Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “Le streghe di Mabul” di Francesca Bigi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Una zanzara si era posata in cerca di sosta sull’alluce di Zahara. La piccola mano si mosse veloce con l’intenzione di scacciare l’ospite indesiderato. Cominciò poi a grattare la pelle su cui si stava già delineando un punto rosso. 

Nonostante l’ora di cena fosse ormai passata, il sole arancione bruciava ancora sui suoi piedi.

Il mare che si intravedeva sotto le assi di legno disposte di fronte casa era calmo. E la poca luce che illuminava l’isola, permetteva a Zahara di scorgere le stelle marine di colore blu adagiate sul fondo della sabbia.

Alcuni bambini e le loro ombre correvano sulle palafitte tremolanti che si articolavano lungo la costa. Un vasto reticolo che univa le numerose capanne del villaggio di Zahara.

Non c’era traccia di adulti. A quell’ora gli uomini erano ancora per mare, mentre le donne si riparavano all’ombra per intrecciare collane adorne di ciondoli ricavati da conchiglie e gusci di cocco, da mettere da parte per il mese successivo.

A giugno erano terminati i lavori per la costruzione di un piccolo complesso di case di legno che sarebbe servito ad ospitare i primi turisti dell’isola. Turista. Zahara non ne aveva mai visto uno. In realtà, aveva imparato quella parola solo l’anno precedente.

In tutta l’isola non si parlava d’altro. Da tempo quell’angolo salmastro di terra aveva visto intensificarsi le visite di misteriosi cinesi venuti, secondo la sua inni? (nonna in Bajau), dalle terre lontane della grande isola.

Qualcuno mormorava persino che sarebbero arrivate a Mabul le auto. Zahara, per quanto riguardava le automobili, si sentiva più preparata. Grazie ad alcuni modellini che il suo amico Nurul le aveva mostrato, sapeva quantomeno come erano fatte.

La piccola si sollevò dal gradino di legno aiutandosi con le mani e si avviò verso la casa di Jamilah, una compagna di giochi che abitava non troppo distante. Lungo il cammino, di fronte ad una capanna, udì alcune donne discutere della nascita di un bambino nel vicino villaggio di Kampung Musu.

“Ora siamo quattrocentotrè” rifletté Zahara. Teneva conto del numero di bambini presenti sull’isola, anche se non era più tanto sicura della precisione del suo conteggio. La Amaun di Yusuf aveva spiegato una volta che a Kota Kinabalu, una delle città più grandi del paese, vivevano ben due milioni di persone.

“Quante persone ci sono a Mabul?” chiese Zahara ad Amaun, ma la donna non seppe rispondere, vedendo nella espressione della bambina una delusione profonda. Entrambe convennero che fosse ingiusto che nessuno si fosse mai preso la briga di contarle. Decisero quindi di avviare un piccolo censimento, coinvolgendo gli altri bambini del gruppo. Solo quelli che sapevano contare però.

Scoprirono così che le persone che abitavano a Mabul erano circa millecento. Non era un compito facile tenere il conto. Ogni settimana, nuovi arrivati giungevano a bordo di fatiscenti barchini dal sud delle Filippine, mentre altri lasciavano l’isola senza troppi saluti, alla ricerca di fortuna lungo la costa, dove i turisti avevano già cominciato ad arrivare anni prima.

Ma Zahara, non senza fatica, durante l’ultimo anno si era dedicata a mantenere il conto almeno dei bambini.

Quattrocentotrè.

La piccola distolse lo sguardo pensieroso dal gruppo di donne intento a parlare e ad intrecciare chincaglierie e proseguì lungo le palafitte che l’avrebbero portata a casa dell’amica.

Sperava di trovarla lì e di non dover tornare nella sua capanna.

Tre giorni prima, uno tsunami proveniente dall’est aveva portato una violenta tempesta sull’isola.

Alcune capanne erano crollate a causa del forte vento, e le famiglie che vi vivevano, come era consueto fare in quei casi, si erano trasferite temporaneamente dai vicini. A Zahara era toccata la famiglia di Yusuf. A nulla erano servite le proteste di Zahara rivolte sia alla madre che alla sua inni’.

“Un giorno troverò la principessa Johor, e allora potrò andare via,” il pensiero prendeva forma nella mente della piccola mentre i suoi piedi evitavano abilmente le assi di legno rovinate o i punti dove erano mancanti del tutto. La luce del giorno stava rapidamente svanendo, così decise di accelerare il passo.

La sua inni’ le aveva raccontato molte volte la storia del popolo dei Bajau. Migliaia di anni prima, una potente tempesta aveva causato un’alluvione che aveva portato lontano da casa la principessa. Il Sultano, disperato per la perdita della figlia, aveva ordinato al suo popolo di salpare per mare e di non fare ritorno finché non avessero trovato la principessa.

Così i Bajau erano diventati nomadi di mare. Forse, rifletteva Zahara, era proprio a causa di quell’antico insuccesso che nessuno si prendeva la briga di contarli.

I suoi pensieri tornarono a Yusuf. Era un mostro, un mostro di origini cinesi. Tirava i capelli a Zahara e si rivolgeva a lei chiamandola strega. L’ultimo episodio risaliva a qualche settimana prima, quando Yusuf le aveva rubato una piccola macchina gialla, un regalo dell’amico Nurul.

La bambina non sapeva molto sulle streghe. Non ne aveva mai vista una, né di persona né sui libri. La sua inni’ diceva che non esistevano. Yusuf sosteneva invece che ce ne fossero ben tre a Mabul.

Una sicuramente era Fatimah, la donna anziana che abitava in una capanna piena di oggetti strani, di cui Zahara non conosceva il nome, e dove si recavano gli abitanti di Mabul quando stavano molto male.

Le streghe di Mabul sono tre, ma nessuno sa quanti sono i bambini di Mabul.

Arrivata davanti alla casa dell’amica, Zahara salì barcollando le scalette di legno per evitare di cadere. Il buio era quasi completo.

Ancor prima di bussare, sentì un urlo provenire dalla sua destra.

Spaventata, si accorse che qualcuno stava correndo dietro di lei. Era l’amica, ma non sembrava sorpresa dalla sua presenza.

Zahara le chiese dove stesse correndo. Jamilah spiegò che stava giocando a nascondino con altri bambini, e continuò per la sua strada senza curarsi delle parole dell’amica che le chiedeva di fermarsi e se avesse sentito anche lei l’urlo.

Zahara vide la sagoma dell’amica sparire nel buio.

Indecisa sul da farsi, cominciò a camminare verso la direzione dell’urlo, lungo una palafitta che portava verso il mare. Dopo pochi minuti, lasciò alle spalle l’ultima capanna che fiancheggiava il percorso.

Il vento proveniente da ovest le scompigliava i capelli, rendendo ancora più faticoso avanzare.

Poco dopo, si voltò rendendosi conto di essere sola in mezzo al mare. Sotto le assi di legno, le onde si erano fatte più forti, facendo oscillare pericolosamente la struttura sorretta da travi ammuffite. Stava per tornare sui suoi passi quando sentì qualcuno mugugnare dietro di lei, proprio dove doveva trovarsi la fine della palafitta.

Avvicinandosi alla figura accucciata per terra, Zahara capì che si trattava di Yusuf. Il bambino era accasciato su sé stesso, e una gamba scompariva quasi completamente in un punto dove non troppo tempo prima doveva trovarsi un’asse di legno.

Dall’attaccatura della coscia sembrava uscire un liquido scuro, probabilmente sangue.

Zahara capì che Yusuf si era accorto della sua presenza.

Zahara sapeva di dover fare qualcosa, ma le sembrava impossibile distogliere lo sguardo da quell’immagine. Il piccolo cinese cominciò a farfugliare qualcosa nella sua lingua natia. Il tono tradiva un pianto. Zahara continuò a rimanere immobile.

Il suo sguardo vagò verso l’orizzonte che, a causa del buio pesto, poteva solo immaginare di stagliarsi di fronte a lei.

Da qualche parte, lì, nel mare, doveva trovarsi la principessa Johor. O forse non era mai esistita neppure lei.

D’improvviso, Jamilah apparve alle spalle di Zahara. Vedendo le condizioni di Yusuf, alla bambina sfuggì un piccolo urlo, e subito cominciò a correre in cerca di aiuto.

 Dopo circa dieci minuti, la palafitta iniziò ad ondulare sempre più forte. Le persone cominciavano ad arrivare, ma la notte impediva loro di essere veloci.

Quando il gruppo di adulti raggiunse il luogo dove Yusuf era caduto incastrandosi tra le travi di legno, di Zahara non vi era traccia.

Durante le ore successive, la piccola venne cercata da un numero sempre più crescente di persone, fino a quando nelle prime ore della mattina, un pescatore arrivò urlando sulla spiaggia vicina per avvertire di aver trovato la bambina.

Zahara si trovava sul bordo di una vecchia palafitta in disuso, ormai quasi completamente crollata. I suoi piccoli piedi erano immersi nell’acqua fredda mentre, calma, teneva lo sguardo basso.

Le persone si avvicinarono di corsa alla bambina, molti sollevati, altri con un’espressione amareggiata per aver perso una notte di sonno per nulla.

La inni’ di Zahara si avvicinò per accarezzarle il volto ancora basso. Zahara alzò lo sguardo e la osservò intensamente, tenendo in mano la piccola macchina gialla.

Poi, con grande serietà, le disse: “Sai, inni’, a Mabul abitano quattro streghe”.

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