Premio Racconti nella Rete 2011 “Ci vuole un seme” di Nicoletta Molinari
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2011Ho delle storie da raccontare. Non sono uno scrittore, non di quelli che s’inventano le cose e fanno i fuochi d’artificio con i colpi di scena, i finali e le morti improvvise. Non che non ce ne siano nelle storie che racconto, ma non me li invento e se qualcuno muore non ci posso fare niente. Non amo la fantasia come diversivo alla schiacciante quadratura quotidiana delle ventiquattro ore su ventiquattro, perché non se ne esce dalla perfetta geometria della vita se non in posizione orizzontale. Poi uno può farci tanti geroglifici nel suo quadrato chiuso, ma da lì non esce. Ed è lì che prendo le mie storie, storie di gente che crede di essere libera e scorrazza per quei pochi metri quadrati che il Creatore ci ha dato finendo con lo sbattere le ali di qua e di là senza andare in nessun posto.
Cristo santo, svegliamoci! Siamo uomini in scatola…e qualcuno, ogni tanto, più grande e più abile di noi, apre il coperchio e ne mangia uno o più d’uno, insieme alla sua casetta e all’alberello vicino a casa, magari mentre è fuori a far pisciare il cane. Magari mangerà anche il cane.
E’ come la nostra scatola delle sardine o dei pelati. E sì, perché c’è da scommetterci che c’è sempre qualcuno che frega un altro e lo mette in sugosi condimenti finché arriva il momento buono per aprire la scatola, tirarlo fuori e cucinarlo affinché diventi qualcos’altro, qualcosa che, l’essere in scatola, non aveva previsto.
E se gli esseri viventi, umani e non, alla loro morte fossero tirati fuori dal mondo belli e pronti da mangiare? Ci chiediamo sempre che fine si fa, dopo. Ma è un’altra storia.
Questo fatto di stare chiusi a lungo nelle scatole del creatore non è stata un grande idea, diciamocelo, e, a volte, la gente ha delle reazioni strane.
Non sempre s’intende, anzi più spesso accade che uno si convinca che, nella sua scatola valga la pena di restarci e di farci dentro ciò che un essere umano può fare di interessante, la qual cosa varia da individuo a individuo, è chiaro, ma limitiamoci a considerare quelli che ritengono interessante crescere, lavorare, accoppiarsi, fare figli, accendere un mutuo e andare in vacanza in posti rilassanti in altre scatole del pianeta.
A volte, però, più raramente per fortuna, si genera un’anomalia.
L’anno scorso ho fatto seminare il prato affinché diventasse un bel prato all’inglese. Purtroppo il giardiniere era un deficiente e dalla solcatura del terreno alla semina ha fatto trascorrere due mesi: a me la gente che mi mette fretta mi dà fastidio e poi non riesco più a fare il lavoro. Insomma che nel solco, intanto, si era infilato un seme del cazzo, di quelli che volano nell’aria e se trovano terreno fertile attecchiscono come l’ambrosia; così tutta la mia bella erbetta nuova a maggio è stata letteralmente travolta dall’infestazione del giavone, una lattuga schifosa che adesso ha radici profonde trenta centimetri grazie alla sapiente solcatura di un deficiente.
Quando in una scatola avviene un’anomalia è pericoloso per tutti e può produrre un rovinoso effetto a catena. Morale basta un seme a rovinare una comunità, soprattutto se c’è terreno fertile.
Il seme del cazzo, in questo caso, era un ufficiale dell’esercito in pensione; questo si seppe in questura, quando il padre di Pino gli saltò addosso per ucciderlo.
Tutto era successo una domenica pomeriggio e Pino, che aveva cinque anni, non sopportava l’idea di seguire sua sorella al cinema dei preti insieme al gruppo delle sue amichette cretine. Non gli interessavano le risatine, i gridolini e i saltelli di entusiasmo idiota nel tragitto fino al cinema mentre si truccavano freneticamente a vicenda con lo stesso ombretto azzurro che saltava fuori magicamente solo la domenica pomeriggio, per strada.
La mamma aveva intonato la solita tiritera: Tu stai attaccato a tua sorella; poi, rivolgendosi a Cris: e tu non lo perdere di vista, hai capito bene?
Indossava i soliti calzoni corti, azzurri, mentre le bretelle nere con i fiorellini arancio e la camicia bianca erano d’obbligo solo la domenica. Uscì in quel modo, anche se, al ritorno, qualcosa era definitivamente mutato.
Il percorso da coprire non era molto e, al cinema, ci si poteva arrivare a piedi in dieci minuti. Per andare in chiesa si saliva una scalinata, mentre per il cinema, proprio di fianco, si scendeva dal piano strada fino ai sotterranei.
Quando le ragazzine si sedettero cinguettarono più sonoramente del solito per assicurarsi che i ragazzi presenti le notassero. C’erano adolescenti e c’erano bambini accompagnati dai genitori, così quando l’anziano signore si sedette accanto a Pino, Cris vide che era solo.
Lui sorrise a entrambi, ma più a Pino al quale diede un buffetto sulla guancia: che simpatico che sei, sei qui con la tua sorellina? E come ti chiami?
L’uomo aveva fitti capelli a spazzola, bianchissimi, e una voce morbida come quella del lupo nella parte della nonna di cappuccetto rosso. Aveva anche un impermeabile beige che si mise sulle gambe.
Nella mezz’ora che precedette l’inizio della proiezione s’interessò molto a Pino: gli chiese quanti anni aveva e se gli piaceva andare al cinema. Disse che anche a lui piaceva il cinema e che aveva un nipotino proprio della sua età, anzi avrebbe proprio potuto proprio essere il suo nonnino.
Io il nonnino non ce l’ho, disse il piccolo, e non ho neanche il papà, che è andato via di casa.
Stai zitto, disse Cris.
Il vecchio si offrì di pagare il gelato a lei e a tutte le sue amiche, ma Cris decise di alzarsi e di far spostare tutti nella fila dietro.
E tu vuoi spostarti? Disse l’uomo rivolto a Pino. Non vuoi stare qui con il tuo nonnino? Anzi, non sono poi tanto vecchio e potrei essere quasi come il tuo papà.
Andiamo, insisteva Cris.
Se resti a farmi compagnia ti compro il gelato. Incalzava il vecchio.
Pino non voleva offenderlo e non vedeva niente di male in quel signore gentile che si prendeva cura di lui, così s’impuntò come il più tenace dei muli e, infine, Cris lo mollò lì e arretrò di una fila con le sue amiche.
Il vecchio mandò una delle ragazze a comprare il gelato per tutte e, mentre le fortunate ragazzine leccavano beate l’inaspettato regalo, si spensero le luci e iniziò la proiezione.
Pino non riusciva mai a capire granché di quei film che la mamma lo mandava a vedere insieme a Cris, tranne una volta che avevano proiettato la storia di Bruce Lee e lui poi aveva dato calci ai muri, alle sedie e anche a sua sorella per una settimana finché suo padre al telefono, sollecitato dalla mamma, gli aveva fatto la ramanzina.
Hai freddo? Gli chiese il vecchio. Al suo diniego, l’uomo pose comunque l’impermeabile per metà sulle gambe di Pino e per l’altra metà sulle sue.
L’uomo parlava sottovoce ma continuamente e questo non permetteva a Pino di seguire il film perché gli poneva domande alle quali doveva rispondere.
Adesso ti faccio sentire una cosa, metti la manina sotto l’impermeabile. Gli prese la mano e la condusse verso il suo ventre appoggiandola su una cosa caldissima e liscia. Poi gli mosse la mano avanti e indietro più volte. Stringi, sospirò, non lasciare la mano aperta. Quando fece un sibilo lungo e sordo con la voce, a Pino sembrò il verso che faceva la mamma quando gli voleva intimare il silenzio, solo che la mamma lo guardava dritto negli occhi e soffiava, mentre il vecchio, lo osservò, teneva gli occhi chiusi e aspirava con i denti stretti.
Sollevò la mano del bambino estraendola da sotto l’impermeabile e se la portò sotto il naso.
Senti anche tu, gli disse rendendogli la mano, annusa.
L’ufficiale dell’esercito in pensione mosse la sua mano sotto l’impermeabile fino alle gambe di Pino e lo massaggiò delicatamente nell’incavo, poi sbottonò i calzoncini e infilò la mano nelle mutandine toccandogli le parti intime. Si mosse avanti e indietro, ma con sole tre dita poiché bastavano a fasciare il piccolo membro come un guanto.
Il vecchio estrasse la mano e la annusò, poi se la passò tra i capelli sfregando con vigore e annusò ancora.
Sentì, sussurrò al bambino mettendogli la mano sotto il naso, annusa tu ora, senti che buon odore… ti piace?
Il piccolo annusò e non sentì nulla ma non voleva dispiacerlo e annuì con la testa. Il vecchio parve contento e frizionò le dita umide prima sui capelli di Pino, poi di nuovo sui suoi.
Adesso vieni in braccio, gli disse, anche il tuo papà ti prende braccio vero? Lo afferrò sotto le ascelle e lo collocò a sedere sopra di lui, entrambi con le gambe coperte dall’impermeabile.
Quando si riaccesero le luci Pino era di nuovo al suo posto con i pantaloncini perfettamente abbottonati. Il vecchio si alzò dandogli un nuovo buffetto sulla guancia: Che ti voglio così tanto bene è un segreto tra di noi, siamo d’accordo?
Salutò con un leggero inchino del capo all’indirizzo delle ragazze e uscì.
Sei un cretino! Disse Cris a suo fratello mentre tornavano a casa. Se ti dico di venire con me devi farlo, adesso lo dico alla mamma!
La mamma si fece dire tutto, ma proprio tutto e anche la Polizia non ebbe dubbi sul fatto che il bambino fosse stato seviziato in un cinema di preti una domenica pomeriggio.
Una pattuglia in borghese si mischiò al pubblico per un po’ di domeniche, finché colsero il vecchio in procinto di molestare una ragazzina e lo arrestarono.
Al bambino un po’ dispiacque, del resto suo padre non c’era mai mentre il vecchio si era preso cura di lui e aveva detto di volergli bene.
Il tempo passa e l’erba cresce.
Andrea aveva da poco fatto la Prima Comunione e frequentava l’oratorio. Inoltre leggeva in chiesa la domenica, così il don lo teneva d’occhio, che fosse un buon cristiano insomma.
Veramente si preoccupava di tutti i suoi ragazzi con la stessa solerzia, per evitare che qualcosa gli potesse sfuggire e qualche mela matura del suo giardino potesse rotolare lontano.
Andrea terminò il suo sincero elenco di peccati e attese. Non riusciva a vedere il prete attraverso i forellini del confessionale, e così non vide la goccia di sudore che stava imperlando la fronte del sacerdote, né la ruga che si accentuava in mezzo agli archi sopracciliari. Lo sentì che si raschiava appena la gola e, infine, una voce roca e lenta come la discesa della pece, lo raggiunse: Figliolo, non devi vergognarti perché quello che provi è normale alla tua età e non è sempre peccato, dipende. Vieni da me in canonica più tardi, che ne parliamo approfonditamente. E ora vai Andrea, ego te absolvo, recita un Pater e due Ave.
Si, don Pino.
Brava! Iltuo racconto mi è piaciuto.
Il ltuo stile è agile e contemporaneo, impreziosito da belle metafore.
Nella prima parte del racconto ci sono pensieri che sembrano slegati gli uni dagli altri ma mi fanno pensare ad associazioni mentali che proviamo giornalmente;
crei ad ogni istante la curiosità di sapere come e dove evolve la storia.
complimenti
Non manca d’ironia e di originalità, questo racconto che ha un percorso triste e un finale agghiacciante. A volte il mondo sa essere così. In bocca al lupo all’autrice!
Roberto
Ancora grazie per il tuo commento.
Il tuo racconto ha una bella tensione che , per fortuna, non affoga nel buonismo finale.
Complimenti e auguri
gabriella
Non è certo facile trattare un argomento così duro e purtroppo sempre attuale con tale agilità, uso di metafore originalie, un linguaggio fluido e contemporaneo e come si è già detto senza cadere nel buonismo ma anzi con una buona dose di cinismo che in questo caso, a parer mio crea una tensione sulla quale riflettere.
Complimenti e continua così.
Francesca
Un tema attuale anche se tristemente periodico nella storia umana, il forte che si impossessa del debole, anzi il meno debole che si approfitta dell’ancor più debole. La solitudine che riconosce il suo simile e lo fa suo. La mancanza è il protagonista di questo racconto, la mancanza di un desiderio nuovo per cui resistere alla “scatola” in cui siamo stati lanciati.