Premio Racconti nella Rete 2024 “Il collezionista di donne” di Paola Pisano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024Nell’osservare una donna partiva sempre dalle caviglie, che dovevano essere sottili e scattanti, per poi risalire ai polpacci e alle cosce, che preferiva tornite e sode.
Non era facile valutarle con i pantaloni, che adesso ormai tutte le donne portavano prevalentemente. Era sicuramente molto meglio ai tempi della sua scuola elementare, quando la giovane maestra si sedeva sempre frettolosamente e così un po’ di carne finiva per intravedersi dalla gonna stretta.
Il giro vita più o meno sottile non era difficile da individuare, mentre il seno era una vera e propria incognita, perchè quei reggiseni moderni riuscivano a sollevare anche le mammelle più provate da gravidanze e allattamento o dai più o meno numerosi dimagrimenti, che solo le donne riescono a collezionare.
Tuttavia col tempo aveva sviluppato una tecnica visiva scannerizzante e di solito ci azzeccava, tanto da avere compilato una sua personale statistica, quando poi, in seguito, aveva avuto modo di verificare direttamente sul campo.
Sua sorella Sabrina, ormai stanca di dare copertura alle sue scappatelle con le fidanzate del momento, che immancabilmente finivano per diventare sue amiche, lo chiamava collezionista di vagine, ma sotto sotto lo invidiava, perchè lei, che aveva ereditato dalla nonna paterna il seno piccolo e i fianchi larghi, non riusciva mai a leggere negli occhi degli uomini quello sguardo che vedeva in quelli di suo fratello, quando all’orizzonte spuntava una donna.
La sua amica Michela psicologa, ridendo, parlava di un suo comportamento ossessivo compulsivo, ma lui aveva semplicemente pensato che a lei rodeva di non essere entrata a far parte della sua collezione.
In effetti ogni luogo era buono per portare a termine l’adescamento. Dagli angoli bui all’esterno di vecchie trattorie di campagna nelle sere d’estate, ai bagni delle discoteche in inverno, dove ormai si ritiravano soltanto gli habitué della sniffata.
Tuttavia con il tempo qualcosa era cambiato, lo avvertiva con un certo inspiegabile disagio. Si era come stancato di tutte quelle donne pronte a cadergli ai piedi e altrettanto pronte a mollarlo o ad essere mollate, con una tempistica che spesso non superava i tre mesi.
Non era certo la voglia di una famiglia nè tantomeno di un figlio, anzi quei marmocchi urlanti, figli delle sue amiche ormai accasate o dei suoi rassegnati amici, non lo attraevano affatto e spesso lo spingevano a ricambiare i loro dispetti, così da finire per essere considerato un bambinone mai cresciuto.
Eppure sul lavoro era stimato, la sua professione lo appagava, gli consentiva di viaggiare e incontrare persone, tra cui donne che non chiedevano altro che avventure fugaci. E lui aveva le sue buone carte da giocare. Era un abile parlatore, carezzava le donne con gli occhi, prima ancora che con le mani e tutte o quasi finivano immancabilmente per cadere nella sua rete.
Che cosa di meglio allora di quella girandola che ogni volta ripartiva estenuante. Tuttavia avvertiva che adesso, superati i cinquanta, aveva bisogno di altro, ma non riusciva ancora a capire bene che cosa.
Quella mattina presto di domenica, dopo una notte passata in inconsueta solitudine, decise di alzarsi e andare a camminare.
Odiava camminare da solo, ma se a quell’ora avesse cercato un amico si sarebbe sentito mandare a quel paese di sicuro, per cui pensò di andare a fare colazione fuori, magari al bar della stazione dove avrebbe trovato quella nuova barista bionda e carina, con i fianchi un po’ abbondanti stretti nei leggins neri, ma con due occhi verdi strepitosi.
Cercò nell’armadio qualcosa che assomigliasse ad una tenuta sportiva, ma si rese conto che avrebbe dovuto ripiegare sulla vecchia Lacoste bianca e sulle bermuda blu.
Va bè – pensò tra sé – tanto quello che conta sono le scarpe adatte e di quelle ne aveva una montagna, di tutti i colori e fogge. Una passione, forse una mania a dire il vero, che aveva ereditato da sua madre, bellissima donna che adorava il tacco 12 e aveva una collezione di scarpe decolleté da fare invidia a Christian Louboutin.
Erano appena le 7.00 del mattino e per strada non c’era un’anima, all’infuori di vecchiette con piccoli cani e per l’appunto di fanatici della corsa, che già a quell’ora gli apparivano disgustosamente sudati.
Entrò nel bar e dietro il bancone la giovane barista, di spalle, si aggiustava i capelli guardandosi nello specchio posto dietro le bottiglie, tra un whisky e una grappa.
Un colpetto di tosse la fece sobbalzare e girare di scatto, arrossendo.
– Mi scusi non credevo a quest’ora di domenica arrivassi qualcuno.
Quel congiuntivo sbagliato lo colpì come un pugno in pieno stomaco, annientando per la prima volta il piacere che il generoso scollo della barista gli aveva offerto.
Ecco che aveva improvvisamente capito. Come un velo che si squarcia su una ovvia verità, si era reso conto che in tutto quel turbinio di donne aveva collezionato tette, cosce e chiappe, ma non aveva mai interrogato i cervelli, non aveva lasciato spazio alle parole, non aveva ricercato l’anima.
Senza nemmeno riflettere, girò le spalle, lasciando la biondina interdetta e cominciò a correre verso casa.
Adesso voleva in tutta calma mandare un messaggio vocale alla sua amica Michela, che lo avrebbe potuto sicuramente aiutare, perchè avrebbe saputo comprendere e spiegare le ragioni di quel cambiamento o meglio le motivazioni all’origine di quel passaggio, volendo utilizzare il suo linguaggio più tecnico.
Sicuramente adesso Michela era proprio necessaria, doveva al più presto mandarle quel messaggio.
Ma perchè piuttosto non andare direttamente da lei? – pensò – Erano le 7.40 di domenica è vero, ma Michela era abituata ad alzarsi presto, lo diceva sempre e allora via… Continuò a correre e arrivato all’indirizzo trovò l’ennesima vecchietta che usciva con il cane e approfittò così del portone aperto per salire a due a due scalini le tre rampe di scale.
Suonò il campanello con il fiato in gola ed ebbe modo a mala pena di dire ciao a Michela, che aprendo la porta lo guardò sorpresa.
– Buongiorno, a che cosa devo questo onore stamani, a quest’ora poi….. entra.
Entrò ansimando e si buttò sul divano a fianco del tavolino da lavoro con il computer già acceso, quando improvvisamente una splendida rossa con una cascata di riccioli da far invidia a Julia Roberts in Pretty Woman, e con addosso una maglietta bianca che lasciava scoperte due lunghe gambe perfette, apparve sulla porta della cucina.
– Buongiorno – disse – cliente di domenica mattina?
Si avvicinò sorridendo a Michela che girandosi le circondò la vita con il braccio e le dette un bacio leggero sulla guancia, allungandosi un po’ perchè rimaneva una buona spanna sotto di lei.
– Ma tu? – riprese lui ancora ansimante.
– Sì? Io?
– Cioè voglio dire… Non sapevo … ma forse è meglio che vada….scusami.. – riuscì a biascicare.
– Ma no resta, mi fa piacere che tu sia qui. Guarda ti anticipo l’invito che proprio stamani avrei inviato per mail a tutti gli amici. Il 7 di luglio io e Francesca ci sposiamo e vorrei averti come testimone.
Santo cielo – pensò lui – non aveva proprio capito niente di quella donna e a questo punto forse nemmeno di tante altre.
– Sono in crisi Michela, ho bisogno di te – riuscì a dire.
– Caro mio, finchè è una chiacchierata tra amici si può fare, ma se si deve scavare nel tuo profondissimo io, ti do il nominativo di un collega.
Rimase un attimo a riflettere sul suo deontologicamente corretto rifiuto, prima di rispondere.
– Una collega si può?
– No, assolutamente no.
Le loro risate riempirono la stanza e già questo lo fece stare meglio, mentre allungando la mano, prendeva il biglietto con il nome e il numero di telefono dello psicologo che il giorno dopo avrebbe chiamato.