Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “Armenia 2024” di Diego Riva

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

I corpi dei 2 uomini del villaggio giacevano nel prato di fronte alla casa da cui li avevano stanati a colpi di bombe a mano. Il terzo, con la faccia resa irriconoscibile dai colpi di mitra sparatigli da pochi metri quando era già agonizzante, era riverso a terra sulla strada battuta. I primi soldati della squadra, passandogli vicino, lo avevano preso a calci e lo scempio del torace e del viso lo avevano ridotto a un fagotto di sangue e ossa.  “ Capo, lo buttiamo nel prato con gli altri ? “ avevano grugnito “ altrimenti se passa un auto lo fa a pezzi “ continuarono ridacchiando , come se il cadavere non fosse già abbastanza sfigurato.  “ Lasciatelo lì! Se lo vogliono, lo verranno a prendere le donne della casa !” 

Il drappello dei miliziani aveva proseguito sulla strada per rientrare all’accampamento. Si erano allontanati di pochi metri che una donna, minuta, vestita di scuro, uscì a piccoli passi dal retro della casa e si guardò intorno; non disse una parola, non emise un lamento e si inginocchiò sulla strada sterrata accanto all’uomo sfigurato. Gli accarezzò dolcemente la nuca, l’unica parte della testa rimasta intatta, e gli tracciò un segno di croce tra i capelli. Osman, l’ultimo della squadra, era restato immobile a guardarla:“ Se vuoi, puoi fartela”  gli urlò il comandante. girandosi verso di lui “ E’ il tuo turno, un po’ di gloria anche per te!” La donna, che aveva compreso benissimo il senso delle parole del comandante, si voltò e lo fissò: non vi erano rabbia né pianto sul suo viso, ma una espressione fiera, che tradiva, pur nella tragedia che la stava travolgendo, una impensabile forza d’animo.

Osman restò impietrito, e un accenno di sorriso, quasi istintivo, gli attraversò il viso: la donna fece un cenno appena percettibile di saluto o forse di ringraziamento per non essere stata aggredita, e rientrò nella casa. Ne uscì dopo un attimo con una coperta, con cui coprì il suo uomo, e con un rosario, che gli pose tra le mani maciullate. Poteva sembrare un gesto di sfida verso i miliziani, ma il suo aspetto, come il suo sguardo, lasciava trapelare una certezza che andava oltre la vita sua e di quegli uomini massacrati. In quel momento a Osman, colpito da quei gesti, parve di rivedere il volto della madre: “ Perché vuoi tornare a casa per andare a combattere ? In Armenia poi? Una faccenda che non ti riguarda affatto. Siamo qui in Romania da cinque anni e stiamo bene. Cosa ti manca ? “ Le discussioni si erano protratte per un po’ di giorni “  Ma non vedi come ci trattano qui ? Noi azeri siamo come schiavi per loro ! Non saremo mai come gli altri ! Per noi non c’è spazio qui, non c’è speranza di avere quello che hanno tutti! Devo darmi da fare, dimostrare quello che valgo, e poi tornare a casa da vincitore.

Allora vedrai come cambieranno le cose ! “Il comandante era tornato a gracchiare: “  Ehi  ragazzi, ce ne deve essere un altro che è ferito, ma è riuscito a scappare nel bosco, là, alla vostra sinistra. Lo voglio secco anche quello!  Occupatevene voi due! “  L’ordine era rivolto a lui e a  Mohammed , gli ultimi della colonna. Si guardarono senza entusiasmo. “Osman, te lo lascio, è tutto tuo” sghignazzò Mohammed “ ma mi raccomando: portaci la sua giacca insanguinata , non come l’ultima volta ! “.  “ Molto strano” pensò Osman: “come mai quel mostro gli lasciava questo onore ? Dovrà andare a farsi una bevuta, oppure andrà dal capitano a reclamare qualche permesso, o a sparlare di qualcuno di noi. Poi perché lasciarlo a lui, il più imbranato del gruppo? Quale onore? Che merito ci poteva essere a finire a mitragliate un uomo già ferito? Eppure doveva farcela, per la prima volta doveva uccidere veramente; era venuto per combattere e per vincere, e per vincere bisognava uccidere!  La faccenda della giacca si riferiva all’azione di tre giorni prima: Osman aveva inseguito un ragazzo cristiano, anche quello già ferito. L’aveva raggiunto facilmente: l’uomo strisciava per terra, con la gamba destra sanguinante, ma non se l’era sentita di spaccargli la testa, aveva sparato due colpi in aria e l’aveva lasciato lì. Difficile che potesse cavarsela, ma almeno non l’aveva massacrato come avrebbero fatto i suoi compagni.

Aveva dichiarato al comandante di averlo ucciso, ma qualcuno doveva aver visto e parlato: “ Ehi, Osman, chi l’avrebbe detto: il tuo uomo è ancora vivo, è risorto ! Un miracolo! “. Anche quel pomeriggio, all’inizio dell’azione contro il villaggio dei cristiani, per la tensione gli era partito accidentalmente un colpo che aveva mandato a vuoto il fattore sorpresa: i 3 uomini asserragliati nella casa si erano difesi con le poche armi che avevano a disposizione, sparando contro i soldati della squadriglia che si avvicinavano strisciando. Mohammed e gli altri l’avevano sbeffeggiato: “ Bravo Osman, dagli un colpo di telefono la prossima volta, così si preparano meglio!”      Si avvicinò al bosco, imbracciò il mitra e sparò una lunga sventagliata verso il folto degli alberi. Sentì subito un grido di dolore sordo, soffocato. “ Ah l’ho già beccato! “ gongolò. Tirò una seconda raffica, “per sicurezza” e di nuovo udì un mezzo grido. Poteva già riavviarsi al campo, soddisfatto. Fatti pochi passi però si fermò: “ Come faccio a dimostrare che l’ho ammazzato ? Stavolta se non porto al capo la sua giacca non mi crederà nessuno, figuriamoci ! “ Doveva andare a prenderlo, portare all’accampamento la prova che l’aveva veramente ucciso , dimostrare a tutti che era un combattente vero, non un pauroso. Entrò nel bosco, facendosi largo tra i tronchi e le sterpaglie, che lo superavano in altezza di almeno una spanna.

La luce del tramonto cominciava a scarseggiare, c’erano molte ombre, e le file diritte degli alberi più alti creavano un gioco cangiante di ombre, come di spettri. Osman avanzava con difficoltà, avvertiva un brivido di freddo e di paura, anche se sapeva che l’uomo era ferito, forse già morto. Ma c’era da credere a quel grido? Non era stato tutto troppo facile? Fatti alcuni passi gli sembrò di sentire un fruscio alle sue spalle: si girò, strinse più forte il mitra, ma non vide nessuno. La paura stava prendendo il sopravvento, ma non poteva fuggire, rientrare al campo così! Coraggio, il più era fatto, presto avrebbe trovato l’uomo agonizzante a terra e avrebbe avuto il suo successo, il suo momento di gloria, la sua rivincita. Il secondo fruscio non gli lasciò il tempo di girarsi: l’uomo, balzato fuori alle sue spalle, gli affondò il coltello nella carne squarciandogli il fianco. Riuscì solo a lasciar partire una mitragliata disperata verso l’alto, verso quel cielo rosso per il sole che stava tramontando, e crollò a terra. Allungò il braccio verso la ferita e si inzuppò la mano nel sangue caldo che usciva a fiotti dal fianco aperto.

Le forze se ne andavano rapidamente. “ Ecco perché quel cane di Mohammed gli aveva lasciato il compito, sapeva come sarebbe andata!”  Per lui era finita, la sua guerra personale terminava lì: non sarebbe tornato a casa da vincitore, non avrebbe più visto nessuno: la madre, il fratello, gli amici. Guardò disperato verso l’alto in cerca di qualcosa, di qualcuno che potesse aiutarlo. Si rivolse agli ultimi raggi del sole che filtravano a fatica tra le foglie, tentando di tenere gli occhi fissi sul grande disco giallo, che svaniva insieme alla sua vita. Cercò nella sua memoria una preghiera: ma a chi poteva mai rivolgersi, forse al Dio di sua madre, o piuttosto a quello della donna cristiana? C’era almeno una lontana possibilità che in quell’attimo supremo qualcuno potesse ascoltarlo? Fu allora che vide apparire tra le lacrime, in mezzo a quella luce calda, qualcosa di inatteso, un volto, a cui non sapeva dare un nome, ma che in quel momento gli apparve come uno sguardo di pietà, come un ultimo, paterno abbraccio.      

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