Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “Saverio” di Rita Anna Maria Stella Fantini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Mi aveva chiesto di accompagnarla in Umbria,  perché nel pomeriggio avrebbe avuto delle prove musicali per lo spettacolo della sera. Lei era parte dell’organico di un coro lirico e,  all’imbrunire, la Boheme avrebbe trascinato gli animi nella poesia.

Mi affrettai nell’uscire anticipatamente dal mio lavoro e passai a requisire Tom, il cane di famiglia: un jack russell con degli occhi pieni di buone speranze per tutti noi.

 Quello sguardo lo avrei voluto trovare nell’uomo dei miei desideri: era languido, ma penetrante e pronto ad arrendersi  per amore.

Mi avviluppai in un traffico sequestratore, dove ognuno si organizzava a trascorrere, nel proprio abitacolo, quel tempo alienato, ma tanto comodo per ovattarsi dallo stress. Tutti in fila, a piccoli passi,  verso la meta nichilista del caos.

Raggiunsi Stella fuori da una sala di doppiaggio, perché  attuava un po’ di sano dualismo lavorativo,  alternando la lirica al riversaggio vocale dei film stranieri.

Attesi un po’ il suo arrivo e  quei minuti si tramutarono in un connubio d’amore con Tom: mentre controllavo l’uscita di mia figlia dal portone a specchi, allungavo le labbra lateralmente per baciare quel concentrato d’amore e peli che si lasciava sedurre dai miei baci strapazzanti.

Arrivò come il vento, soffiando nella macchina la sua presenza e si accomodò scansando, senza cortesia, qualsiasi cosa ostacolasse il suo agio.

“ Mamma, sbrigati! Siamo in ritardo e fra meno di 3 ore inizieremo le prove!” mi naccherellò nell’orecchio.

Mi sentivo sempre magnificamente sfruttata, sapevo che mi sarei piegata ad ogni suo volere, protestando si, ma solo per testimoniare la mia esistenza.

2)   

Iniziammo a viaggiare e, mentre mia figlia Stella studiava la partitura ad alta voce e Tom sonnecchiava sul sedile posteriore, mi presi la libertà di meditare per proprio conto, senza rivelare a nessuno i salti di sinapsi dei miei pensieri che a zigzag rallegravano quell’inizio di pomeriggio .

Quelle 3 ore furono facili: fui una madre funzionale e non mi preoccupai d’altro: starle vicino, senza parlarle e pensare ai fatti miei,  per me era un’apoteosi di piacere tenero, discreto. Potevo nascondermi sotto i suoi importanti programmi giornalieri.

Arrivammo nella piazza del paese alle 5 scarse: Agosto regalava una luce bellissima che metteva l’euforia di sapere che di tempo ce ne era veramente tanto, prima che si chiudesse il giorno.

Stella si dileguò senza che avessi la possibilità di chiederle  dove avrei alloggiato per la notte, ma allontanandosi, come un riverbero, mi chiocciò:” Ah, mamma, guarda che ti ho prenotato una stanza in un bel hotel. Io dormirò con i miei colleghi in un altro albergo. Ti mando l’indirizzo dell’hotel e a breve ti dirò dove e a che ora si svolgerà l’evento musicale!” Dopo 5 minuti mi arrivò il tutto e cercai di districarmi fra viuzze medievali e sensi unici per raggiungere,  al più presto,  una doccia che avrebbe dovuto rianimarmi.

Mi persi e m’innervosii, ma giunsi infine alla meta.

La doccia fu rapida,  dopo che  mi accorsi che mancavano sapone e shampoo e, con un po’ d’acqua,  mi rinvenni da quel sopore sottile che mi leccava la testa.

Così essenziale, scesi nella reception e convintami che avrei raggiunto il posto a piedi, chiesi informazioni per la famosa piazza musicale.

Mi sentivo bella, mia e completa di quel tempo vacanziero ed insensato che mi si presentava davanti: regalo inaspettato di una figlia inconsapevole.

  Uscii dalla reception, intontita da una informazione poco chiara,  mi diressi sotto un

pergolato, indecisa sul da farsi.

Arrivasti tu:  vidi da lontano la tua presenza claudicante e mi ricordai di averti intravisto qualche minuto prima, lungo un corridoio della struttura alberghiera, in cui parlavi con un inserviente .

Dondolavi e fendevi l’aria quasi a spostarla e mi ricordasti il pendolo dell’orologio a muro di mio zio,  che andava avanti ed indietro senza sosta.

3) 

Ti venni incontro in cerca di una ulteriore spiegazione sul luogo che dovevo raggiungere e  magicamente ti offristi ad accompagnarmi: lavoravi presso una galleria d’arte, venivi da fuori ed eri ospite, presso il mio stesso hotel, del proprietario della piccola pinacoteca che dovevi raggiungere . Stava  in prossimità della piazza dove si sarebbe svolto l’evento  e aggiungesti che avresti lavorato fino a tardi.

Caricasti nella tua  macchina anche il mio cane,  che spandeva peli ovunque, ed il trasportino dell’adorata bestiola,  perché il “peloso” era reduce da un intervento alla schiena.

Il nostro viaggio durò 7, 8 minuti, fosti loquace e comunicativo al limite del confidenziale, rivelandomi delle faccende private di un tuo amico.

Mi venne voglia di rivederti perché eri un uomo che parlava al femminile.  Si,  avevo avuto la dolce sensazione di parlare con una donna molto virile.

Tu, però, mi scaricasti come un sacco umano di cui ti volevi liberare per proseguire il tuo lavoro. Rassegnata, pensai che la mia età non mi permetteva più di sperare in disinvolti approcci amorosi e che la trasparenza, in questo caso,  non riguardava una qualità dell’anima, ma una distrazione crudele, di sguardi maschili, al mio passaggio.

Mi ripresi in un batter d’occhio: quel residuo di giornata tutta per me non la dovevo sprecare e, con cane e trasportino a seguito, mi diressi in cerca di un buon caffè e tante visioni inutili e fragranti con cui riempire quel tempo prima dello spettacolo.

Ogni tanto mi venisti in mente: tu, uomo sbilenco, con tutto quel fascino sbrigativo e mi meravigliavo nel pensare che, quel qualcosa che non funzionava perfettamente nel tuo corpo, non era un ostacolo per me.

Erano diversi anni che non mi piaceva un uomo e pensavo di aver perso irrimediabilmente quel gridolino interno,  pieno di voluttuosità ed erotismo,  all’apparire di un maschio.

Stentavo a confessarmi che tutto questo si era risvegliato con te: un uomo che mi prefigurava  un ipotetico rapporto interpersonale  difficile da gestire.

Feci uno sbuffo risolutorio di non curanza e ripresi a giocare con quella giornata che ormai stava spegnendo la sua luce.

Alle 8 di sera mi ritrovai conquistata da tutta quella gente che cominciava ad affluire in quell’immensa piazza piena di Boheme.

Stella mi omaggiò di un biglietto e presi posto, con accanto il sacro cane.

4)

Dopo tre ore di spettacolo ne uscimmo assiderati: il clima cambiò repentinamente e fummo colti da un freddo che mi fece desiderare di tornare presto in hotel.

Aspettai di rivedere mia figlia per l’agognato passaggio, ma “la fanciulla”, saputo che vi era stato un signore che si era offerto nell’accompagnarmi all’evento e che stava a due passi da lì, pensò bene di sollecitarmi a verificare se la galleria d’arte fosse stata ancora aperta e, dopo una rapida sbirciatina assertiva in direzione,a richiedergli il passaggio di ritorno. Piccolo particolare:  lui alloggiava nel mio stesso hotel e lei, scaricata l’”anziana madre”, avrebbe raggiunto i suoi amici a cena.

Stella, quindi, mi mandò allo sbaraglio e confesso che, grazie a lei, caddero quei soffici pudori che m’impedivano di essere una donna anche alla mia età.

Stavi fuori della galleria e   parlavi con un tizio mentre tutto intorno a te si dissolveva: pezzi di scene teatrali che evaporavano insieme a  tanta umanità rincasata. Mi ti piantai davanti e  ti chiesi nuovamente un passaggio.

Mi rispondesti gentilmente, offrendoti per il passaggio, ma trovai un tantino insolente, ma anche divertente, la tua susseguente proposta di cenare con te :” L’accompagno se cenerà con me: ci sono dei distributori di merendine in albergo.”

Si amplificò un risveglio istantaneo di quella femmina selvaggia che ero stata un tempo.

Cominciai a muovermi veloce verso la tua macchina, nel buio di quella notte, così veloce da distanziare volutamente la tua andatura, rivelatrice di ipotetici e futuri problemi  fra me e te.

Si, perché un po’, quel tuo camminare, complicava quella inafferrabile ed inattesa beatitudine che mi stavi regalando.

Entrammo in macchina e dai tuoi discorsi ricordai che tu parlavi al femminile: che gioia per un cervello abituato ad assecondare i racconti ottusi ed unilaterali di certi uomini!

Arrivammo in hotel, c’era un silenzio tombale e, dopo aver sbancato il distributore delle merendine,  ci sedemmo sotto il  pergolato a ridosso dell’hotel e tutto il mondo scomparve: parlammo ore senza ricordare cosa fosse  il tempo.

I tuoi occhi bruciavano in quella oscurità naturale, dove tutta la natura intorno aveva orchestrato un baccanale infinito di sguardi vogliosi.

5)

Quello che credevo fosse ormai da ricercare in libri di poesia d’amore, si stava spogliando e svelando davanti ai miei occhi? C’era una nudità di anime che sconvolse tutte quelle fastidiose impalcature di rinforzo della mia mente vecchia  e razionale.

Fui tua in un amplesso di pensieri segreti e andammo oltre l’erotismo,  senza sfiorarci con un dito.

Tu fosti mio senza passato e futuro e quel presente mi divorò la mente.                                                                                                                                                               Fui vinta: mi arresi a tutto quello che mi stavi donando.

 All’improvviso mi volli svegliare per paura e,  con pudore,  ti dissi che era ora di andare a dormire, anche perché non ricordavo cosa avrebbe dovuto fare una donna abituata ad essere una donna.

Volesti darmi il numero del  tuo cellulare, ma io risposi dandoti il mio, nella speranza che avessi fatto tu la prima mossa.

Appena giunta in camera, mi arrivò  un messaggio ammiccante, ma feci finta di niente: ti risposi laconicamente e con un ritardo che sapeva di disinteresse, anche se il cuore aveva cominciato a galoppare.

Il giorno dopo ripartii per Roma, ma tu fosti avaro di ulteriori messaggi: pensai che la tua difficile vita ti aveva insegnato a non fare passi falsi con una donna.

Il tempo che seguì servì per innamorarmi di te, per telefonarti con una scusa e tentare oltre il possibile di trattenerti, in una qualsiasi maniera.

Abitavi in un’altra città e  fu splendido passare giornate intere al telefono con te ed aspettare la sera per ritelefonarci e rimanere 3 o 4 ore a parlare senza che le parole fossero parole, ma mezzi per raggiungerci. Ogni tanto , però avevo la sensazione, che eri disposto, con disinvoltura, a sparire senza un perché e a farmi soffrire come a quindici anni.

Da quella  prima volta ci vedemmo solo in un’altra occasione: ti raggiunsi e passammo una notte a ridere e ad annusarci, per scoprire all’alba che non ci sarebbe mai più stata un’altra sovrana volta. Sapevo che a breve mi avresti cacciato a malo modo da quella tana piena di trofei.

T’immaginai  ululare alla luna, contento di avere, nella tana, una nuova preda. Si, per te, era importante leccarti le zampe che avevano toccato le mie carni lacerate e sai perché? Perché eri un perverso e carismatico seduttore, nonostante quell’impedimento fisico, pronto a farmi espiare le pesanti crocifissioni che avevi dovuto stazionare in giro per la tua vita.

6)

Lo capii troppo tardi, ero già avvelenata e cominciai a vomitarti e a desiderare, subito dopo,  che riapparissi. Non fu facile perché la prima immagine di te non voleva cancellarsi, quell’immagine che mi aveva rapito.                                                                                                                                                                 

Decisi di andarmene e di non girarmi più indietro e di indossare definitivamente le vesti della signora con un gran passato,  pieno di rimembranze.

Provasti a chiamarmi ed io non risposi  dilaniandomi il cervello. C’era poco da scherzare con te: la tua vita passata ti aveva reso inafferrabile e crudele.                                                 

Si, fosti tanto crudele e senza un motivo.

 A fatica rientrai in quella noiosa, ma concreta serenità che mi ero imbastita da anni.

Ci volle un po’, ma ci riuscii: decisi di dimenticarti. I grandi dolori passati mi aveva indicato la strada da percorrere in certe occasioni.

Fosti un idiota e mi raccontai che te ne saresti pentito di aver perso tutto quel bellissimo nutrimento d’amore che ti davo  e forse avresti anche pianto, sempre se le tue lacrime fossero  state lacrime.

Ciao Saverio, non resterai neanche un bel ricordo.

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1 commento »

  1. Racconto di una disullusione amorosa in un momento delicato della vita, nel quale forse si è più vulnerabili. Scrittura vivace e “pittorica”, personaggi ben delineati, ma senza cadere nella mera descrizione. Anche l’argomento del diverso è affrontato efficacemente, facendoci scoprire che, a volte, può riservare brutte sorprese. Complimenti.

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