Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “L’avventura di uno studente” di Marcello Luberti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Un altro giorno di sacrifici, pensò Valerio Morganti svegliandosi in un bagno di sudore a causa delle troppe coperte che si era tirato addosso per il freddo. In quella casa, di accendere la stufa non se ne parlava. I due nonni dell’appartamento dovevano risparmiare anche cento lire su quanto le famiglie inviavano dal Salento. La doccia, poi, era un oggetto del desiderio.

Pioveva dalla notte, un tic-e-tic deprimente e alle sette e mezzo non si vedeva uno spiraglio di luce. Cercopitex Maior e Cercopitex Minor ancora dormivano, come facessero con quel freddo, non si sa.

Fece colazione da solo nel triste cucinino, non poteva di certo permettersi il lusso di andare al bar.

La lezione all’università era fissata per le undici, aveva un po’ di tempo per completare il ripasso di Contabilità Economica Nazionale, un esame in cui poi fu bocciato, lui studente quasi modello.  

Il freddo attanagliava la stanza. Chiazze di umidità e muffa lambivano la finestra che dava sulla colonna interna di un palazzo medioevale non lontano dal Duomo.

Trascorsa un’ora intirizzito a studiare, attendeva il momento per uscire.

Giusto per ingannare il tempo, si mise a trafficare con la radio, che accendeva solo la sera per ascoltare le radio libere.

Edizione straordinaria: In un agguato questa mattina a Roma è stato sequestrato il Presidente della Democrazia Cristiana Onorevole Aldo Moro. Ammazzati i cinque uomini della scorta.

«Evvai!» disse Valerio senza ragionare.

Si mise a girare per casa saltellando, eccitato. Provò a spiegare la questione ai cercopitechi, ma non condividevano la sua esaltazione: Aldo Moro, in fondo, era uno delle loro parti, dove erano nati e dove, laureati in dieci anni o più, sarebbero tornati.

Uscì in fretta, doveva parlare con qualcuno. Finalmente aveva smesso di piovere. Per le vie del centro storico non c’era molta gente, nessuno ancora sapeva.

Arrivato nel vecchio convento di San Francesco, andò di corsa nello studio del professore di diritto dell’economia.

«Marco, hanno rapito Moro!» disse tutto sorridente.

«O’ bischero, o’ che tu dici, ma non dire cazzate» replicò Marco Bardini col suo modo di fare tanto apprezzato dagli studenti.

«Giuro, ho ascoltato un’ora fa il giornale radio. Andiamo da Ugo, o in Presidenza, e vedrai»

Andarono in segreteria di Presidenza, Marco ebbe addirittura l’onore di parlare con Eva Kant in persona.

Sì, era tutto vero, confermò la giovane e avvenente preside di facoltà.

Nei corridoi dell’università stava crescendo il via vai di gente. Il personale era in apprensione, alla ricerca di direttive sul che fare.

Bardini si rabbuiò, accese una sigaretta.

«Valerio, è un bel casino, te fai presto a ridere. Sono state le Brigate Rosse, hanno fatto un comunicato con la rivendicazione, ora sono cazzi»

«Le Brigate Rosse … che organizzazione. Sono dei pazzi, ma penso che abbiano la simpatia di tanti» disse Valerio, sapendo di parlare a un amico fidato.

«Detto da te, un berlingueriano di stretta osservanza, ma sei matto? Un arido economista stock-e-flussi come te, che odia gli estremisti, stai sempre a criticarmi per il mio passato in Avanguardia Operaia e ora solidarizzi con le BR? Proprio non ti capisco»

«Hai ragione, ma rifletti. Dopo il mancato sorpasso del PCI alle elezioni, dopo i casini dell’anno scorso a Bologna e nel Paese, abbiamo perso lo smalto, il tempo giusto, ma soprattutto siamo isolati. C’è un anticomunismo che si taglia a fette, anche a sinistra, mica è solo Craxi. Berlinguer non sa più che inventarsi per realizzare il compromesso storico. Oggi il Partito voterà a favore di un monocolore Andreotti, dove saremo trattati come questuanti in sala d’aspetto, una bella fine per il partito di Gramsci-Togliatti-Longo-Berlinguer, non trovi?»

Aveva appena terminato le sue suggestive interpretazioni, ché entrò Ugo il capo dei bidelli, sbraitando che la Facoltà stava chiudendo.

«Sciopero generale! La democrazia è in pericolo! Usciamo, usciamo!»

Seguì il flusso di persone che abbandonavano San Francesco. Valerio vedeva la paura negli occhi della gente per strada.

Incontrò Luigi il giornalaio, anche lui un compagno del PCI. Era in fibrillazione. Disse che si parlava di un colpo di stato da parte dei servizi segreti in reazione all’attacco terroristico delle Brigate Rosse. Ricordò il tentativo del Piano Solo messo in atto dal SIFAR di De Lorenzo.

Sentì l’euforia scemare poco alla volta.

Passando sotto l’arco di Via dei Rossi, raggiunse i Banchi di Sopra, c’era gran confusione in Piazza Tolomei. Un blindato dei carabinieri era parcheggiato di traverso con diversi militari in tenuta anti-sommossa. Si sentivano echi di altoparlanti da Piazza Salimbeni.

Avvertì una fitta all’altezza dello sterno, e poi un giramento di testa. Si dovette appoggiare a un muro per riprendere fiato. Decise di andare alle Tre Donzelle da Giustino, lo studente quarantenne di Chieti, la sua guida spirituale nell’esilio senese.

Lo trovò nell’atrio del buio e fetido alberghetto alle spalle di Piazza del Campo, sprofondato in una poltroncina dal rivestimento porpora a brandelli, che fumava e leggeva l’Unità, gli occhiali spessi, con indosso l’immancabile loden verde scuro.

Lo studente anziano si alzò con fare preoccupato, l’inconfondibile voce roca: «Hai visto che hanno combinato? Daje e daje la cipolla diventa aglio»

La campagna di odio contro il regime democristiano, il capitalismo, i padroni, lo sfruttamento dei lavoratori, aveva alla fine partorito i suoi frutti, intendeva Giustino con un proverbio della loro terra.

«Hanno inquadrato l’obiettivo grosso, hanno preso l’interlocutore di Berlinguer per il compromesso storico»

Giustino raccontava da qualche mese, ossessivamente, di un viaggio di Giorgio Napolitano nelle università USA per far conoscere l’Eurocomunismo. In una di quelle conferenze aveva incontrato Edoardo Agnelli, figlio dell’Avvocato e, lui riferiva, lo aveva salutato calorosamente congedandosi con un “Saluti a papà”. Il suo commento sull’aneddoto era: “Valè, questo qui è pericoloso!”.

«E ora che succede?» gli domandò lo studente angosciato.

«Vogliono mettere in ginocchio lo Stato, ridicolizzarlo. Ci sarà prima una reazione dei fascisti. I servizi deviati, vedrai, saranno legittimati a porre fine a tutto questo casino. Uno stato di polizia che verrà accettato da gran parte della popolazione. E noi saremo i primi a inabissarci, siamo tutti schedati noi comunisti, lo sai?»

A sentire quelle parole, Valerio cominciò a sudare. Giustino si accorse di qualcosa che non andava.

«Intendi dire che dovremmo fuggire, andare sulle montagne? Che bisogna fare, dimmi», sentiva il cuore accelerare.

«Che hai, non ti agitare, per ora non succede niente. Mettiti seduto. Vedrai, prima o poi li prenderanno. Speriamo che non ammazzino Moro, questo non lo si può augurare nemmeno al peggior nemico, non credi?»

Gli girava la testa. Aveva le palpitazioni.

«Giustì, sento che mi manca il respiro …»

***

Lo studente riaprì gli occhi disteso su una barella nel pronto soccorso di Santa Maria della Scala.

Il fido Giustino era fuori dell’astanteria. Parlò con il medico di guardia: niente di allarmante, un attacco di panico, associato a uno svenimento, però. “Il giovane sta bene, ma va seguito”. Prescrisse un farmaco e una visita cardiologica.

«Meno male che c’eri tu, grazie» gli disse mentre un bel sole illuminava il portale del Duomo, quegli scacchi bianchi e neri risaltavano più che mai.

«Sei andato giù come un sacco di patate, mi sono preoccupato, non rinvenivi e ho chiamato i soccorsi», disse mentre accendeva l’ennesima Marlboro.

«Che è successo? Ci sono segnali di un colpo di stato? Li hanno presi? Come si è svolto l’attacco dei terroristi?»

Giustino tirò fuori dal cappotto una radiolina minuscola: «Hanno condotto un’operazione militare in grande stile, dicono con venti brigatisti coinvolti, hanno massacrato i cinque uomini della scorta, questi bastardi. Vogliono il rilascio di alcuni terroristi, altrimenti ammazzeranno Moro»

Scesero per la ripida scalinata che dal Duomo porta dritto in Piazza del Campo. Girarono per Via di Città, c’era molta gente, una grande agitazione, come fosse il giorno del Palio. I negozi avevano le saracinesche abbassate. Arrivati alla Croce del Travaglio Valerio ebbe paura di un altro attacco di panico.

«Non ce la faccio, torno indietro, vado a casa, raccatto la mia roba e vado via, prendo il primo treno» disse a Giustino.

«Fermati, dove vai, non fare sciocchezze, per ora non c’è pericolo, vediamo cosa succede. Parlavano di uno sciopero generale» disse per tranquillizzarlo.

Si sedettero sui gradini della Loggia della Mercanzia. Le voci, gli slogan dagli altoparlanti si fecero più forti, un corteo veniva dai Banchi di Sopra.

Un centinaio di operai in tuta, molti cittadini, rulli di tamburi, sfilavano con le bandiere rosse.

Quando intonarono “Bella Ciao” le lacrime scesero sulle guance di Valerio, tremava.

«Giustì, sono i nostri, siamo noi» disse appoggiandosi all’amico, stringendogli forte il braccio.

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