erano fatti con una tela di ragno molto spessa, morbida e riccamente elaborata. Al centro c’era una zucca svuotata che conteneva acqua come una brocca e due zucche più piccole facevano da bicchieri. Al posto dei piatti c’erano delle grandi foglie e sopra vi stava un bel mucchio di frittelle fumanti con salsa di mirtilli e fragoline di bosco.

–        Mi domando chi possa essere stato. – disse Felice.

–        Non ne ho la più pallida idea, ma questo profumo mi piace. – rispose Spino.

–        E se fosse una trappola?

–        Allora sarò ben contento di caderci dentro. – affermò Spino gettandosi sulle frittelle. –  Posso mangiare anche le tue?

     Felice scosse la testa davanti a quel mulo testardo e si mise a sedere davanti al fuoco in silenzio. Nei suoi pensieri non c’era la fame, non c’erano la strada e il carretto, ma l’immagine della statua della fanciulla.

     Nel pomeriggio tornarono alle loro ricerche ma ogni tentativo di trovare la strada e il carretto fu vano. Ad un certo punto il cielo si fece nuvoloso, prese a cadere una pioggia fitta e tuoni sempre più minacciosi si udivano brontolare nel cielo.

–        Sta arrivando una tempesta! – disse Spino – E poi si è fatto tardi.

–        E tu speri di trovare un’altra tavola imbandita per ingozzarti di frittelle. – lo rimproverò Felice.

–        Infatti! Quindi, con o senza di te, io rientro in quella casa.

     Trovarono ancora frittelle profumate e fumanti. Questa volta anche Felice ne assaggiò qualcuna ma, come era successo il giorno, pensava a quella povera statua e stava male al solo pensiero che sarebbe rimasta fuori durante la notte e con un tempaccio del genere. All’improvviso decise di uscire per portarla in casa e informò Spino delle sue intenzioni. A Spino, fra un po’, andò di traverso una frittella:

–        Fuori di notte! Non se ne parla proprio.

–        Non credo che riuscirò a prendere sonno fino a che non avrò fatto questa cosa e posso farcela anche da solo! – disse risoluto Felice avvicinandosi alla porta.

     Spino tirò un sospiro di rassegnazione: uscire di notte era l’ultima delle sue intenzioni ma di fronte all’ostinazione di Felice, decise di accompagnarlo. Per fortuna erano i muli ad essere testardi!

     La pioggia cadeva ancora sottile e regnava l’oscurità più completa. Spino non riusciva a far smettere i suoi denti di battere dalla paura, ma non si lamentò. Grazie alla luce di una lampada attraversarono il prato e, trovata la spiaggia di sassolini, seguirono il corso del torrente fino alla radura.

     Con una corda Felice legò la statua al dorso del mulo e insieme la trascinarono verso la casa. Fu una bella fatica: quando rientrarono la lampada era quasi esaurita, il lucignolo stava buttando fumo e loro due erano completamente fradici. Felice trascinò la statua vicino al fuoco perché si asciugasse. Poi, come la sera prima stese il mantello a terra e fece sdraiare Spino accanto a lui.

     La mattina dopo, Felice si svegliò nuovamente con il sole che filtrava dalle imposte. Si stropicciò gli occhi e vide un topo. Non c’erano dubbi era proprio un grosso topo che durante la notte si era messo a dormire tra lui e Spino. Subito balzò in piedi gridando e prese una vecchia scopa per cacciarlo.

–        Ehi! Ti sembra questo il modo di trattare il padrone di casa? – domandò offeso il topo –  Vi ho ospitato e sfamato. E voi? In cambio volete portare via mia figlia. Bel ringraziamento!

–        Quale figlia? Io non capisco! – domandò Felice.

–        La statua. – indicò il topo.

–        La statua! – esclamarono Spino e Felice.

–        Sedetevi con calma. – li invitò, allora, il topo –  Sarà bene che vi spieghi tutto e dall’inizio. Tanto tempo fa qui c’era un castello di cui io ero il re e dove vivevo contento con mia moglie e mia figlia. Mia figlia si chiamava Alba perché era tanto bella quanto lo è la luce che spunta dopo la notte. Io e mia moglie avevamo cercato di darle una buona educazione ma, non avendo mai avuto il coraggio di negarle niente, l’avevamo viziata: Alba non riusciva a comprendere quanto potessero essere importanti i desideri degli altri ed era insensibile all’infelicità altrui. Un mattino, dalla finestra della sua camera vide in giardino luccicare qualcosa fra l’erba: era la famosa lacrima della luna. Una gemma che tutti fino a quel momento avevano cercato senza trovare. Alba corse subito in giardino a prenderla, ma ahimè, capitò così la sua sventura.

–        Quale sventura poté mai capitarle? – domandò Felice.

–        Essendo di primo mattino il sole non aveva ancora asciugato il pianto della luna che si stendeva su tutto il prato come un’abbondante rugiada. Alba, per arrivare a prendere la gemma, si bagnò tutto il vestito e le scarpette di seta. Indispettita, offese la luna per quelle lacrime. Non pensò alla sofferenza della luna prigioniera di un cielo notturno e neanche al fatto che la gemma che teneva tra le sue mani era il frutto di quel dolore. La luna la maledì trasformandola in una statua piangente che sarebbe rimasta all’aperto ogni notte per condividere così lo stesso suo triste destino. Subito dopo il castello fu tramutato in questa vecchia casa, tutti gli uomini del reame furono trasformati in topi e le donne in ragni.

    Proprio mentre Felice ascoltava questa storia, un ragno si staccò dalla propria ragnatela sul soffitto e si calò fin davanti ai suoi occhi:

–        Tu puoi sciogliere questo incantesimo. – lo supplicò con una vocina gentile –  Se farai qualcosa per rendere felice la luna, anche mia figlia sarà libera.

–        Ma io non ho idea di cosa fare. – si lamentò Felice.

–        Prendi la gemma dalle mani di mia figlia e appoggiala sulla fronte di Spino, il resto si compirà da sé.

     Felice fece come gli aveva detto la regina ragno e la gemma rimase incastonata sulla fronte di Spino. In men che non si dica, il mulo si trasformò in un bellissimo cavallo bianco e spiegò, ai lati del corpo, due grandi ali che gli avrebbero permesso di volare alto nel cielo. Allora Felice ebbe un’idea: salì in groppa a Spino e si fece accompagnare dal sole. Lassù c’era tanta luce e, sicuramente, il sole  avrebbe accettato di regalarne un poco alla luna.

     Il sole, infatti, fu ben contento di aiutare Felice e legò uno dei suoi raggi alle ali di Spino, affinché volando incontro alla notte, potessero portarlo alla luna. Nel buio, però, era difficile trovare la luna ma Felice e Spino non si diedero per vinti. Fortuna volle che vi andassero a sbattere contro:

–        Ohi! Ohi! – si lamentò il mulo –  Mi sa che l’abbiamo trovata.

–        Credo proprio di si! – rispose Felice –  Presto libera il raggio.

     Magiche scintille si levarono nell’aria e rivestirono il terreno sotto i loro piedi di luce d’argento. Nel cielo comparve il disco luminoso della luna e grazie al suo chiarore Spino e Felice non ebbero problemi a ritrovare la casa.

     Quando rientrarono trovarono che la statua si era trasformata in una bellissima fanciulla ma tutto il resto era rimasto immutato. La fanciulla piangeva in preda alla tristezza per aver condannato i suoi genitori e l’intero castello a quella vita. Spino commosso le si avvicinò e le disse che doveva avere pazienza: forse non tutte le cose cambiavano con la stessa velocità, forse alcune avrebbero richiesto tutta la notte. Tutti e tre, allora, si sedettero sotto il disco della luna ad aspettare e a sognare come sarebbe mutato l’aspetto di quel luogo.

     La luce del giorno, però, mise fine alle loro fantasie. Non solo non era cambiato niente durante quella notte ma anche nei giorni successivi non successe altro. Inoltre, dopo le prime notti, la luna cominciò a diventare sempre più piccola finché non si ridusse ad uno spicchio luminoso nel cielo notturno. Alla fine scomparve del tutto e la notte tornò terribilmente buia come lo era sempre stata.

–        La luna è sparita! – sospirò Felice.

–        Io credo di sapere il perché! – affermò Alba. –  La luna non brillava di luce propria ma rifletteva il raggio del sole. Quando il raggio si è esaurito, è tornata scura come prima. Non brillerà di nuovo se il sole non le donerà un raggio tutte le volte che lei lo avrà consumato.

–        Ecco, perché l’incantesimo non è stata annullato del tutto. – disse Spino.

–        Non solo! – riprese Alba – In questi giorni la luna non è mai stata veramente felice: solo una delle sue facce era illuminata e l’altra vagava ancora nel buio del cielo notturno.

–        E’ vero! – ammise Felice – Cosa possiamo fare?

–        Tocca a me fare qualcosa! – affermò Alba –  Puoi prestarmi Spino? Devo raggiungere il sole.

     La mattina presto Alba partì a cavallo di Spino e Felice li osservò finché non scomparvero nella grande palla infuocata del sole. Un attimo dopo vide le gocce di rugiada alzarsi luminose dall’erba e volare verso l’alto, così tanto da sparire completamente al suo sguardo. Poi, per il resto della giornata non accadde più niente.

     Scese la notte e Alba ancora non era tornata ma una luce argentea illuminava tutto il giardino. Felice uscì di casa e vide il disco luminoso della luna che, però, non era più sola: intorno a lei brillavano le gocce di rugiada che il sole aveva trasportato verso il cielo la mattina stessa e che erano diventate bellissime stelle. Anche la faccia scura della luna adesso aveva i suoi piccoli soli e sorrideva felice.

     D’improvviso il topo si trasformò in un re, il ragno nella regina e la vecchia casa divenne uno stupendo castello colmo di gente che sorrideva, cantava e festeggiava la fine dell’incantesimo. Poco dopo nel cielo apparve Spino con Alba che poté finalmente riabbracciare i suoi genitori. Non passò molto tempo ancora che nuovi festeggiamenti si tennero al castello per il matrimonio di Felice e di Alba. Spino spiegando le sue bianche ali li portò in viaggio di nozze e tutti vissero per sempre felici e contenti.

     Da quella notte la luna riceve sempre un raggio di sole e continua a piangere, ma lacrime di gioia. Il sole del mattino ancora raccoglie quelle lacrime e le trasforma in nuove stelle. Nessuno cerca più la pietra della luna e nessuno sa se sia veramente esistita. Ogni tanto, però, qualcuno dice di aver visto nel cielo un bellissimo cavallo bianco volare dal sole alla luna portando un raggio di luce.

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