Premio Racconti nella Rete 2024 “La felpa rossa” di Rossella Toscano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024La campanella suona e la frotta di ragazzini corre verso l’entrata. In aula, nessuno ha fretta di disfare gli zaini; la maestra concede sempre una bella manciata di minuti prima di iniziare la lezione, per il sollievo dei soliti ritardatari.
Quando l’ordine è richiesto, ognuno, seduto al proprio posto, sistema il materiale. Anna guarda il banco vuoto accanto al suo e subito Claudia le sussurra da dietro:
«Arriverà alla stessa ora di ieri.»
«Già!»
«E di avantieri e di…»
«Vorrei vedere te a farti a piedi tutta quella strada, con il caldo e con il freddo, sotto la pioggia o…»
«Guarda che lo capisco!»
«Che succede lì?» la voce della maestra interrompe il piccolo diverbio.
Alle nove in punto, Alex entra in classe: apre piano la porta, saluta a bassa voce e avanza, evitando lo sguardo dei compagni che lo osservano mentre recupera libri e quaderni, custoditi nell’armadio in fondo all’aula, e si siede accanto ad Anna. Lei gli indica il numero della pagina su cui stanno lavorando. La lezione prosegue.
«Alex, non hai caldo con quella felpa?» l’insegnante riporta l’attenzione su di lui.
«Sto bene.»
«Ci saranno trenta gradi! Puoi appenderla alla sedia.»
«Sto bene così» insiste, sperando che la maestra lo lasci in pace.
«Come preferisci» dice finalmente lei e disegna un trapezio alla lavagna.
La felpa è rossa come il fuoco che gli brucia nel petto quando i suoi amici lo abbracciano fregandosene della puzza che si porta addosso. La scritta bianca New York City, in rilievo fra le spalle, lo fa sentire importante, nemmeno fosse davvero stato in America, come qualche volta s’inventa per farsi guardare con occhi curiosi.
La felpa era nel cassonetto dove Alex rovista di notte con il fratello e la sorella. Lui ha dodici anni però non li dimostra affatto. Frequenta la quinta elementare perché a otto anni, quando è arrivato in Italia con la sua famiglia, è stato inserito in una prima. È piccolo e secco, ma così secco che non si trova mai niente che gli stia bene addosso. Prima ci pensava la mamma a tagliare e cucire a mano le robe che gli altri buttano via. Lei non c’è più.
“Ti guarda dal cielo!” dicono i grandi. Che cielo e cielo! Esiste la terra sotto i piedi e il freddo che sento d’inverno quando nella roulotte non riesco a prendere caldo nemmeno sepolto sotto dieci coperte che qualche volontario ha raccolto per noi.
Ha pescato lui stesso quella felpa, in equilibrio sul cassonetto aperto, con la pancia premuta forte contro il bordo che teneva stretto con una mano, mentre con l’altra tastava i sacchetti. Qualcuno si è strappato e le dita sono finite tra gli avanzi unti di un pranzo per pance piene: pezzi di carne, verdure molli e scarti di ossi emanavano folate nauseabonde che si infilavano nelle narici. Serrando le labbra, ha respinto conati di vomito e ha continuato a cercare, trattenendo il respiro. A un certo punto ha beccato un sacchetto diverso dagli altri: da un lato, il palmo della mano è affondato e poi risalito su lieve, mentre dall’altro le dita hanno urtato contro qualcosa di rigido. Ha estratto l’involucro di plastica, lo ha strappato come un cane affamato. Dentro, un giubbotto imbottito che si è subito preso suo fratello, un paio di stivaletti perfetti per la sorella, qualche maglione di lana e… sul fondo, quella felpa. Se l’è infilata addosso e non la molla più.
La accarezza, la stringe, qualche volta nasconde il viso sotto il cappuccio che gli arriva sul naso. La abbraccia e si sente più in carne.
Con questa felpa, quando Anna mi guarda, non vede le scapole spigolose, le braccia pelle e ossa e le costole sporgenti. Incontra i miei occhi e magari per un attimo si dimentica che sono uno sfigato.
Sorride al pensiero di lei, dei suoi modi delicati, della gentilezza che si trascina nelle parole, della voce sottile, della finezza nei lineamenti.
La felpa ha una grossa macchia sulla manica sinistra, un groviglio color rame. Dev’essere ruggine. Di tanto in tanto Alex si incanta a fissarla e non si accorge più di quello che succede attorno.
«Peccato per quella macchia!» gli dice Anna. «Si potrebbe nascondere con uno di quegli adesivi che si vendono in merceria. Posso chiedere a mia zia.»
«No! Meno male che c’è questa macchia» si affretta lui, e la guarda aggrottare le sopracciglia.
«Davvero, posso fartela sistemare da mia zia. Sarebbe perfetta con una di quelle toppe adesive. Si incollano passandoci sopra il ferro da stiro e non si tolgono più.»
«Oh, no! È perfetta così questa felpa!»
Quel groviglio rugginoso somiglia ai capelli arruffati di sua madre, raccolti in fretta e tenuti insieme con una matita. Ogni tanto Alex appoggia la faccia su quella macchia, strofina la guancia e, quando nessuno lo vede, la bacia, la annusa come a voler ritrovare l’odore della mamma. Ci crede così intensamente che qualche volta lo sente davvero, e gli occhi diventano lucidi mentre un nodo gli stringe la gola.
Intenso, commovente e coinvolgente.
Brava Rossella!
Grazie, Patrizia!
Tocchi sempre le corde del cuore, persino con una semplice macchia. Complimenti.
Grazie, Anna Rita.
Quando gli oggetti sono più importanti per quello che possono evocare che non per il loro valore. Complimenti, toccante.
Grazie Marco! Mi sono ispirata a un mio alunno, ma solo ispirata, è tutto inventato.
Mi accodo ai commenti degli altri. Molto toccante, complimenti.
Grazie, Fabrizio.