Premio Racconti nella Rete 2024 “È solo una pesca” di Emanuele Baccilieri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024L’uomo mostrò alle guardie un sigillo d’oro che teneva al collo e venne fatto entrare nella grande sala. Faticò qualche secondo ad abituarsi alla fresca penombra, dopo il ruggito del sole nella piazza polverosa. Era stanco, magro e i suoi vestiti erano logori e impolverati.
“Chi sei? Perché hai chiesto di parlare con me, mostrando un sigillo che un mendicante come te non dovrebbe possedere?” domandò l’Imperatore seduto sul suo trono.
“Mio Signore Sundjata Keïta, mansa dell’Impero del Mali, non mi riconosci? Sono Balla Kouyaté e sono il tuo djieli, il tuo umile consigliere. Mio padre, Naré Konatè, mi ha donato a te, per consigliarti, istruirti e affiancarti nella costruzione dell’Impero.” rispose l’uomo inginocchiato.
“Balla Kouyate” ripetè sorpreso l’Imperatore “ Ti credevamo morto…da molti anni fai mancare a questo mansa il tuo consiglio” continuò con tono di rimprovero.
La Corte annuì, rimarcando con un sommesso mormoro, il biasimo dell’Imperatore.
“Mio signore, ho attraversato oceani, deserti e rincorso il tempo per riportarti la saggezza che non possedevo…ricordi perché chiesi il tuo permesso per intraprendere questo lungo viaggio?” “Molte lune hanno attraversato il mio cielo, djieli: ricordami perché ti diedi il permesso di allontanarti.”
“Mio Signore, dopo anni di lotte e conflitti, il regno era finalmente stabile e sicuro: i commerci erano fiorenti e il popolo, guidato con autorità e benevolenza dalla tua persona, viveva un’era di pace e di sviluppo. Ma nessuna opera umana è così perfetta da non poter essere migliorata: così ti pregai di inviarmi per il mondo per incontrare i re più carismatici, i saggi più ascoltati, i guerrieri più esperti e i commercianti più abili, che regnavano e vivevano in altri paesi, così da riportarti le conoscenze necessarie a rendere ancora più splendido, potente e giusto il tuo Impero. Tu accondiscendesti ed io partii. Ora sono di nuovo al tuo cospetto, per raccontarti quello che ho visto e sentito.”
“Allora djieli, inizia. Portategli una sedia, dell’acqua e del cibo: sarà un lungo racconto, immagino.”
L’uomo annuì silenziosamente, si alzò, bevve dalla coppa che gli era stata porta, rifiutò il cibo e si sedette. L’Imperatore e tutta la sua Corte lo osservavano in attesa delle sue parole. Il djieli trasse una pesca dalla sacca che teneva in spalla: se la passò tra le mani ed iniziò a raccontare: “ Ho attraversato il deserto verso est e dopo mesi di cammino, sono giunto nella terra di Prete Gianni, l’unico sovrano cristiano dell’Africa. Mi ha mostrato la magnificenza delle sue 100 chiese scavate nella roccia, la rete senza fine delle gallerie che le uniscono, illuminate a giorno da migliaia di torce; ho visitato gli immensi depositi dove sono stipate ricchezze inimmaginabili, le grotte di cui non si vede la fine, dove la popolazione trova rifugio in caso di attacco. Mi ha spiegato come difendere il proprio regno, scavando la roccia e nascondendosi al mondo. Mi ha donato una croce d’oro, cavalcature e servitori per raggiungere costa. Andando incontro al sole che sorge, ho attraversato un mare limpido ma inquieto e sono giunto nel regno che era stato della Regina di Saba: ora è governato da una gilda di mercanti senza cuore che commerciano con l’India, scambiando incenso, caffè, schiavi e qat con argento, sete multicolori, macis e altre spezie. Dell’antico splendore non è rimasto nulla: ho visto solo luridi recinti per animali e schiavi sorvegliati da guardie circasse armate di enormi scimitarre, fondachi in rovina dove il profumo dell’incenso si mischia al fetore del pesce messo ad essiccare al sole, porti senza sonno dove le navi iniziano a scaricare ancora prima di attraccare e prendono di nuovo il mare quasi strappando gli ormeggi; la brama di guadagno di questi mercanti è pari solo alla frenesia con la quale masticano senza sosta le foglie più tenere del qat….”
E l’uomo raccontò poi di Goa, del suo sultano, della fortezza costruita all’ombra delle palme, delle navi con i colori di guerra, dei canti degli uccelli tra i rami e dello sciabordio della risacca sovrastati dalle urla e dai pianti dei prigionieri dell’ultima razzia. Parlò dei deserti gelidi che salgono senza fine e raggiungono montagne così alte che del cielo stesso sembrano fare parte e delle popolazioni che abitano tra queste urla di pietra: di come, nonostante fossero universalmente stimati come saggi e santi, lo respinsero in quanto straniero concedendogli solo the con burro di yak e sale. Raccontò delle pianure senza orizzonte e della città di Samarcanda, dove fu ospite di Timür Lo Zoppo, che rese la città un gioiello; lo accolse con tutti gli onori, gli fece visitare le magnifiche moschee rivestite di maioliche blu e percorsero insieme i viali ombreggiati da alberi in fiore, dove musici, filosofi, scienziati e scrittori spezzavano il pane della scienza e della cultura: ma questo paradiso, imparò più tardi, era imbrattato del sangue che veniva versato dalle armate dello Zoppo lungo la Via della Seta. Giunse poi in un un’isola in mezzo al mediterraneo, cosparsa di piccole case bianche e raffinate piccionaie: qui visitò una chiesa dal cui soffitto pendevano centinaia e centinaia di piccole barche, pesci, casse, arti e cuori in argento, offerti come ringraziamento per naufragi scampati e affari conclusi ma anche come ricordo di vite spezzate e corpi mutilati….guadagnare il pane, rischiare la vita, il mare in tempesta, una continua sfida agli elementi…
“Poi, mentre mi dirigevo verso nord, risalendo una terra soleggiata e fertile, che sulle tue carte è come una gamba che cerca un appoggio in Africa per saltare verso l’alto, mi sono ritrovato in una regione di morbide colline, ricca di vigneti, ulivi e campi di frumento e tabacco ed è qui che ho avuto l’incontro più importante del mio lungo viaggio.”
“Quale re o saggio o guerriero puoi mai aver incontrato tra i campi coltivati?” chiese l’imperatore ridendo. Tutta la Corte rise con lui.
“Nessun re, mio Signore, solo un mendicante un pò folle che parlava con il sole, l’acqua, la terra, il vento e gli animali e che lodava il suo dio attraverso l’armonia con la natura e con gli altri uomini; un giovane che era ricco e che aveva scelto di regalare tutti suoi beni ai più bisognosi, seguito da pochi e temuto da tanti, proprio per la semplicità assoluta delle sue parole e delle sue azioni; un profeta scalzo, un portatore di gioia, di fratellanza, libero come un passero ma forte come una roccia. Scambiai poche parole con lui, non conosco nemmeno il suo nome, ma mi è rimasta l’immagine di un uomo che aveva compreso il suo ruolo su questa terra, che mi ha chiamato fratello senza avermi mai visto prima e che, con un sorriso, mi ha donato una pesca, tutto il cibo che aveva, per poi allontanarsi fischiettando come un volo di storni e perdersi tra il giallo del grano maturo.”
Calò il silenzio nella grande sala. La Corte esitava.
“Quindi mi stai dicendo che di tutti i re, i mercanti, i saggi e i guerrieri che hai incontrato nel tuo viaggio per il mondo, di tutti i palazzi, gli eserciti, i porti e le fortezze che hai visitato, ciò che più ti ha colpito è stato un mendicante, sicuramente pazzo, che ti ha donato il suo cibo sapendo di non averne altro; che era ricco ed è diventato povero perché ha regalato tutto, che parla con le piante, gli animali…”
“Parla anche con l’acqua e con il fuoco…”
“Certo, anche con l’acqua e con il fuoco…e cosa ti avrebbe insegnato di così importante da riportare al tuo Imperatore?”
“Questa” disse l’uomo mostrando il frutto che aveva in mano.
“Una pesca?” domandò l’Imperatore “E cosa ci sarebbe di così importante in questa pesca? E’ forse un frutto magico?” continuò sprezzante. La Corte rise con il mansa.
“È solo una pesca” rispose serio l’uomo “E non ha niente di magico in se ma è la risposta al dubbio più importante che non sapevo nemmeno di avere. Ho incontrato re che si nascondono sottoterra per difendere le proprie ricchezze; spietati guerrieri che costruiscono il proprio potere su cumuli di cadaveri; aridi mercanti che cercano di riempire il vuoto che hanno dentro con metalli nobili, sete preziose e spezie profumate; saggi che pretendono di conoscere il mondo, allontanandosene; costruttori di fortezze inespugnabili e muraglie ciclopiche che vivono in attesa di un nemico che non arriverà mai e intanto non riconoscono l’amico; ho visto la ricchezza, lo sfarzo, ho ammirato schiere di cavalieri dalle armature lucenti correre nella pianura facendo tremare la terra e navi cariche di argento e lapislazzuli arricchire pochi uomini e renderne poveri e schiavi molti altri; ho visto la sapienza pagata con il sangue e ho visto il disprezzo e l’odio per lo straniero, per l’altro da noi.
Ma solo chi mi ha regalato una pesca, l’ultima che aveva, rimanendo così senza cibo, mi ha insegnato la cosa più importante: un uomo, agli occhi di Dio, vale realmente quello che vale, niente di più. Non gli servono ricchezze, potere, vesti raffinate, eserciti e navi. L’uomo, tutti gli uomini, sono sulla terra per vivere in armonia con la natura e con i propri simili: solo in questo modo e non sedendo solitario sulla propria presunzione riuscirà a essere parte di qualcosa di più grande.”
“Quindi mi stai dicendo che io, Imperatore del Mali, signore del deserto e della foresta, seduto su questo trono, nel mio palazzo, non sono veramente un uomo ma solo una sua caricatura?” urlò inferocito il mansa. La Corte ribollì indignata. “Tu sei Sundjata Keïta, mansa dell’Impero del Mali, l’uomo che con la propria forza, la propria volontà e la propria intelligenza ha riunito e portato pace e prosperità in queste terre. Sei un sovrano capace e giusto…a cui manca solo una cosa.” “E cosa mi mancherebbe djieli?” L’uomo si alzò dalla sedia e, a capo chino, lentamente, si avvicinò al trono. La Corte borbottava malevola, pronta a scattare. Giunto ai piedi del trono, si inginocchiò e porse al sovrano la pesca. L’Imperatore, interdetto, dopo una lunga pausa, allungò una mano e prese il frutto. L’uomo, sempre a capo chino, si alzò e indietreggiò fino all’uscita. Si trovò di nuovo nella piazza polverosa, accecato dal sole e schiaffeggiato dal vento caldo. Alzò la testa e s’incamminò. Dentro il palazzo la Corte sbraitava e si agitava. Il mansa, silenzioso, teneva la pesca in mano, guardandola con una smorfia che assomigliava ad un sorriso.
Legenda
Mansa: sovrano, imperatore.
Djieli: custode delle tradizioni orali; anche consigliere del sovrano.
Mi piacciono molto le leggende e mi ha intrigato che, dopo tante meraviglie, venisse donata all’imperatore quella pesca. Però… Sono ritornata oggi a leggere, perché ieri il muro di parole mi ha fatto desistere. Non sono pratica di come si scriva una leggenda, però, forse, per evitare l’effetto “spiegone” (in internet puoi trovare chi sappia spiegartelo meglio di me), si sarebbero potuti scegliere, tra tanti, solo alcuni episodi o luoghi di cui narrare, per lasciarli depositare nella memoria del lettore. Un’osservazione che sento spesso ripetere è che la scelta del giusto dettaglio fa la differenza. Inoltre, per dare più ritmo al racconto, magari si sarebbe potuta inserire qualche “botta e risposta” in più. Spero che le mie riflessioni possano essere d’aiuto, e sappi che provengono da chi continua a esercitarsi per sconfiggere l’effetto “spiegone”.
Racconto efficace. Mi hai ricordato le Città Invisibili di Calvino.
Bello anche come aggiungi San Francesco in un racconto di fantasia. Forse la spiegazione finale la farei più breve ed incisiva e anzichè dire “, tutti gli uomini, sono sulla terra per vivere in armonia con la natura e con i propri simili” direi che tutti gli uomini “dovrebbero….per vivere in armonia”.
Ti invito a leggere i miei racconti e lasciare un commento costruttivo.