Premio Racconti nella Rete 2024 “OdoRosa” di Gianni Gioanola
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024A nascere rose, sono buoni tutti di essere poi freschi e aulentissimi. Anch’io vengo da un fiore: è forse colpa mia se non odoro di paradiso?
Ricordo ancora le origini: in una primavera raccolta e segreta, da una pianta verde tenero, con un bellissimo fiore violetto e profumato, ci sviluppammo in bulbo, e a me toccò la sorte di essere involucro e protezione. Era facile, allora, illuderci che non saremmo state diverse da quei petali intorno a noi: rose, cantate da tutti i poeti di ogni tempo, oppure gelsomini, o altro ancora, sempre con il sottinteso di un profumo etereo, misterioso. Profumati lo eravamo, eccome, noi e il nostro scrigno segreto: ma c’era, in fondo, un sentore lievemente acre, affatto estraneo – per esempio – a quel tiglio che di lì a poco avrebbe mandato intorno a sé, in raggi invisibili, una fragranza intensa e stordente.
Col tempo, ci dicevamo, il lieve afrore si sarebbe disperso, anche in noi i letterati e i musicisti avrebbero trovato il profumo segreto della poesia e del mistero. Come ci sbagliavamo, poverette noi, poveretti tutti. Crescendo e sviluppandoci, la nota acre e forte crebbe man mano, sostituendo gradatamente quella parte poetica e genericamente aggraziata tipica di tutti noi adolescenti. Mi trovai ad avviluppare un frutto semi-sotterraneo, biancastro, con un carattere forte e deciso, un approccio diretto e quanto mai prepotente. Un vero tanghero. Che differenza con l’atmosfera rarefatta e indistinta dei miei sogni giovanili!
Il resto è storia presto detta, per niente gloriosa. Oggi, per l’ultima volta, ho accompagnato il tanghero in un soffritto con un paio di povere acciughe puzzone, alcuni gambi di prezzemolo (profumati assai, beati loro), un po’ di peperoncino. L’olio incandescente ci ha separati e dorati. Quando è finito tutto, mi hanno preso dal piatto e buttato fuori, direttamente in mezzo al prato. Mentalmente, ho salutato acciughe, gambi e peperoncino, tutti rimasti nel sugo, a profumarlo. Nel prato, per sempre. La fine prevedibile di un’esistenza segnata dal dolore, ho pensato.
Ed ecco, invece, il miracolo: in mezzo alle foglie d’erba, ho lo stesso colore dei petali di quella rosa bianco-rosata. Siamo tutti uguali, quaggiù, e nessuno sta ad annusare per carpire eventuali differenze. Profumi celestiali e odori marcati e terrigni, non importa. A questo punto non siamo così diversi e distanti da musicisti e poeti: ancorché fatti, dicono loro, a immagine e somiglianza del Grande Profumiere, ci si ritrova noi e loro nello stesso posto, sull’erba o sotto, a condividere la stessa sorte.
La Rivelazione mi colpisce e mi consola, regala a tutto un insieme omogeneo, un destino uguale e pari. La poesia non salverà certo me, ma neppure loro.
Questo pensavo, e questo mi conferma una cimice, che rosicchia il petalo della Pierre de Ronsard accanto a me, prima di avvicinarsi e fare, con me, la stessa cosa.
Chissà.
Anche lei, forse, ha sognato di nascere farfalla, o almeno ape. Non ha certo colpa di un destino più sgraziato, non più di quanta ne abbia avuta io.
Nel Grande Disegno, ci tocca fare la parte del contrasto, da cui rose e farfalle emergono ancora più perfette: ma senza di noi, la loro gloria sarebbe immensamente minore, se non del tutto spenta.
Il protagonista, senza antagonista, sarebbe un burocrate.
Un percorso di consapevolezza individuale nel riconoscimento dell’altro.
Mi fa venire in mente alcune canzoni di Branduardi.
Breve digressione controtendenza ma non controvento: una coltivazione di aglio (aglione?) sulle colline tra Fossombrone e Urbino, meravigliosa e in piena fioritura a Giugno. Bella come la lavanda di Senanque.
Un saluto dall’orto.
Povero aglio alla ricerca di un senso della propria esistenza. Ben giocato e divertente, bravo !
Molte grazie, Leonardo e Marco, apprezzo molto i vostri commenti.