Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “La giraffa” di Marco Turella

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Fu mia madre ad accompagnarmi un sabato pomeriggio da don Angelino per il primo taglio di capelli di cui io abbia memoria.

Il suo negozio da barbiere, a due passi da piazza Navona, era riservato solo ai bambini, anche perché sarebbe stato difficile far salire un adulto, tipo mio padre, che all’epoca pesava centoquarantacinque chili, su uno degli animali che fungevano da poltrone per il taglio, simili a quelli delle giostrine a gettone che si trovano ancor oggi fuori da bar e supermercati. Gli animali di don Angelino erano però fissi, per ovvie ragione legate all’incolumità dei piccoli avventori.

C’era un leone, un pony, una sorta di cammello, non si capiva bene – poteva essere anche un lama riuscito male – e poi c’era lei, la giraffa.

Allo zoo costringevo mio nonno a lunghe soste davanti al recinto dove due giraffe ci guardavano con sufficienza e per nulla stupite della nostra visita per il terzo sabato consecutivo. Ero impressionato dalla loro altezza, e seppur non mi sfuggiva quell’espressione un po’ intontita che le caratterizza, le ammiravo aspettando che tirassero fuori la lunga lingua blu, o che bevessero in quel modo buffo e complicato, divaricando le zampe anteriori per mantenere la testa alla stessa altezza del potentissimo cuore, altrimenti il sangue sarebbe arrivato al cervello come la fucilata di un cacciatore, mi spiegò mio nonno.

Appena entrai dal barbiere indicai eccitato la giraffa a mia madre.

Don Angelino, che aveva intuito il mio desiderio di farmi tagliare i capelli seduto sulla groppa di quell’artiodattilo africano, ci squadrò attraverso lo specchio – tirando giù gli occhiali fino alla punta del naso – per poi emettere un lungo sospiro e invitarci a sedere su un piccolo divano a ridosso dell’ingresso. Era un uomo sulla cinquantina, di statura medio-bassa. I bottoni della blusa marrone che indossava erano messi a dura prova da una pancia ragguardevole, che, frapponendosi fra lui e le chiome dei piccoli clienti, lo obbligava a tenere le braccia tese durante il taglio. Ma ciò non gli impediva di eseguire il suo lavoro con grande maestria. L’armonico ticchettare delle sue forbici si confondeva con la note diffuse dalla radio, sintonizzata su una stazione di musica classica. Meno musicale era invece il pianto di alcuni bambini. Non capivo perché non amassero poter rimanere più a lungo sulla groppa degli animali rispetto ai pochi minuti concessi dalle giostrine di Villa Borghese. Alcune madri li mettevano sull’avviso “se non stai fermo ti taglia l’orecchio”. A quei tempi la psicologia da inserto domenicale non era ancora diffusa, e quelle intimidazioni peggioravano solamente le cose: i bambini gridavano ancora più forte, e solo la promessa da parte di don Angelino di un lecca-lecca, che non avrebbero avuto se non avessero smesso di frignare all’istante, li faceva star buoni.

Seduto in attesa del mio turno, temendo che il mio entusiasmo mi avrebbe precluso il lecca lecca, cercai invano di frenare l’altalena che stavo facendo con le gambe, tanto che mia madre mi chiese se dovessi andare in bagno. Pensai anche di fingere di non volermi tagliare i capelli, ma mia madre avrebbe potuto assecondare il mio capriccio portandomi via dalla mia giraffa.

Con mia grande sorpresa, fra i bambini che mi precedettero il leone e il pony furono gli unici animali richiesti.

Non appena giunse il mio turno, saltai giù dal divano e mi diressi spedito verso la giraffa. Don Angelino, alzando gli occhi al cielo, liquidò la questione battendo con le forbici la sella del leone. “Quando sarai più alto della giraffa te li potrò tagliare lì sopra.”

Capii di non essere stato il primo bambino a desiderare l’indesiderabile. Senza muovermi guardai mia madre in attesa di un suo intervento. Don Angelino affermò che il collo lungo dell’animale gli impediva di vedere riflessa nello specchio la testa dei bambini “non verrebbe un taglio perfetto”. Mia madre sostenne che anche il leone rientrava tra i miei animali preferiti. Il che non era vero, anzi ne avevo paura. Allo zoo non stavo certo in attesa che si svegliasse dal sonno in cui era immerso ogni volta che passavo spedito davanti alla sua gabbia tirandomi dietro il nonno, e al circo temevo che fuggisse al domatore e se la prendesse con qualcuno del pubblico riducendolo come gli avevo visto fare a un’antilope in un documentario.

Il fatto che mia madre avesse detto quella menzogna sulla mia presunta simpatia per il leone, mi irritò al punto da farmi accennare, nell’istante in cui don Angelino mi indicò di nuovo il felino, un breve pianto al silenziatore, senza suoni e senza lacrime, almeno mi sarei assicurato il lecca lecca. Ma le cose si misero di male in peggio, perché don Angelino non fece alcun accenno a quell’ansiolitico per bambini. Mi avviai quindi remissivo verso le fauci del leone. Non mi restò che squadrare allo specchio i miei capelli crespi, sfidando don Angelino ad iniziare quel “taglio perfetto” che ora era costretto ad eseguire per non screditare la sua teoria.

Ogni tanto davo un’occhiata alla giraffa, disturbando il lavoro di don Angelino, che mi spostava il viso dalla parte opposta con sempre meno grazia, “per non farmela vedere” mi lamentai poi con mia madre.

Il taglio, ahimè, risultò perfetto, anche se non diedi soddisfazione quando don Angelino, fissando compiaciuto, attraverso lo specchio, un po’ la mia testa e un po’ se stesso, chiese se fosse di mio gradimento. Mi limitai a guardare mia madre, che non poté che approvare.

Uscendo dal negozio, mi informai subito su quando avrei dovuto tornarci. Quella fu una domanda che ripetei spesso nei giorni a seguire, stirandomi con la mano una ciocca di capelli nella speranza che mi coprisse gli occhi. Sapevo che quello sarebbe stato l’unico motivo che mi avrebbe ricondotto dalla giraffa. Ma i capelli erano stati tagliati ben corti, e tirandoli al massimo arrivavano a metà fronte. Costrinsi quindi mia madre a permettermi almeno di sincerarmi della presenza della giraffa nel negozio, visto che don Angelino aveva manifestato tutto il suo disamore nei suoi confronti con il proposito di volerla togliere di mezzo al più presto.

Passavo davanti al negozio di don Angelino ogni volta che tornavo a casa sia con mia madre che con mio padre, anche se era la strada più lunga. A mio nonno non ne parlai, per timore che non mi portasse più a vedere quelle vere allo zoo. Mi accontentavo di guardarla attraverso la vetrina, senza fermarmi. Era la prima, subito all’ingresso. Volevo anche assicurarmi che a nessun bambino fosse concesso di utilizzarla per tagliarsi i capelli.

Finalmente arrivò il giorno in cui si rese necessario un altro taglio di capelli. Animato da un inaspettato lampo di magnanimità, don Angelino mi fece salire sulla giraffa nell’attesa del mio turno. Guardai gli altri bambini, la cui invidia non sapevo sarebbe stata la causa dell’ulcera gastrica che li avrebbe colpiti da adulti.

“Non può tagliarglieli sulla giraffa? come vengono vengono, non sarà un problema” propose inaspettatamente mia madre.

“Signora!” sospirò don Angelino interrompendo il taglio in cui era impegnato. Sembrava turbato dalla nostra incapacità di renderci conto del già enorme privilegio concessomi nel farmi attendere in groppa alla giraffa. Agitò le forbici sopra la testa del bambino che stava servendo “io non faccio le cose come vengono vengono. Se vuole glieli può tagliare lei sulla giraffa”.

A me sembrò una soluzione ragionevole. Guardai mia madre come a dire: perché no!

“È alla ricerca di un aiutante?” rispose invece lei stizzita.

“Se vuole può lasciare le sue referenze lì, vicino al telefono” rispose prontamente don Angelino riprendendo il suo lavoro.

Trattenni il fiato, sapendo che quando la voce di mia madre saliva di un’ottava non c’erano certezze sugli eventi immediatamente futuri. Ma mia madre prese il pacchetto di sigarette dalla borsa e io mi tranquillizzai. Uscì in strada a fumare dando le spalle al negozio. Evitai di guardare don Angelino dall’alto della mia giraffa. Mi limitai a stuzzicare un piccolo graffio che avevo notato sul collo dell’animale, dando ogni tanto un’occhiata fuori, in attesa che mia madre lasciasse volare in aria le nuvole bluastre di fumo e rabbia, prima di rientrare. Teneva un braccio stretto sullo sterno, come per ripararsi da un freddo che fuori non c’era.

Capii non esserci verso di farmi tagliere i capelli sulla giraffa, e me ne feci una ragione. Almeno fino a quando un pomeriggio, entrando in negozio per quello che sarebbe stato all’incirca il mio decimo taglio, non conoscemmo la signora Edit, moglie ungherese di don Angelino. Era una donna dalle forme morbide e proporzionate, decisamente più giovane del marito. Un trucco vistoso sugli occhi nascondeva un viso delicato.

 “Ah che bel bambino, e questi capelli così biondi, mi ricordi mio fratello da piccolo.”

Quando mi chiese quale fosse il mio animale preferito, avvertii le lame affilate delle forbici del marito farsi meno sicure. “La giraffa” urlai. “Voglio tagliarmi i capelli lì sopra” affermai indicandogliela. “Certo” rispose la donna divertita dal mio entusiasmo. Guardò il marito, che non replicando iniziò a farmi sentire in colpa.

Appena la signora Edit andò via, giunse il mio turno. Pensai che mi sarebbe toccato di nuovo il leone, ed in un certo senso lo sperai, perché sentivo di aver ingannato don Angelino. Invece lui, senza dire nulla, mi prese e mi posizionò sulla groppa della giraffa. Non fu piacevole e non mi godetti quello che desideravo da tanto tempo. Don Angelino eseguì il suo lavoro in silenzio, mentre io avvertivo una tensione nell’aria che mi fece passare tutto il tempo con gli occhi bassi, spesso chiusi, con la scusa che i capelli tagliati avrebbero potuto finirmi negli occhi.

Alla fine mia madre pagò e uscimmo, sapendo entrambi che non saremmo più tornati.

Da allora ho cambiato un numero considerevole di barbieri, ma non ho mai più trovato la mia giraffa.

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4 commenti »

  1. Testo molto simpatico.
    Coinvolgente.
    Mi sembra un po’ frettolosa l’introduzione della moglie e il suo potere decisionale non descritto che porta al completamento della storia in tempo 0…
    Forse ripenserei quest’ultima parte.

  2. Ti ringrazio Fabrizio. Credo che la mancata replica del marito alla moglie, che a lui si rivolge con quel ‘certo’, basti a far capire la dinamica della coppia, sostenuta da tanta narrazione a riguardo, se vuoi anche sterotipata. Comunque ci rifletterò.

  3. Bel racconto Marco, ben scritto e con il giusto ritmo. Complimenti, vittoria meritata! Ho notato un paio di refusi che di sicuro avrai corretto prima di inviare. 😉

  4. Ti ringrazio molto Caterina.

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