Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “La vecchia ferrovia” di Sara Romanato

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Era uscita a correre come tentava di fare almeno tre volte a settimana. Gliel’aveva detto il dottore. Per avere un bel fisico, alla sua età, doveva mangiare come un uccellino e sfigurarsi il bel visetto in smorfie di sfinimento correndo senza meta. Aveva raggiunto i quaranta e, oltre a non avere né un marito né figli di cui vantarsi, per il suo costante senso di inadeguatezza, era rimasta a marcire in una squallida società di provincia della quale, ormai, conosceva tutti i segreti essendo impiegata all’anagrafe.

Era presto e l’aria pungente. A ogni sordo rimbalzo delle scarpe sull’asfalto, i primi soliti pensieri si affacciavano nella sua mente. Come il latrare dei cani lungo il percorso la faceva sussultare di paura, questi digrignavano i denti. Il mondo era perfetto, dicevano i Guru che dimostrava di seguire fin da quando, molto più giovane, fumava le canne in compagnia di qualche misero spasimante. Lei non lo era.

Ansimando aveva raggiunto la casa dei gatti, così la chiamava da quando compieva quel percorso nelle ore più vuote del giorno. La casa sorgeva sul finire di una stradina che si stringeva sempre più per poi morire sulla vecchia ferrovia. Di lì passavano solo tre treni merci al giorno.

Il pensiero di quanti fossero ad attenderla quella mattina accrebbe d’improvviso la fatica sulle membra flaccide accompagnato da alcune prime ruvide sensazioni. La casa era vecchia e la puzza di pipì di gatto si poteva avvertire, come pungente fetore, già a metri di distanza. Charlie si era stancata di correre e preferiva camminare. Questo il dottore non avrebbe potuto scoprirlo e rappresentava un’infelice trasgressione con la quale dimostrava a sé stessa di contare qualcosa.

I passi rimbombavano del silenzio immobile della mattinata biancastra e Charlie quasi inciampò quando scorse un qualcosa di altrettanto immobile al margine della carreggiata. Era proprio nel punto in cui il passaggio veniva inghiottito dalle ombre degli alberi che si allungavano in lunghe falci. Gli sarebbe dovuta passare vicino.

‘Eccone un altro’ si disse tra sé.

Il corpo giaceva allungato sul confine tra asfalto e terra. Il muso congelato in una smorfia di dolore. Espressione che si dipinse all’istante anche sul volto di Charlie. Nell’avvicinarsi aveva rallentato il passo e i suoi movimenti erano diventati sempre più goffi al pensiero di calpestare il corpicino del gatto che giaceva disarticolato al suolo. Una volta superato, vide la colonia felina indifferente.

Charlie, invece, conosceva bene il passaggio tra la vita e la morte. Era uno di quei pensieri che si divertivano a prendersi gioco di lei fino a suggerirle di essere completamente pazza. Le vennero subito in mente i morti sotto al treno sulla vecchia ferrovia.

Charlie iniziò a correre più forte fino alla fine della strada dove due alte siepi bordavano il percorso del treno impedendo di vedere al di là. Da sotto si levava un lezzo di marciume, umidità e stantio. Pezzi di nastro a strisce rosse e bianche si mescolavano al terriccio bagnato. Era lì che ben tre suoi compaesani si diceva avessero messo fine alla loro vita nell’ultima settimana.

Il primo era stato il vecchio Carlo Da Pont, sull’ottantina. Avevano detto che ormai era talmente attaccato alla bottiglia che non avrebbe distinto la strada dalla vecchia ferrovia e il treno merci dal rombo di un aereo e, così, era finito triturato sotto le ruote di ferro. Poco male, pensava Charlie, viveva rinchiuso in casa da quando aveva lasciato tutto e tutti per l’ennesima sua infruttifera passione.

La seconda era stata Meggy, vedova del Maresciallo morto nella guerra che si stava combattendo oltreconfine. A morire venivano mandati prima quelli di altre etnie e la povera Meggy lo sapeva anche se nessuno osava dirlo, tantomeno il prete nel recitare l’omelia funebre. Lei, nordafricana, dicevano non fosse in sé quando aveva oltrepassato la ferrovia di notte.

Charlie aveva ripreso il percorso all’inverso. Il fiato le si mozzava in gola procurandole una sensazione di gelido bruciore. Con due sbuffi d’alito lasciò il segno nell’aria condensata. Forse, se avesse atteso qualche minuto in più al cospetto della siepe dietro cui si nascondeva la ferrovia, sarebbe passato un treno anche per lei.

L’ultimo a incontrare lo stridore dei binari era stato Ricky. Belloccio e muscoloso. Charlie era andata a letto con lui più volte, finché lui non l’aveva derisa per il suo aspetto fisico. Marika, che lavorava nell’ufficio accanto al suo, le aveva detto che la polizia aveva molti dubbi sul suicidio ma che, poi, aveva dovuto chiudere il caso per insufficienza di prove. Mentre ci pensava, Charlie ricordava che Marika, appena smesso di raccontare, si era voltata e aveva ripreso a sbrigare le sue faccende come se nessuno fosse mai esistito.

Charlie sentì un’auto avanzare alle sue spalle. Ormai le macchine non facevano nemmeno più rumore. Poteva accadere di non accorgersi di venire spazzati via in un secondo. Charlie iniziò a incespicare confusamente e a fissare l’asfalto nero per rimanere in equilibrio. La macchina le strisciò a fianco e lo spostamento d’aria la fece voltare. L’auto brillava di un nero profondo. Al suo interno, la figura di un uomo, vestito di nero e dal profilo spigoloso, scivolò davanti ai suoi occhi acquosi.

Non lo aveva mai visto.

Il mattino seguente il cielo, per lui, era dello stesso colore. La gente lo chiamava professore e lui aveva anche imparato a voltarsi quando ciò accadeva. Nella cucina economica il crepitio del fuoco accompagnava le lunghe boccate di fumo che uscivano agli angoli della sua bocca tesa e umida di saliva. Intorno a lui, almeno cinque o sei gatti. Uno di questi gli balzò in braccio e gli spinse la mano con la quale stava affettando una mela verde acido.

Doveva sbrigarsi o avrebbe fatto tardi. Si alzò noncurante e, con il piede teso, allontanò due gatti dal suo passaggio. Questi miagolarono sommessamente andando ad accovacciarsi ai margini della stanza. Poco dopo era fuori, in mezzo all’erba incolta, con un pezzo di stoffa insanguinata in mano.

Nell’edificio a fianco alla biblioteca riecheggiavano i rintocchi della campana della chiesa antistante. I tre stabili creavano un sinistro triangolo di ombre reciproche. Nel cielo si stavano condensando nubi cariche di pioggia e, dietro di loro, rilucevano flash di luce elettromagnetica.

Charlie si era avvicinata al colonnato dell’edificio. Quella mattina doveva sbrigare una pratica che, a suo dire, avrebbe potuto attendere che il tecnico dei computer si facesse vivo per ripristinare i collegamenti saltati. Ma i morti, secondo gli altri, non potevano aspettare neanche da morti e dovevano essere cancellati dai registri comunali.

Si voltò per dare un’ultima occhiata al cielo plumbeo. I suoi occhi vennero attraversati dal bagliore di un lampo e poi si voltarono per entrare nell’oscurità. All’interno sarebbe stata al sicuro.

Appoggiò le chiavi sull’unico tavolo e il rumore fece eco nella stanza semi-vuota. Premette su tutti gli interruttori e un brivido le corse lungo la schiena quando vide che alcuni neon non si accendevano. Quella mattina era uscita a correre ma aveva, in realtà, solo camminato. Era arrivata fino alla casa dei gatti e lì si era imbattuta nel suo abitante umano. Stava camminando a testa bassa nel punto esatto in cui la strada si stringeva, temendo di incappare in altri gatti senza vita. L’odore acre di fumo l’aveva fatta voltare e lì l’aveva visto con degli stracci sporchi di sangue in mano.

Lui, infastidito, aveva emesso un rantolo ed era scomparso oltre il muro. Un attimo dopo era successa la cosa che lei non avrebbe mai voluto vedere. Un suono sordo e un miagolio strozzato avevano raggiunto Charlie che, immobile, accaldata e con un rivolo di sudore che le scivolava gelido lungo il collo, era rimasta a fissare l’angolo della casa.

Erano passate solo un paio d’ore e il pensiero si era già trasformato in ossessione: la vista di quell’uomo, dei cadaveri dei gatti e l’immagine dei corpi finiti sotto al treno si erano impossessate dei suoi occhi, ripresentandosi ogni volta che la penombra prendeva il sopravvento.

Scosse la testa per far uscire quei pensieri mostruosi e si diresse verso lo schedario. Aveva iniziato a cercare i nomi di Ricky, della vedova e del Signor Da Pont quando sentì la porta dell’edificio aprirsi e il rumore della pioggia battente improvvisamente amplificato. Mollò le carte sulla scia dello spavento e, con il battito accelerato, corse a vedere.

L’uomo che, il giorno prima, aveva visto a bordo dell’auto nera era di fronte a lei.

“Questo non è un ufficio aperto al pubblico” si affrettò a dire Charlie.

L’uomo si tolse l’impermeabile nero che grondava pioggia e si sistemò i capelli all’indietro.

“Se non le dispiace…sono a piedi” disse.

“Beh…” disse Charlie incapace di terminare la frase.

Il profumo talcato dell’uomo si diffuse nell’ingresso.

“Si accomodi qui. Lei non può entrare” ribadì.

I tuoni rimbombavano nelle stanze semivuote creando eco che si sormontavano l’una all’altra in una interminabile litania. Charlie prese a cercare di nuovo i documenti dei morti sotto al treno e a pensare all’acqua tempestosa che ne stava cancellando ogni traccia dai binari insanguinati.

“Le avevo detto di non entrare” disse, cercando l’autorità che non aveva mai avuto, quando si accorse che l’uomo si era avvicinato allo schedario. Il suo tono la tradiva con alti e bassi che lasciavano trasparire la cupa eccitazione che si stava accumulando dentro di lei.

“Posso sedermi?” chiese lui indicando una sedia da ufficio.

“Non è di qui, vero?” chiese Charlie sollevando i suoi grandi occhi verdi dal raccoglitore Maggy Farouk.

“No”, rispose, “non sono ancora tra quei nomi”.

“Ah, tra questi non potrebbe proprio esserci visto che le persone in questione sono finite sotto un treno.”

Charlie rise nervosamente mentre ne fissava i lineamenti spigolosi e l’atteggiamento misterioso che lo avvolgeva come un’aura di fascino oscuro.

“È in visita a qualcuno?” chiese.

“No.”

Dei passi nell’ingresso scossero Charlie che si precipitò a vedere.

“Chi è?” chiese ancor prima di uscire dalla stanza e un violento tuono fece vibrare i vetri delle finestre sbarrate.

Il respiro le si strozzò in gola. L’uomo dei gatti attendeva con una valigetta in mano.

“Dov’è il server?” chiese.

Charlie indicò la stanzetta oltre l’archivio incapace di aggiungere altro. Il puzzo di fumo lasciava una scia densa e disgustosa dietro di lui. Le immagini dei gatti senza vita iniziarono a farsi largo nella mente e lei si trattenne dal dare di stomaco.

“Sotto a chi tocca” disse l’uomo in nero che aspettava seduto sulla sedia.

Le dita di Charlie tremarono mentre toglieva dalla scena la signora Meggy e prendeva i documenti del Signor Da Pont.

Nella stanzetta a fianco, l’uomo dei gatti iniziò a tirare colpi metallici e a rantolare e sbuffare come fosse nell’atto di scavare una fossa, anziché lavorare su una macchina.

Charlie si aggrappò al bordo della camicetta che le strizzava le rotondità tirandola verso il basso. L’uomo in nero non le toglieva gli occhi di dosso.

“Bisogna farlo fuori. Non serve più a niente” disse l’uomo dei gatti a voce alta. Un colpo secco e metallico rimbombò nella stanzetta e Charlie rabbrividì.

“Potrebbe passare al B&B vicino alla vecchia ferrovia? A mio carico, ovviamente…” disse l’uomo in nero rivolgendosi all’uomo dei gatti.

Nell’udire quelle parole mescolate ai suoni che sembravano provenire dall’aldilà, Charlie vide i volti e i corpi delle persone martoriati nella morsa di ferro e pietra della vecchia ferrovia. Svelta ammucchiò le carte dei morti. L’uomo dei gatti uscì dallo stanzino.

“Vado ovunque ci sia un lavoro da sbrigare” disse sollevando le spalle in un’espressione di quieta indifferenza.

Charlie pensò a Marika che, oltre al lavoro, gestiva il B&B.

“Domani passeranno gli ultimi tre treni” disse l’uomo in nero fissando il vuoto.

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1 commento »

  1. Racconto perturbante,che suscita curiosità e brividi

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