Premio Racconti nella Rete 2024 “Severo e Serena” di Valeria Elena Vallino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024Un po’ di anni fa, Severo, di nome e di fatto, era il vigile più temuto di tutta Como. Era temuto e rispettato anche dai suoi colleghi e faceva tremare le nuove reclute quando le redarguiva, poiché, a suo avviso, si facevano impietosire troppo dalle scuse degli automobilisti negligenti. Placida Cantù, una paffuta e sorridente signora di mezza età, era il comandante di quella stazione dei vigili ed era anche un’ex compagna di scuola di Severo. Placida, conoscendolo da sempre, lo trattava bonariamente, senza prenderlo troppo sul serio.
Un giorno arrivò una giovane vigilessa appena entrata in servizio, piena di buona volontà e nessuna esperienza. “Buongiorno, sono Gaia Borghi”. “Cara, ben arrivata!” le disse Placida con calore e un largo sorriso, “Gli altri colleghi sono tutti già fuori, ma intanto ti presento il collega Frigerio”. Severo le lanciò una rapida occhiata e fece un lieve cenno con la testa, borbottando un “Buongiorno”, che sapeva di temporale. Era di pessimo umore perché si sarebbe dovuto occupare di Gaia. Chiuse la sua agenda, si alzò e invitò Gaia a seguirlo con un gelido “Andiamo!”.
Mentre pedalavano nel centro Severo, come un falco, controllava che ogni auto o furgone parcheggiato avesse il permesso ben esposto ed era già nero perché, dopo venti minuti, non aveva ancora staccato la prima multa della giornata. Gaia lo seguiva e notò che Severo a malapena le rivolgeva la parola.
Verso metà mattina Severo trovò un furgoncino senza permesso e per un attimo fu tutto contento, in due minuti scrisse la multa e la fissò trionfante sotto il tergicristallo. Gaia, vedendolo meno accigliato, ne approfittò per provare ad attaccare bottone e gli chiese qual era il posto in cui era più difficile fare le multe. Negli occhi di Severo passò come un’ombra e rispose a mezza voce “Villa Geno!”. Gaia era perplessa, ma non sapeva che lì, tanti anni prima, Severo, che era un giovane vigile zelante, per l’unica volta in tutta la carriera, non aveva fatto la multa a una ragazza, nonostante questa non avesse pagato il parcheggio.
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In un pomeriggio di marzo, sotto il primo sole tiepido di primavera, un giovane Severo pedalava sul lungolago verso Villa Geno. Tutti sembravano felici di quella bella giornata. In fondo alla passeggiata, poco prima della villa, una ragazza era sdraiata sull’ultima panchina. Si era tolta le scarpe e sembrava stesse dormendo. I capelli biondi, a tratti, erano mossi dalla brezza leggera e, a ogni increspatura del lago, la chioma dorata vibrava. Severo, che aveva lasciato la bici poco prima, passò di fianco alla ragazza osservandola con uno strano mal di pancia e diventò rosso come un peperone quando quella socchiuse gli occhi e lo vide che la stava fissando. Colto alla sprovvista si diede subito un contegno e proseguì impettito. La ragazza lo seguì con lo sguardo e quando si ricordò che non aveva pagato il parcheggio si tirò su come una molla, si infilò veloce le scarpe e corse verso Severo, che, come un radar, aveva già notato il talloncino mancante e stava tirando fuori dalla borsa il blocchetto per le multe e la penna. “Mi scusi, guardi, la macchina è mia, ho scordato di pagare, ma provvedo subito!”. Severo rimase interdetto. Normalmente detestava le scuse dei contravventori e le liquidava ripetendo “Certo, la prossima volta starà più attento”. Severo guardò la ragazza negli occhi e di nuovo sentì il mal di pancia di poco prima. Dato che lui non apriva bocca, la ragazza riprese a parlare “Piacere, Serena”. Severo prese la mano che quella gli offriva e rispose meccanicamente “Piacere Severo”. A sentire quel nome a Serena scappò un sorriso ironico, che lei cercò subito di dissimulare e disse “Via, anche se lei si chiama Severo, sarà clemente con me?”. Severo, che non credeva a se stesso, abbozzò un sorriso sbilenco e disse “Che non succeda più!”.
Da quel giorno aveva rivisto Serena parecchie volte e ogni volta avrebbe voluto fermarsi a parlare con lei, a contare i denti bianchi del suo sorriso, a osservare l’ondeggiare dei suoi capelli al vento, a guardare con lei i battelli passare sull’acqua. Ma Severo non si fermava mai.
In un giorno ventoso, a Como venne varata la riproduzione di un antico vascello a vela. Già mentre la gente saliva a bordo per fare il giro inaugurale, qualche vecchio pescatore aveva guardato con preoccupazione l’acqua increspata e le nuvole troppo veloci nel cielo azzurrissimo. Quel giorno Severo aveva il compito di controllare che nessuno entrasse in macchina sul Lungolago. Quando ormai il vascello era quasi al completo Severo vide arrivare di corsa Serena, la quale lo riconobbe, gli rivolse un sorriso eccitato e gli lanciò un “Buongiorno Severo! Tu non vieni sul vascello?”. Severo avrebbe voluto correre con lei e salire a bordo, ma poté solo dirle, stupito di se stesso “Ora non posso, ma ti aspetterò al ritorno” e lei, con un sorriso, gli disse “Ci conto Severo, a più tardi!” e sparì in mezzo ai turisti, sul vascello che stava infine mollando gli ormeggi. Serena si era innamorata di Severo e tornava sempre sulla stessa panchina, sperando di vederlo passare. Gli lanciava qualche rapida occhiata ma non aveva mai avuto il coraggio di rivolgergli la parola fino a quel giorno. La frase e la stessa voce di Severo nel risponderle, le avevano fatto capire che i suoi sentimenti non erano a senso unico, quindi salì euforica sul vascello e godette della folata che le investì il viso e le sciolse la coda, con la quale aveva fermato i capelli.
L’equipaggio del vascello si dava da fare per regolare le vele, ma fu chiaro fin da subito che il vento era troppo forte e dopo appena due minuti di navigazione, l’atmosfera, tra i passeggeri, era meno allegra e molto più preoccupata. Solo Serena sembrava non farci caso, persa nei suoi pensieri. Tra Como e Blevio le folate si fecero più forti e all’improvviso il vascello si trovò di traverso al vento, il motore d’emergenza non partì al primo colpo e in un attimo il vascello cominciò a imbarcare acqua. Nel panico generale un bambino sfuggì alle braccia di sua madre e cadde nel lago. Serena, che era lì di fianco, non ci pensò un attimo e si butto, raggiungendo subito il bimbo terrorizzato. La corrente era forte, il vascello si allontanava e i vestiti bagnati la tiravano giù, ma Serena in qualche modo riuscì a portare in salvo il bambino, che si aggrappò piangendo forte per lo spavento alle braccia della mamma. Tutti erano commossi dal lieto fine di quella disavventura e nessuno notò che Serena, presa dalla corrente, stava annaspando nel tentativo di avvicinarsi al vascello e portarsi in salvo. Quando si accorsero di lei le lanciarono una cima, ma era troppo corta e Serena non riuscì ad afferrarla. I vestiti erano sempre più pesanti, la corrente la portava sempre più lontano e sempre più giù e in pochi minuti, sotto gli sguardi terrorizzati dei passeggeri sempre più lontani, Serena annegò, con la bocca aperta e lo sguardo al cielo azzurro.
Nel frattempo il vascello si stava piegando sempre di più e l’equipaggio calò velocemente le scialuppe di salvataggio e portò in salvo tutti i turisti. Dalla riva, nello sgomento generale, videro il vascello inabissarsi velocemente e sparire sotto la superficie blu increspata di bianco.
Il giorno dopo i giornali parlavano di tragedia prevedibile, di errore umano, di giovane eroica vittima… Severo non si capacitava del fatto che ciò che era successo fosse reale. Un attimo prima aveva sentito il profumo di Serena che gli passava di fianco correndo e dieci minuti dopo era tutto cancellato, inghiottito dal lago.
Furono ingaggiate squadre di sommozzatori per recuperare il corpo di Serena e anche Severo si immerse, ma nessuno la trovò e dopo due settimane le ricerche furono sospese. Severo invece non smise di immergersi. Ogni giorno, quando finiva il turno di lavoro, si infilava la muta, indossava la maschera, prendeva lo zaino con la bombola e si inabissava sempre più in profondità.
Durante un’immersione, una sera di quasi un anno dopo, Severo per la prima volta credette di vedere qualcosa e rimase quasi paralizzato dall’emozione quando vide Serena nuotargli incontro, con i capelli mossi dalla corrente e il suo sorriso di perla. Serena gli fece cenno di seguirla e Severo la seguì incredulo. In profondità, dove solo la pila gli permetteva di vedere qualcosa, Serena all’improvviso si fermò e gli indicò con la mano la carcassa del vascello, che non era mai stato recuperato. Poco dopo Severo dovette tornare in superficie perché stava finendo l’ossigeno, ma da quel momento tornò tutti i giorni ad immergersi nello stesso punto e tutti i giorni rivedeva Serena e insieme nuotavano e si parlavano con lo sguardo. Ma a Severo non bastava. Lui avrebbe voluto abbracciarla e baciarla, ma quando provava a toccarla, la sua mano incontrava solo acqua e lei lo guardava coi suoi occhioni che si erano fatti, col tempo, malinconici. Finalmente una sera Severo prese una soluzione estrema. Decise di buttarsi nel lago perché voleva annegare anche lui per poter raggiungere Serena e stare per sempre con lei. Ma in quel momento passava un pescatore che stava calando le reti e recuperò Severo, che, portato in salvo, tossì un bel po’ e pianse disperato.
Passato un po’ di tempo Severo volle riprovare a immergersi, ma non trovò più Serena. Un giorno, nel punto in cui la incontrava sempre, una grossa trota iridea nuotava lentamente come se lo stesse aspettando. Incuriosito dallo strano comportamento del pesce, Severo lo seguì e questo lo portò verso il vascello, che era sdraiato sul fondo. Ad un tratto la trota si fermò e poi cominciò a nuotare in tondo. Severo non capiva, poi vide uno zainetto rosso, attaccato con un nodo alla balaustra del vascello. Era ricoperto di alghe ma Severo riconobbe lo zainetto che aveva visto sulla schiena di Serena che correva verso l’imbarco, il giorno in cui era annegata. Lo prese e la trota guizzò via. Tornato in superficie Severo, con mani tremanti, tagliò la tela dello zaino, la cui cerniera era bloccata e trovò un taccuino infilato in una busta di plastica. Serena lo portava sempre con sé perché le piaceva annotare le cose che la colpivano di più e prima di imbarcarsi sul vascello, per timore che si bagnasse, aveva avvolto il taccuino in una busta di plastica ermetica. Severo era incredulo e quella notte non dormì. In quel taccuino Serena aveva annotato tutti i loro incontri, la cronaca dei suoi sentimenti e l’ultimo appunto era relativo alla promessa che Severo le aveva fatto prima dell’imbarco e che lei aveva scritto pochi attimi prima di annegare. Severo pianse tutte le sue lacrime, ma era felice perché finalmente aveva la prova che Serena lo aveva amato.
Da quel giorno Severo non si era mai più immerso, né si era più innamorato e, con l’avanzare dell’età, si era indurito a tal punto da essere diventato il vigile più temuto di tutta Como.
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Gaia intuì che Severo non era sempre stato il vigile burbero che tutti conoscevano. Bevvero un caffè e Gaia cominciò a parlare del motivo per cui aveva deciso di fare la vigilessa e per un attimo fece il nome di sua madre, Serena. Severo, che fino a quel momento aveva ascoltato distrattamente, si raddrizzò sulla sedia e cominciò a osservare Gaia, la quale nel frattempo continuava a parlare “…mia madre era una ragazza madre, sa, e, non so se si ricorda di quell’incidente, venticinque anni fa, in cui morì Serena Borghi…era lei. Io avevo solo tre anni…” Severo non sentiva più niente, guardava Gaia, i suoi capelli biondi nascosti dal cappello, i suoi occhi umidi e i denti di perla. I lineamenti di Severo si fecero all’improvviso più morbidi, gli occhi, asciutti da tanto tempo, gli si riempirono di lacrime e mormorò commosso “Gaia…”.
Da quel giorno Severo diventò il vigile più gentile di tutta Como e si prese cura di Gaia, come se fosse stata sua figlia. Spesso andavano insieme a passeggio e si sedevano sull’ultima panchina, prima di Villa Geno. Nella bella stagione Gaia si levava le scarpe e chiudeva gli occhi, lasciando i capelli sciolti a danzare nella brezza.
Una tessitura tra realtà quotidiana e ricordi, che portano al colpo di scena e alla trasformazione di sé. Complimenti !
Un amore gentile, ma irriducibile, si incontra con una sorta di magia favolistica. L’imprevedibile finale sembra risistemare le regole del destino, che gioca, come sempre, a condurre e determinare le vite degli uomini. L’autrice conduce sapientemente la narrazione con uno stile lessicale sobrio, senza fronzoli decorativi, anche nelle parti più complesse e originali, così da favorire l’indispensabile intesa con il lettore.
Una bella struttura, un racconto che si chiude quasi come una fiaba. Triste e bella. Mi è piaciuto molto l’incontro subacqueo prima con la ragazza, poi con la trota.
Mi permetto di lasciarti delle note personali:
– io forse gli avrei fatto trovare un orecchino, o un qualcosa che fosse appartenuto alla ragazza (il diario ancora leggibile mi sembra un po’ azzardato) e magari farei dire alla ragazza che ricordando la madre aveva trovato un diario in cui si parlava di un uomo (o magari di un vigile?)…
I miei sono ovviamente riflessioni che spero siano recepite come costruttive.
Spero che tu, leggendo i miei scritti, possa trovarne dei suggerimenti per migliorarli.
Bravissima.
Riferisco ciò che il tuo testo mi fa venire in mente solo perché a volte emergono elementi comuni su cui riflettere:
in “Wandering Aengus” di W.B.Y. è la trota che si trasforma in ragazza, stupenda e musicale poesia (ripresa da Donovan e Branduardi).
Poi un racconto di Oliviero Malaspina.
Belli anche i racconti per bambini e quello sulla Versilia.
Torino frequentata parecchio quando ero vecchio, zona via sant’Ottavio. Anch’io, come Morgana, mi ero innamorato di un gigante che si chiamava Giorgio Girard.
Ciao.
La rosa che non colsi… sono gli amori idealizzati e irrealizzati a fare arte e letteratura. Carico di sentimento. Complimenti Valeria.
Mille volte grazie a Marco, Attilio, Fabrizio, Leonardo e Cristina per aver letto il mio racconto, ma soprattutto per i bellissimi commenti.
In risposta a Fabrizio: hai ragione, ho pensato anch’io che la storia del taccuino fosse poco realistica, ma sott’acqua c’è il mondo magico dove lui incontra Serena e il taccuino ancora leggibile fa un po’ parte anche lui della magia;
in risposta a Leonardo: commento densissimo e pieno di interessanti suggestioni (non conoscevo la poesia di Yeats…meravigliosa!). Se ti piace Oliviero Malaspina, forse ti piacerà qualche pezzo di un giovane gruppo valdostano, l’Orage. Ti consiglio Loreley (https://youtu.be/pREVFy-Z9o8?feature=shared). Torino: ho fatto il Classico al Gioberti, di fronte a Palazzo Nuovo e poi proprio lì mi sono laureata in Lingua e letteratura tedesca, ormai secoli fa. In che anni frequentavi?
In risposta a Cristina: Concordo appieno! “…quelle sue cosce color madreperla rimasero forse un fiore non colto…” (De André, Un malato di cuore)