Premio Racconti nella Rete 2024 “Il silenzio degli ultimi” di Matteo Vergassola
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024Il ritmico tintinnio del gocciolare dettava i secondi che mancavano all’inizio dello scontro. Lì vicino, al di là dei cancelli, un stormo di voci urlanti, reclamante a gran voce lo sgorgare del sangue, si univa al fracasso degli scommettitori. Questi, insieme ai padroni, facevano tintinnare il danaro sonante, fin troppi sicuri delle loro scommesse. Eppure quel rumore incessante non aveva presa sulla mente di Simon, silenziosa e concentrata sull’imminente scontro. Il cuore, come un orologio, pulsava calmo il sangue nelle vene. Le mani coperte da un panno di lino, fluivano melodiose sul filo della lama, la quale, come le fusa di un fedele gattino, emetteva un sibilo appena percettibile.
Le gocce cadenti sulla pietra erano il solo suono che la mente di Simon percepiva. Neanche l’improvviso sbattere della porticina sul retro, quasi scardinata dal violento urto con la parete rocciosa dell’arena, lo distrasse. Nemmeno la figura femminile che si mosse verso di lui, singhiozzando rumorosamente, lo poteva distogliere. Quella donna, minuta e gracile, con le guance colme di suppliche, non l’avrebbe fermato.
Lacrime che gocciolavano dalle splendide guance di lei, sibilo della spada strofinata e urla sempre più agguerrite dall’arena erano meri suoni. Ma il guerriero non provava esitazione. Ora, il silenzio avvolgeva l’intero suo essere. Così gli era stato insegnato, così era in quel momento. E quando i cancelli lentamente si aprirono cigolando fastidiosamente, i suoi passi, come automatici, avanzarono nella direzione dello scontro.
E così, improvvisamente, come prima di una tempesta, cessò il frusciare del vento sulla sabbia dell’arena e le voci sugli spalti. Piombò, come un falco, tra la folla, un silenzio innaturale. Vibrò nell’aria la percezione che qualcosa di diverso stava per accadere. Solo un dolce e distante sussurro di donna si sentì, appena prima che il vecchio magistrato diede, con le sue tremanti ossa, inizio allo scontro.
A dispetto dei più che avrebbero tremato alla vista del rinomato gladiatore, Simon avanzò calmo, fino a trovarsi a poca distanza dal suo avversario. Conosciuto come “Orso” sia per la sua stazza sia per le sue urla possenti, il gladiatore si presentava armato con un’enorme mannaia. Era il fiore all’occhiello dell’arena, governata dal magistrato Claudius, uomo dalla forte convinzione che i gladiatori, così come gli schiavi, fossero la chiave per il divertimento e il danaro. Da quella distanza Simon percepiva la lordura di quel magistrato, come il fetore di morte che attorniava il gladiatore. Ma i suoi occhi non smisero implacabili di fissare l’avversario, diventato un semplice ostacolo al suo obiettivo.
Diede un rapido sguardo dietro di sé, alla giovane donna che lo guardava con le mani tremanti. Poteva ancora sentire il profumo di mele e il tintinnio dei suoi orecchini del loro primo incontro. In quell’occasione, senza pensarci, aveva sguainato la spada e mozzato la mano del suo schiavista, che aveva provato a violarla sulla pubblica via di quella città caotica e disgustosa. Lei non aveva avuto parole, sorpresa dal fatto che qualcuno prendesse le difese dell’ultima tra gli schiavi. Quel gesto, forse troppo avventato persino per lui, aveva provocato la sua condanna e lo aveva portato dentro quel anfiteatro chiassoso. Non che la cosa lo avesse preoccupato.
Veloce come un lampo, tremendo come il rombo di un tuono, colpì. Simon percepii distintamente la lama affondare attraverso l’armatura leggera del gladiatore fino alla carne, recidendo la pelle e gli organi sottostanti. Nonostante l’abilità e la forza del gladiatore, nessuna resistenza ma solo un lieve sussulto si sentì. Molti del pubblico, compreso il magistrato, percepirono prima dell’attacco un ronzio fastidioso, come se uno sciame di mosche si fosse unito alla folla. Poi, subito dopo, il tonfo del corpo senza vita del gladiatore echeggiò nell’arena. Paralizzati dal terrore che ormai serpeggiava tra la folla, nessuno osò fiatare, né tanto meno acclamare. Simon rinfoderò la spada, alla vista del corpo ormai senza vita del suo avversario. Inspirò, lasciando che l’aria riempisse il vuoto dei suoi polmoni, assaporando quel rumoroso silenzio che ora incombeva sull’arena.
Ciao Matteo. Lo scritto scivola bene, ma mi permetto di farti alcuni commenti che secondo me lo renderebbero più incisivo:
1) scrivere la lama che ‘fa le fusa come un fedele gattino’ sminuisce l’epicità che vuoi dare allo scritto, così come la ‘porticina’ che si apre alle sue spalle. Qua c’è bisogno di parole incisive. La spada potrebbe sibilare nel fodero come una serpe e la porticina potrebbe essere un antro buio
2) Il finale è troppo veloce. Il lettore non fa in tempo ad immergersi che la storia è già finita. Forse qui dovresti temporeggiare un po’
Spero che tu prenda questi commenti come costruttivi, lungi da me porre critiche. Ti ringrazierei se anche tu, leggendo i miei scritti, sapessi darmi dei consigli per migliorarli.
Grazie Fabrizio di aver letto il racconto e aver inserito dei commenti, più che benvenuti. Nel merito:
1) Grazie delle osservazioni, capisco cosa intendi.
2) Non volevo prolungare troppo il racconto e lasciare al lettore lo sviluppo del finale, ti ringrazio comunque del suggerimento