Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “La Pensione” di Fabrizio Biuso

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Preciso come ogni giorno della sua vita, il primo chiarore del giorno creò un turbamento inconscio nel suo sonno. Portò una mano in basso e invece della fredda superficie delle lenzuola le sue dita urtarono contro qualcosa di molle e caldo. Era un corpo umano.

Jens spalancò gli occhi, balzando a sedere, stupito di trovare ancora quell’energia nonostante la sua età avanzata. E ricordò…

La sera precedente aveva esaudito quello che lo Stato aveva definito il “sogno della vita”. Quasi se ne vergognava un po’ ora, a guardare quelle due bellissime giovani che giacevano nel letto e non si erano nemmeno accorte del suo scatto da nuovo ottuagenario. Si guardò in basso, tra le cosce e quasi non riconobbe quel budello bianchiccio che sembrava la pelle di una salsiccia non ancora riempita di carne. E inorgoglì a pensare ai progressi della scienza e alla sua performance insperata. Ebbene sì, in barba a quello che la gente avrebbe pensato se lo avesse saputo, la notte scorsa aveva fatto sesso. Adorava le donne ma non ne aveva avute molte nella sua vita. Perché era inetto e incapace, gli dicevano. Perché era un cavaliere, pensava lui, e ad oggi non vanno più di moda. Non aveva mai avuto il coraggio di pagare una donna per fare sesso, ma al momento di consumare il “sogno della vita” non aveva avuto dubbi: due escort (che non aveva avuto il coraggio di scegliere sul catalogo) nella suite più lussuosa della città, champagne e qualche pasticca di viagra.

Aveva scoperto troppo tardi quel piacere genuino di raggiungere obiettivi e di uscire dai suoi schemi e si rese conto solo ora di aver buttato la sua lunga vita. Non per gli incontri mancati con le escort, ma per tutte le volte che non si era sentito all’altezza di prendere una decisione, rimandando ad un futuro mai venturo. Aveva vissuto nel Mondo come se avesse dovuto scansarsi dagli avvenimenti della sua vita, che fossero belli o brutti. E non gli rimaneva che compiere l’ultimo atto. Sentì le lacrime salirgli agli occhi, poi però pensò che in fondo fosse giusto così e allontanò quei pensieri con una scrollata di spalle.

Quello non era né un sabato né una domenica né un qualunque giorno feriale. Era il giorno del suo ottantesimo compleanno. Quello della sua pensione, o cessazione, come veniva chiamata nella nuova formula, perché sarebbe stato anche quello della sua morte. Vent’anni prima aveva sottoscritto la speciale pensione governativa. Per far fronte all’invecchiamento della popolazione e al peso sulla pubblica amministrazione, era stata varata una legge tra le critiche della gente che aveva rischiato di generare una polveriera fra le piazze della città. In realtà questo non era stato altro che il cappello conclusivo di anni di slogan che promuovevano l’idea di una vita vissuta nel quotidiano piuttosto che mirare ad una vecchiaia di dipendenza da macchine e farmaci.

Jens aveva guardato gli altri indignarsi e si era sentito anche lui furente. Gli era bastato tornare a casa, sedersi sulla poltrona e riflettere davanti al suo programma serale preferito. Al suo termine aveva deliberato che fosse inutile sprecare tante energie inutilmente. Non era andato nelle piazze e si era sottratto a tutti i dibattiti, apparentemente indifferente al fatto che si decidesse sul termine della sua vita.

Al primo giorno utile Jens era andato a firmare il documento di cessazione. La legge era semplice e si basava sul mantenimento di una popolazione attiva nel mercato del lavoro più a lungo con un adeguato controbilanciamento nel tempo libero, qualità della vita e potere d’acquisto. Il nuovo sistema pensionistico prevedeva la diminuzione graduale dei giorni lavorativi fino alla sua estinzione. Dai cinquantacinque anni, o dal trentesimo anno di lavoro, la giornata lavorativa si sarebbe ridotta a quattro giorni per sette anni, che si sarebbero ridotti a tre per altrettanti anni senza alterare i giorni di ferie annue. I giorni lavorativi sarebbero diventati due per sei anni, infine uno per cinque anni fino al compimento dell’ottantesimo anno di età.

Jens, trovandosi già a sessant’anni aveva visto la sua settimana ridotta a tre giorni con effetto immediato e per soli sei anni, dopodiché sarebbe passato a lavorare due giorni soltanto per riequilibrare il conto. Inoltre, il budget da utilizzare per il “sogno della vita” era stato aumentato del cento per cento per premiare la sua condotta diligente. E così quel cinque Maggio di vent’anni prima, Jens aveva sottoscritto col sorriso il giorno della sua morte, che non avrebbe mai creduto così lontana nel tempo e che, contro ogni aspettativa, bussava ora alla sua porta sotto forma di raccomandata statale.

Perché questo era l’atto conclusivo dell’accordo. Niente sovraccarico sullo Stato (che ridava i contributi in un periodo predeterminato di anni), né sugli ospedali, con un inserimento graduale dei giovani nel mondo del lavoro. Il giorno della pensione, che coincideva con l’ottantesimo compleanno, corrispondeva con l’ultimo giorno di vita. Lo scambio gli era parso adeguato: più giorni di vita vissuta senza attendere che il corpo divenisse una trappola per l’anima.

E Jens ne aveva goduto, o almeno ci aveva provato. Chino sulla sua poltrona che raccoglieva polvere davanti alla televisione o ad un buon vecchio libro, un retaggio quasi romantico del suo passato. Aveva posticipato viaggi, incontri, pensando che avrebbe avuto tempo o un’occasione migliore da cogliere al volo. Che non era mai arrivata. E solo ora che tutto stava per finire sentì un formicolio diffondersi nel petto, a ricordare che aveva passato la sua vita a fantasticare e procrastinare senza aver mai realizzato alcun sogno.

Al solo pensiero della notte appena passata si trovò a sbavare su quei corpi così meravigliosamente giovani e freschi. Si riabbassò sui cuscini e le lenzuola di raso sulle quali era scivolato e si portò una mano sul petto quasi glabro.

Il suo gesto svegliò le due donne, che sorrisero fresche e non lasciarono trasparire alcun disgusto per quel corpo allentato dal tempo e dell’inezia. Non erano state solo delle brave amanti, ma anche delle grandissime attrici. Gli avevano fatto credere che si trovassero di fronte ad un uomo virile, capace di dare piacere. Nell’orgasmo doloroso si era dimenticato di trovarsi a vivere l’atto conclusivo della sua esistenza. Jens si era sentito vivo e capace di condurre la propria vita.

Ringraziò il Governo perché se non così sarebbe morto sulla vecchia poltrona e il suo corpo sarebbe marcito su quel velluto pallido prima che qualcuno potesse scoprire il suo cadavere. Invece ora tutto sarebbe andato secondo un piano prestabilito. Perché di regole aveva sempre avuto bisogno per indirizzare la sua vita.

Trovò il coraggio di chiedere alle ragazze un’ultima concessione: una colazione. Si stupì quando nessuna delle due rifiutò. Erano state delle amanti fantastiche e non aveva avuto il coraggio di chiedergli nulla. Lo avevano condotto nei sentieri inesplorati del piacere facendogli credere che fosse stato lui a dirigerle.

Con un ultimo sussulto d’intraprendenza azzardò la richiesta di una doccia a tre mentre attendevano il servizio in camera. Sorrise incredulo quando accettarono nuovamente. Era proprio un sogno quello che stava vivendo. E i sogni non si ripetono…

Al momento del commiato le baciò sulla fronte alzandosi sulle punte dei piedi. Indossava il suo elegante vestito nero e i mocassini nuovi che aveva comprato per l’occasione. Perché se ne sarebbe andato elegante e impeccabile, integerrimo come la sua vita. Prima che richiudessero la porta dietro di loro, ebbe l’ardore di un ultimo pensiero.

-Spero siate state bene-.

Le ragazze gli sorrisero e solo allora tradirono la loro recitazione perfetta. Tornarono indietro e lo baciarono sulle guance lisce e odorose di dopobarba prima di richiudersi la porta alle spalle lentamente e senza fare alcun rumore.

Nel silenzio della stanza Jens iniziò a camminare come se volesse raccogliere per un’ultima volta tutti i pensieri che si affastellavano nella sua mente. Ma non riusciva a concentrarsi. Era il suo compleanno, il giorno del pensionamento e quello della sua morte. Non si potevano festeggiare tre cose insieme nello stesso giorno; troppe emozioni e pensieri da gestire per un cuore e una mente sfibrati come i suoi. Forse era per questo che le guardie si erano trovate a dover rincorrere per strada il Signor Labont -suo vicino di casa- in preda ad una crisi isterica, raccomandandogli prima e intimandogli poi di adempiere ai suoi doveri di cittadino esemplare. Il vecchio Labont non aveva semplicemente retto il colpo. Beh, male per lui, perché quello era comunque stato il suo ultimo giorno di vita e lo aveva passato davvero male, legato sulla sedia del tavolo di cucina e stordito come una gallina prima che lo uccidessero.

Avrebbe cambiato questo nella legge: la cessazione sarebbe dovuta avvenire almeno un giorno dopo il compleanno, nel quale avrebbe dovuto essere esaudito il “sogno della vita”. Lo scrisse su un foglietto di carta del taccuino che portava sempre con sé, con la sua calligrafia allungata e impeccabile. Un questionario di gradimento, questo era ciò di cui lo Stato avrebbe dovuto farsi carico per migliorare il servizio ed accompagnare i suoi cittadini fino alla morte. Non poté sentirsi più esaudito nell’aver contribuito al miglioramento dell’esperienza e non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello il tentativo di darsi alla fuga. Non per un uomo come lui.

Con fare dimesso, così come aveva affrontato tutta la sua vita, si sedette sul letto dalle lenzuola di raso che le ragazze avevano sistemato per lui, dopodiché aprì il cassetto, dal quale estrasse una scatola in cuoio di colore nero. L’aprì e rimase a guardare a lungo il suo contenuto. Lì su una base di velluto rosso, c’era la pistola elettrica con la quale si sarebbe dovuto dare la morte. A fianco, un biglietto in stampatello maiuscolo:

LO STATO RINGRAZIA

Sorridendo, si sdraiò, portò la canna alla tempia destra e premette il grilletto.

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3 commenti »

  1. Originale e speriamo non profetico, visti i tempi che corrono in cui cercano di persuaderci della qualunque.

  2. Scritto in maniera impeccabile. Concordo con chi ha già commentato…Speriamo non diventi la prassi!

  3. Il tema è originale, difficilmente percorso dalla narrativa italiana, questa è la prima cosa che appare inequivocabile, la seconda è lo stile, che ama essere puntuale anche nei particolari secondari. Il finale sembra inseguire una necessità narrativa conforme all’atipicità psicologica del personaggio. Nel complesso il racconto può vantare una marcata dignità letteraria.

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