Premio Racconti nella Rete 204 “1 alla meno 13” di Marco Ligabue
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024Non è un buon momento. Decisamente no. Avvolto solo da questi pensieri, uomo nudo con le mani in tasca, vago senza meta. Metaforicamente, si intende. Altrimenti la neuro non me la leva nessuno. Peraltro su una linea ideale che vada da Richard Gere di American gigolò all’uomo di Similaun, io mi colloco decisamente nella metà più vicina a quest’ultimo, parlandone con rispetto. Come sempre, c’è chi può e chi no. Io al massimo devo evitare gli specchi. Sarebbero contenti i rivenditori dei suddetti, i proprietari un po’ meno. Magari potrei fondare un partito, «Più specchi per tutti», «i produttori italiani finalmente in Europa», «rafforziamo la lobby degli specchi», e robe simili. Qualche voto lo piglio, ci sta. Così poi lo chiamo Partito Monello e gli iscritti kids.
Lasciamo perdere. Piuttosto andiamo avanti con le contorsioni mentali. Magari mi assumono in un circo. No, quelle mentali non contano e poi c’è quella questione di Similaun aperta.
Stai sul pezzo. Quello del brutto momento. La linea retta, non l’arabesco, a quello ci pensano già i nostri politici.
Meglio affidarsi agli alieni. Come diceva quel cantante? «Extraterrestre, portami via». Adesso che è vecchio – anziano, per carità, niente parole proibite – però è ancora qui. Ci deve essere un problema, da qualche parte. In tanti li “avvistano”, ma loro non ci vengono mai a trovare. In pompa magna intendo.
E bisogna fare alla svelta, l’orologio della fine del mondo incombe, siamo a pochi secondi.
Torno a casa. Mi metto a leggere tutto quello che posso sullo spaziotempo. Se mi gratto un orecchio, sposto il braccio, percorro uno spazio e trascorre del tempo. Indissolubili, bene, capito. Idem se faccio pipì. Afferrato il concetto. Grande Einstein! Bisogna risolvere il problema e scappare di qui. Mi leggo di tutto, trasformate, equazioni, teoria della relatività, meccanica quantistica, il problema del tempo. E anche se non ci capisco nulla, no, più veloci della luce e nel tempo non si può viaggiare.
Allora mi vedo gli acceleratori di particelle, i tachioni, i buchi neri – potrei telefonare a Rovelli. Per carità, già difficile capire i buchi neri, figurati quelli bianchi –, inseguo la teoria delle stringhe, i wormhole spaziotemporali, Hawking. Dicono che è più filosofia che altro. E al solito, ipotizza quanto vuoi, ma in pratica non si può.
Mi rivolgo alla filosofia. Da Platone, a Bergson a Heidegger. Niente di niente. Ormai sono in uno stato frenetico, un invasato, non dormo, non mangio più. Se qualcuno mi vede così altro che neuro. Mi vedo già i titoli sui giornali: “Fermato pazzo scatenato che vuole fuggire viaggiando nel tempo”.
Fermi, calma, un momento ragioniamo.
Come certe cose vengano in mente è difficile capirlo. Sarà lo sfinimento, l’adrenalina accumulata, o forse un’alba particolarmente tersa, ma mi pongo una domanda semplice semplice: «Ma noi umani, chi ci crediamo di essere?» Mi fermo un attimo, respiro. Mangio anche, non si sa mai, casomai mi sbagliassi e mi rapissero gli alieni.
Raccolgo un po’ di numeri abbastanza attendibili, tempi di esistenza dell’universo, dimensioni possibili, densità galattiche e planetarie, percentuali di mondi compatibili con una vita simile alla nostra, tempo di esistenza del genere umano.
Dopo, un po’ di matematica semplice semplice, la calcolatrice mi dà una mano, qualche moltiplicazione, divisione, delle proporzioni e alla fine eccolo lì, 1-13, uno alla meno 13. Sembra complicato, ma già dalla terza media so cosa vuol dire, uno zero, una virgola, dodici zeri e un uno, una roba così: 0,0000000000001. E cosa è questa specie di lombrichetto col sedere piatto? Una roba piccolissima. La probabilità che ci siamo con altri nell’universo nello stesso intervallo di tempo.
Inutile considerare qualunque tecnologia per viaggiare nello spaziotempo, anche esistesse.
Siamo soli. Praticamente è così.
E l’intelligenza artificiale? Potrebbe aiutarci. Però, però. Un Maestro diceva: «Ricordatevi che un giorno le macchine si chiederanno cosa farsene di noi». I colleghi terrorizzati, e lui che se la rideva, birbante, ma era così, i precursori fanno spesso quest’effetto.
Ecco, ci siamo. Magari ci sterminano pure.
Perché poi ci dovrebbero risparmiare. Gli errori diventano sempre più orrori, rifacciamo sempre le stesse cose – e già questo è un orrore in sé. Non siamo né lineari né trasparenti, sotto sotto c’è sempre il tornaconto, una finzione continua, attori consumati. Come dicevano già i greci ? Hypocrites, perfetto.
Ci sterminano, sicuro.
Poi comunque sai che noia. Tutti uguali, tutti perfetti. E alla fine, mica per altro, rifarebbero come noi. I modelli più nuovi, quelli più vecchi, l’industria tale, l’industria tal altra, e l’ottimizzazione, la razionalizzazione, e via con le solite scemenze. Se fossero davvero intelligenti si darebbero la possibilità di morire.
Però farebbero bene, ce lo meritiamo, poco da dire, come ci muoviamo facciamo danno. Mentre discutiamo di etica, di morale, di controllo «delle potenzialità dell’Intelligenza Artificiale», detta bella maiuscola, tutto pontificato da un 90%, vado per difetto, che non ne sa assolutamente nulla. Poi, dietro tutte quelle parole, gratta, gratta, ne viene fuori sempre e solo una: profitto. Una specie di Paroliere truccato.
Se la sbrigano facile, mentre noi si chiacchera, loro fanno. Vincerebbero anche se si chiamassero “stupidità artificiale” e con una mano legata dietro la schiena.
Muoia terminator e tutti i filistei. Vuoi vedere che c’aveva ragione lui, quello cattivo, e nel film non ce l’hanno raccontata giusta?
E se qualcuno fosse davvero in grado di arrivare? Vi ci infilereste voi in una gabbia di matti? Altro che Indipendence day o Guerra dei mondi. Niente sprechi, basta aspettare, ci pensiamo da soli. Poi possono colonizzare in pace. Gli basterà giusto spazzare un po’.
E se anche aver calcolato 1-13 non servisse a niente?
Come nascono e muoiono stelle e galassie esaurito il loro ciclo, così sarà per noi. Perché no, cosa crediamo davvero di essere, afflitti da questa pretesa di eternità.
E l’orologio della fine del mondo è a un passo da chiudere il cerchio semplicemente perché così normalmente avviene, qualunque ne sia la causa. E non c’è verso che noi lo sappiamo in anticipo.
Anche se non serve a niente, però qualcosina la posso ugualmente fare per rallentare il tempo, e senza tanta matematica. Vado a dare una mano a persone in difficoltà, compagni di viaggio che non ce la fanno più. Telefono, sento, mi muovo, faccio. Così smetto di delirare, una delle tante forme della chicchera. Vedi mai un senso, che poi sarebbe una direzione, lo trovo in questo universo? E senza bisogno di andare verso l’infinito e oltre.
Un nanosecondo, un solo nanosecondo, certo, ma a forza di nanosecondi, magari l’orologio rallenta un po’. Poi sia quel che sia.
E allora?
Alzo gli occhi, ormai è notte. Stelle. Tante stelle. Un mare di stelle. Comunque siano finite là, una cosa riuscita. Sarà per questo che sono così lontane da noi. Mi rimetto le ormai proverbiali mutande color pervinca, esco e staremo a vedere.
Mi congratulo Marco, è stato stimolante essere inquietato dal tuo flusso di coscienza scientifica, fino a rimbalzare verso la riscoperta della solidarietà umana.
Il problema del Tempo resta il contenuto fondamentale di qualsiasi forma di arte. Lo hai reso con arguzia e leggerezza, e un pizzico di humour. Bravo.
Grazie Roberto del tuo apprezzamento ! Solo la solidarietà tra esseri umani ci potrà davvero aiutare.
Grazie Gianni, sono contento di averti regalato qualche minuto di buonumore !
Davvero simpatico. Ho scritto una cosa simile (non pubblicata) ma con il messaggio opposto al tuo. Mi è piaciuto come il tuo pensiero sia evoluto tra le elucubrazioni del personaggio.
Grazie Fabrizio del tuo apprezzamento, davvero gentile.
ho letto con piacere “la follia” di queste riflessioni per niente banali o scontate. Ho apprezzato le tue citazioni scientifiche, filosofiche e cinematografiche.
Ne aggiungerei un’altra sul finale (comunque sottintesa): ” E quindi uscimmo a riveder le stelle”.. Dante docet
Come ha scritto Roberto, più che un racconto questo è un flusso di coscienza da manuale! Il tema del tempo, del senso della nostra esistenza, della presenza di altri mondi… Tutti temi senza risposte univoche e poi la riscoperta del significato delle piccole cose con le quali possiamo fare la differenza qui e ora.
Grazie Cristina, sono contento che tu abbia apprezzato. Il finale, che hai perfettamente compreso nella sua allusione, vuole rafforzare
con un’idea di speranza la scelta del protagonista di uscire e poi “staremo a vedere”. E, nel contempo, sottolineare che una cosa riuscita come le stelle
sono lontane da noi e dalla nostra imperfezione.
Marco
Grazie Valeria del tuo bel commento. Molte volte cerchiamo risposte nelle grandi cose, mentre
sono invece quelle piccole che possono fare la differenza, come dici tu, qui e ora.
Questo racconto tocca alcuni temi simili al mio e condivido l’idea che solo la solidarietà e la socialità ci potranno salvare. L’uomo deve capire che le cose davvero importanti, le piccole cose, quelle che non si vedono, come diceva il piccolo principe, sono quelle importanti e che ci rendono “umani” e guai a perderle! Questo individualismo sfrenato ci rende simili a macchine.
Bravo Marco!
Grazie Sara! Oltre a sperare che niente delle cose che raccontiamo sia io che te si avveri e rimanga solo nel nostro immaginario,
confidiamo davvero nelle piccole cose importanti. Non diventeremo dei piccoli principi, ma forse non ci perderemo neanche in mare come
il povero Saint-Exupéry.