Premio Racconti nella Rete 2024 “Tutto ciò che brilla” di Sara Romanato
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024Il giorno che si accorsero che del Signor Fontebasso non era rimasto più nulla, era stata la Signora Martini del primo piano a dare l’allarme a causa della forte puzza che proveniva dall’androne del palazzo.
Il condominio dove viveva la Signora Martini era un imponente palazzo in stile liberty nel centro di Roma. Lei diceva che somigliasse in tutto e per tutto all’antico Select Hotel di via del Tritone anche se, in realtà, le differenze erano molteplici. Tuttavia, che fosse un palazzo in stile liberty era vero.
Il Signor Fontebasso era andato ad abitare nel palazzo della Signora Martini qualche settimana prima e lei lo aveva notato fin dal giorno in cui era iniziato il trasloco verso l’appartamento, interno quattordici, al terzo piano. La Signora Martini, vedova e casalinga da tutta una vita, lo aveva incontrato per caso sulle scale mentre portava un pesante scatolone. Gli aveva anche chiesto cosa contenesse di interessante e da lì era iniziata la loro relazione di vicinato. Lui aveva risposto che era un appassionato lettore di gialli e che ne possedeva tantissimi così, nel trasloco, doveva portare su per le scale tutti gli scatoloni contenenti i suoi libri.
La Signora Martini, tuttavia, non ebbe mai il piacere di intravederne uno e lo avrebbe detto come prima cosa agli inquirenti il giorno dell’arrivo della polizia nell’appartamento interno quattordici.
Dopo essersi conosciuti, la Signora Martini aveva raccontato del nuovo vicino di casa al figlio Paolo che, come ogni giorno nella pausa pranzo, andava a mangiare a casa della madre che gli preparava sempre un pasto caldo. Paolo Martini era un banchiere e lavorava nel centro della capitale. Era scapolo e viveva in una casa di campagna appena fuori le porte di Roma, a Tivoli. Tuttavia, era più il tempo che trascorreva al lavoro o a casa della madre di quello che passava in campagna.
«Sai, Paolo, abbiamo un nuovo vicino: il Signor Fontebasso»
«Ah sì, mamma?»
«Sì, mi ha detto che legge molto ed è appassionato di gialli. Chissà quanti libri avrà. Ne ho parlato anche con Iva. Sai Iva? Ci siamo trovate sul balcone.»
Paolo annuiva mentre ingurgitava i suoi bucatini all’amatriciana. Fatti col guanciale, eh, diceva sempre la Signora Martini.
«Insomma, Iva dice che dovrebbe lavorare in un ufficio qui in centro perché lo vede uscire tutte le mattine poco prima delle otto» disse la Signora Martini.
«E poi, avete scoperto altro?» chiese Paolo fissando il vuoto oltre le ampie finestre sul cielo azzurro nell’autunno romano.
«Scoperto! Cosa dici! Non siamo mica due investigatori, io e Iva!» rispose la madre coprendosi la bocca imbarazzata.
L’appartamento dei Signori Martini era lussuoso e ricco di pezzi d’arte e di antiquariato. Il defunto padre di Paolo era un orafo molto apprezzato anche se, a lui, non erano mai interessati la fama e il successo. Si divertiva lavorando l’oro come fosse un qualsiasi altro materiale.
Erano passate poche settimane dall’arrivo del Signor Fontebasso nel palazzo liberty che Iva si accorse di aver perso il suo bracciale d’oro. Quella mattina era uscita a prendere il caffè con la Signora Martini e, di ritorno, avevano incrociato l’inquilino dell’interno quattordici nell’androne buio, mentre erano fisse col volto a terra alla ricerca del bracciale.
«Perso qualcosa?» chiese Fontebasso alle due sagome piegate con le mani che tastavano il pavimento.
«Oh! Buongiorno, Signor Fontebasso», esordì la Signora Martini, «forse lei ha occhi più buoni dei nostri. Vede, Iva ha perso il suo bracciale d’oro.»
«Fatemi dare un’occhiata!» rispose lui inforcando gli occhiali dalla spessa montatura nera.
Il pavimento dell’ingresso del palazzo in stile libery era di un grigio molto scuro e la superficie irregolare rendeva difficile scorgere gli oggetti smarriti.
«Com’era questo bracciale?» chiese il Signor Fontebasso.
«Ah, molto sottile. Davvero molto sottile. Sa, non è che in famiglia si navighi nell’oro» rispose Iva.
Lui abbassò di colpo lo sguardo a terra e si mise a cercare senza risultato. Poi allargò le braccia e scosse il capo.
«Ora devo proprio lasciarvi, signore. Farò tardi al lavoro» disse.
«Non dimentichi la borsa» aggiunse rivolto alla Signora Martini, congedandosi in fretta.
«È stato gentile ad averci provato» raccontò, poi, la Signora Martini a Paolo in pausa pranzo.
«Iva potrebbe anche averlo perso per strada» aggiunse.
Paolo annuì col capo.
Il giorno seguente, la Signora Martini, rientrando nel palazzo, vide un luccichio provenire da sopra la linea delle cassette della posta. La cassetta di Iva era due cassette più in là della sua e, giusto al di sopra, un qualcosa brillava pur essendoci poca luce nell’ingresso. La Signora Martini si avvicinò e, come prima cosa, aprì la sua cassetta della posta che era vuota e, dopo averla richiusa a chiave, spostò lo sguardo verso quella di Iva. Dalla serratura spuntava l’angolo di un pezzo di carta e, appoggiato sopra, c’era il sottile braccialetto d’oro.
La Signora Martini lo prese e lo portò di corsa su per le scale in direzione della porta dell’appartamento di Iva. Suonò più volte il campanello ma nessuno venne ad aprire. Pensò così di tenere lei il bracciale e di riprovare a contattare Iva nel pomeriggio.
Entrò in casa e appoggiò il bracciale su un piattino di ceramica decorato d’oro che teneva all’ingresso sopra un piccolo mobiletto, stretto e alto, di legno scuro. Poi andò in cucina a preparare il pranzo per Paolo che sarebbe arrivato alla solita ora.
Quando sentì il campanello suonare a mezzogiorno, prima di andare ad aprire, si affacciò sul balconcino che confinava con quello di Iva per vedere se fosse rientrata. Si affacciò di lato guardando verso l’interno dell’appartamento dell’amica ma, sebbene fosse aperto, non vi era nessun movimento. Poi si avviò svelta ad aprire il portone a Paolo.
«Signor Fontebasso! È lei! Pensavo fosse arrivato mio figlio Paolo» disse aprendo la porta dell’appartamento.
«Mi scusi Signora Martini. Non volevo spaventarla. Volevo solo sapere se Iva è tornata in possesso del suo braccialetto.»
«Guardi, l’ho trovato io sopra le cassette della posta e l’ho portato…»
La Signora Martini si interruppe bruscamente quando vide che, sul piattino di ceramica decorato all’ingresso, del braccialetto della sua amica Iva non vi era più traccia.
«Oh! Dio del cielo! Era lì un momento fa» esclamò portandosi le mani alla bocca.
«E non è entrato nessuno eccetto lei in casa mia questa mattina» aggiunse.
«Non vorrà mica dire» iniziò il Signor Fontebasso.
Ma lo sguardo della Signora Martini da solo bastò a far capire cosa stesse pensando.
«Io non ho preso nulla!» disse il Signor Fontebasso alzando le mani.
«Certo! Certo!» disse lei.
«Un oggetto prezioso fa gola a tutti! Anche quando può costare un grosso dispiacere per altri!»
Il Signor Fontebasso aprì le mani di fronte alla Signora Martini a testimonianza della sua innocenza ma lei stava già richiudendo la porta del suo appartamento con gli occhi socchiusi e il mento sollevato verso l’alto.
«Paolo, caro. Quel vicino è un ladro! Sono sicura che abbia lui il bracciale di Iva!» disse poco dopo al figlio giunto per il solito pranzo.
«Mamma, non puoi esserne certa!» replicò lui.
«Eccome se posso!» aveva detto lei indicandosi con la mano al petto.
«Buon Dio! Non è entrato nessuno qui dentro e io l’avevo lasciato lì all’ingresso»
«Ne sei proprio sicura?»
«Non mi prenderai mica per matta? Ho qualche anno in più di te ma il mio cervello funziona ancora bene!» esclamò la Signora Martini con disappunto.
Paolo non disse più nulla.
«E cosa facciamo adesso?»
«Cosa facciamo? Cosa farai, vuoi dire!» rispose Paolo.
«Ecco, bravo! Mai dare una mano a tua madre!»
«Non ho detto questo, mamma! Parlane con Iva, vedrai che capirà!» disse Paolo.
La Signora Martini si zittì e oscillò appena il capo. L’idea di attendere Iva non era così sbagliata.
Quella sera il campanello suonò che erano da poco passate le sette. La Signora Martini si alzò dalla poltrona Frau sulla quale amava trascorrere i pomeriggi guardando i programmi di varietà in tivù e andò ad aprire. Prima di prendere il corridoio che l’avrebbe condotta all’ingresso fece una tappa sul balcone per vedere se Iva fosse in casa. Affacciandosi vide che era tutto spento tranne una flebile lucina che proveniva, forse, dalla cucina o dal bagno. Sempre più confusa andò ad aprire.
«Iva! Santo cielo! Mi hai fatto spaventare!» esclamò vedendo l’amica e tirandola dentro casa per il braccio.
«Cosa ti prende?» chiese lei.
«Nulla! È che non ti ho vista tutto il giorno e poi…»
«Ho trovato questo nella cassetta delle lettere. Dice che il mio braccialetto è qui da te. L’hai scritto tu?» disse mostrando il biglietto.
«Qui da me?»
La Signora Martini sbiancò.
«Sì, in effetti era qui ma poi… Non ho scritto nulla, io.»
Non riusciva ad articolare la frase. Come faceva l’autore del biglietto a sapere che lei lo avrebbe trovato per prima e portato in casa?
«Non ti giustificare. Se ti piaceva così tanto, potevi chiedermelo! Te lo avrei prestato!» disse Iva.
«Ma no! Cos’hai capito! Io non volevo il tuo bracciale, Iva! L’ho portato in casa per non lasciarlo lì, sulle cassette della posta, sotto gli occhi di tutti» disse la Signora Martini.
«E dov’è adesso?» chiese Iva.
«Non lo so» disse la Signora Martini sospirando.
«L’unica persona che ho incontrato dopo averlo preso è quel tipo dell’interno quattordici. Mi ha suonato il campanello non so nemmeno per quale motivo e il braccialetto è sparito. Secondo me c’entra qualcosa.»
«Certo che, con tutto l’oro che ti ha lasciato tuo marito, proprio il mio misero braccialetto dovevi prenderti?» chiese Iva sollevando le spalle come onde di un mare agitato.
«No. No!» disse la Signora Martini.
«Io me ne torno a casa» disse Iva reggendo ancora in mano il biglietto trovato nella buca della posta.
La Signora Martini chiuse la porta e si infuriò talmente tanto che dopo pochi minuti era al terzo piano attaccata al campanello dell’interno numero quattordici.
Suonò e risuonò senza avere risposta ma si accorse che, rispetto al pianerottolo del primo piano dove abitavano lei e Iva, in quello aleggiava un forte fetore di marcio.
Col naso irritato dalla puzza, la Signora Martini scese le scale che la riportarono al suo appartamento e si decise a risolvere la questione, una volta per tutte, l’indomani.
Trascorse la notte tra incubi e risvegli notturni. Il pensiero di Iva e di quello che, di certo, stava pensando di lei la tormentava.
La mattina seguente, come prima cosa, salì le scale diretta all’appartamento del Signor Fontebasso e provò di nuovo a suonare il campanello. Nessuno aprì e il puzzo di marcio era triplicato.
Tappandosi il naso, la Signora Martini aveva suonato il campanello di Iva ma, nemmeno lei era in casa.
Se ne tornò nel suo sfavillante appartamento e, dopo poco, suonò il campanello Nevia, la signora che si occupava delle faccende domestiche.
«Ok, Nevia. Stammi bene a sentire. Se trovi un braccialetto d’oro molto sottile, non pensare nemmeno di ficcartelo in tasca. Portamelo subito e ti ricompenserò con un altro braccialetto dei miei. Intesi?» intimò alla domestica.
Nevia annuì e aggrottò le sopracciglia non appena la Signora Martini si fu allontanata.
Verso mezzogiorno la Signora Martini si affacciò al balconcino per vedere se Iva fosse in casa e la intravide camminare lungo il corridoio che tagliava a metà l’appartamento. Si affrettò a uscire di casa per suonare il campanello di Iva ma nessuno aprì. Eppure, le pareva di averla vista.
«Ora basta! Chiamo la polizia!» disse a Paolo non appena si fosse levato la giacca.
«Mamma, ancora con questa storia! Iva ti perdonerà!» rispose lui alzando gli occhi al cielo.
«E la puzza che c’è al terzo piano?»
«Si saranno dimenticati di gettare l’immondizia» disse Paolo.
«No. C’è qualcosa di strano! Quel Fontebasso…ce l’ha lui il bracciale di Iva!» disse la Signora Martini precipitandosi al telefono per chiamare la polizia.
Quando arrivò la polizia la Signora Martini attendeva sul pianerottolo del primo piano. Indossava un pantalone bianco dal taglio sartoriale e un maglioncino di cachemire sottilissimo e vaporoso. Al collo, alle orecchie e ai polsi luccicavano gioielli d’oro imponenti e massicci.
«Di sopra!» disse indicando i piani superiori quando i due poliziotti, uno più giovane e l’altro più attempato, passarono dinnanzi a lei.
Non appena salirono la prima rampa di scale del palazzo liberty, la Signora Martini li seguì rimanendo indietro solo di pochi gradini.
Raggiunsero il pianerottolo del terzo piano e gli agenti iniziarono a suonare il campanello dell’interno numero quattordici e, in seguito, a bussare alla porta.
«Lo sapevo che c’era qualcosa di strano», disse la Signora Martini da dietro, «se Iva fosse qui lo vedrebbe che non sono stata io a prendere il suo braccialetto!»
«Braccialetto?» chiese uno degli agenti incuriosito.
«Sì, vede. La mia amica Iva dell’interno quattro, al primo piano come me, ha perso un braccialetto. Crediamo entrambe sia stato il signore che vive qui dentro ad averlo preso!» disse impettita.
«Questo odore è nauseabondo!» esclamò il poliziotto più giovane. «Sarà meglio forzare la serratura!»
Il poliziotto più anziano prese un arnese dalla cintura che reggeva anche la sua pistola e iniziò a forzare il portone dell’interno quattordici. Essendo un palazzo molto antico e a cui erano stati fatti pochi restauri, sia all’interno che all’esterno, il portone dell’appartamento del Signor Fontebasso non ci mise molto a cedere.
La scena che si presentò davanti agli occhi della Signora Martini fu a dir poco agghiacciante. L’appartamento era completamente vuoto sebbene, poche settimane prima, avesse visto il Signor Fontebasso andare su e giù per le scale con gli scatoloni e l’odore forte e acre che proveniva dall’interno sembrava talmente denso da schiaffeggiare i volti dei tre malcapitati.
«Signora, stia qui. Entriamo noi!» disse il poliziotto più esperto.
I due si addentrarono lungo il corridoio disabitato e scomparvero nell’ultima stanza in fondo a destra.
«Dove sono finiti tutti quei libri gialli» sussurrò la Signora Martini.
Poco dopo i poliziotti riemersero con un biglietto.
«Signora Martini, il biglietto recita di guardare in casa sua per trovare il bracciale della Signora Iva» disse il poliziotto più giovane.
«Ma come in casa mia!» esclamò lei aggrottando le sopracciglia.
«Da dove viene questo fetore? Ci sarà un morto lì dentro!» affermò allibita, indicando agli agenti l’interno dell’appartamento.
«Nessun cadavere, Signora. Qualcuno deve essersi dimenticato un bel po’ di cibo fuori dal frigorifero. Purtroppo!» ammise il poliziotto più esperto.
«Sentite, qui dentro ci abitava il Signor Fontebasso. L’ho visto traslocare e portare su decine di scatoloni contenenti libri gialli»
«Signora, come vede non ci sono libri qui dentro e il Signor Fontebasso, come dice lei, se se n’è andato ha solo dimenticato di portarsi via la spesa!»
«Ora, vuole farci strada verso il suo appartamento?» chiese il più giovane.
La Signora Martini non rispose e iniziò a scendere le scale battendo i tacchi sottili delle sue décolleté sulla scala di marmo. Aprì la porta e, dentro casa, vide Iva e Paolo che sembravano attendere qualcuno nell’ingresso. Il volto di Iva era sconvolto mentre Paolo era animato da una quieta compostezza.
«Mamma, ecco il braccialetto di Iva. Era in camera tua» disse.
Gli agenti rimasero fuori dalla porta a osservare la scena sull’attenti.
«Ma, come ha fatto…» iniziò a dire la Signora Martini.
«Clotilde, non serve che tu aggiunga nulla» disse Iva guardando il volto della vicina di casa.
«Paolo mi ha detto tutto.»
«Cosa?» chiese la Signora Martini con occhi sbarrati.
«Non ti preoccupare, Clotilde. Io sarò sempre tua amica e questa cosa che hai fatto non peserà mai sul nostro rapporto» disse Iva.
«Cosa state dicendo? Paolo, vuoi spiegarmi?»
Paolo fece un passo in avanti verso la madre cingendole le spalle.
«Vedrai che starai meglio. Il Dottor Felicetti sarà qui tra poco e ti curerà.»
«Mi curerà? Ma voi siete pazzi!» urlò la Signora Martini.
Gli agenti, vedendo che non c’era più alcuna emergenza in corso, si congedarono.
Iva e Paolo prepararono una tazza di tè alla Signora Martini mentre aspettavano il medico.
Clotilde non aveva più il coraggio di parlare. Era seduta sulla poltrona Frau e fissava il tavolino basso davanti a lei. D’un tratto si accorse di una chiave impigliata nel centrino di pizzo. Non poteva essere sua perché lei le teneva sempre in un unico mazzo sul mobile stretto e alto all’ingresso. Allungò la mano e la prese per comprendere di che chiave si trattasse. In quel momento suonò il campanello e il Dottor Felicetti fece il suo ingresso in soggiorno iniziando a conversare con Paolo e Iva di pazienti affetti da perdita della memoria.
Clotilde fece finta di niente e si mise in tasca la chiave.
Ascoltò il medico che le diceva di non preoccuparsi e che le avrebbe prescritto la cura adatta a ridurre il più possibile il presentarsi della malattia. Iva e Paolo le dicevano all’unisono che i suoi comportamenti non sarebbero stati giudicati e che non doveva prenderla a cuore.
«Te la senti di rimanere da sola?» chiese Paolo non appena gli altri furono usciti dall’appartamento della Signora Martini.
Lei fece cenno di sì e lo abbracciò.
«Ti aspetto domani con i bucatini all’amatriciana. Va bene, Paolino?» gli disse e lo chiamò come quando era bambino.
Lui sorrise e si diresse verso le scale del palazzo.
Clotilde chiuse la porta, prese la chiave dalla tasca e la inserì nella toppa, la ruotò e fece scattare la serratura. Poi si voltò. Il suo mazzo era al solito posto.
Qualche ora più tardi, in piena notte, Clotilde salì le scale del palazzo fino al pianerottolo del terzo piano. La porta d’ingresso dell’appartamento all’interno quattordici era socchiusa. Clotilde spinse leggermente la maniglia e le cerniere si mossero in un lamento.
Dentro tirava un leggero venticello. Le finestre dovevano essere state lasciate aperte dopo la rimozione del cibo avariato.
Clotilde fece altri passi che la portarono in quella che doveva essere stata la cucina del Signor Fontebasso. Dei mobili era rimasto solo lo stampo sui muri tranne una piccola credenza a due ante. La aprì con un nodo in gola che le faceva sempre più male. Appiccicata alla base di legno del ripiano giaceva una fotografia. Clotilde si spostò verso la finestra aperta affinché i raggi lunari illuminassero l’immagine.
«Paolino!» disse Clotilde in un soffio.
A fianco a lui, il Signor Fontebasso. Erano in un luogo brullo e soleggiato che le ricordava l’entroterra sardo. Dietro la foto una scritta leggera e impercettibile recitava: -Tutto ciò che brilla!-
L’argentea luce notturna non riuscì a nascondere a Clotilde la calligrafia dei biglietti.
Ben raccontato e costruito. Delicato anche nel raccontare una situazione difficile come la demenza senile. Complimenti.
Mi piacerebbe leggere il seguito.
Complimenti! Difficile narrare bene la demenza. Io ci ho provato in un racconto, ma poi ho cambiato rotta, parlando di memoria invece che di smemoratezza…