Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “L’uomo con la bombetta” di Lorenzo Pompeo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Dopo tanti anni di onorato servizio, finalmente era giunto anche per lui il momento di dire addio alla sua scrivania, di congedarsi dai colleghi e dai superiori, di cambiare radicalmente le sue abitudini. Giacomo aveva avuto la sorte, per alcuni la fortuna, di lavorare per tutta la vita nello stesso ufficio. Aveva avuto tutto il tempo per prepararsi a quel fatidico momento. Lo aveva accarezzato per anni, covato gelosamente nei recessi della sua mente, invocato, adorato, santificato, adulato. Mille volte lo aveva immaginato e in mille modi diversi.
Ma quel tempo di interminabili attese si era consumato, anno dopo anno, mese dopo mese, minuto dopo minuto, attimo dopo attimo. Tutti sapevano che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno in ufficio, che quell’invisibile catena che lo aveva legato per una vita alla sedia e alla scrivania si sarebbe magicamente dissolta e che, appena uscito dall’ufficio si sarebbe trovato di fronte alla chimera della libertà.
Ciò che lo meravigliò fu la mancanza di qualsiasi forma di empatia, di emozione, di reazione da parte dei suoi colleghi e dei suoi superiori. Ci furono i saluti deferenti, gli omaggi, gli auguri e i ringraziamenti da parte dei superiori. I protocolli del cerimoniale furono rispettati alla lettera, ma nessuno dei partecipanti mostrò alcuna emozione, nessuna reazione personale. Giacomo comprese.
In verità erano moltissimi anni che colleghi e superiori lo trattavano in quel modo. Solo che nel fondo della sua immaginazione e del suo cuore sperava che almeno all’ultimo, prima di congedarsi, qualcuno avrebbe tradito una qualche emozione nei suoi confronti. A quel frigorifero ci si era dovuto abituare, ma per qualche motivo non era riuscito a soffocare del tutto la speranza di un epilogo diverso: magari all’ultimo momento, sulla soglia dell’abisso, avrebbe potuto cogliere il segno di un qualche sentimento umano. E invece dovette scontare quella condanna fino all’ultimo istante.
Tutto era cominciato molti, troppi anni fa. Era un giovane impiegato, poco più di un ragazzo, allora. Si era laureato da poco. Aveva superato i test del colloquio di lavoro. E la settimana successiva era stato chiamato. Gli era stata mostrata la sua scrivania, il suo diretto superiore, i suoi colleghi, spiegate le sue mansioni, affidati i fascicoli da visionare, indicati i faldoni e dove riporli.
La prima settimana faticò a entrare nella routine quotidiana, ma già a partire da quella successiva si andava abituando e alla fine del mese era già diventato un impiegato modello in attesa della promozione, delle ferie e dello scatto di anzianità. I suoi colleghi lo trattavano con benevolenza, dalle loro battute traspariva una certa invidia per la sua giovane età e per l’insieme delle sue energie vitali, ancora integro. Tutto sembrava filare liscio, nel migliore dei modi, fino a quel giorno fatale.
Quel mattino Giacomo si era alzato, aveva fatto colazione come al suo solito (due fette di pane tostato con patè di olive e stracchino, spremuta di arancia, due fette biscottate con la marmellata di mirtilli che accompagnavano il caffè). Aveva dato un’occhiata al cielo dalla finestra: le nuvole grigie parcheggiate sopra il parco sembravano minacciare da un momento all’altro un rovescio di pioggia, come confermava anche il bollettino meteorologico. Per questo Giacomo non mancò di prendere l’ombrello prima di uscire. E ovviamente la sua amata bombetta, immancabile accessorio del suo abbigliamento. Raramente ne faceva a meno. Solo nelle giornate estive più torride la sostituiva con un cappello di paglia più leggero.
Come tutti i giorni, prima di salire sul tram, comprò il suo quotidiano, che avrebbe sfogliato sul mezzo pubblico. Pur di accaparrarsi un posto a sedere, lo andava a prendere al capolinea. Un paio di chilometri a piedi che lo aiutavano a tenersi in forma e a non perdere il buon umore. Quella mattina era cominciata bene. La sera prima la sua squadra del cuore aveva vinto. Ciò aveva aggiunto una nota di allegria.
Sul tram incrociava spesso colleghi di lavoro. C’era la segretaria del suo superiore che tutte le mattine saliva quattro fermate dopo. Regolarmente, lui si alzava per salutarla e si sedeva nuovamente per continuare a leggere il suo giornale. Dal momento che ormai avevano fatto conoscenza, poteva capitare che scambiassero qualche battuta. Ma poiché tifavano per due squadre notoriamente rivali, il calcio era un argomento escluso dalle loro conversazioni. Tuttavia capitava che condividessero qualche opinione su fatti che riguardavano l’ufficio, ma che erano ormai di pubblico dominio (non erano ancora entrati in confidenza e quindi non parlavano delle loro opinioni personali né, tantomeno, di alcun dettaglio riguardante la loro vita privata). Tutto ciò sempre entro i confini della gentilezza e della cordialità.
Naturalmente, quando vedeva la sua collega, Giacomo era solito togliersi il cappello. Un gesto che eseguiva senza farci caso, quasi fosse un riflesso condizionato. Ma proprio questo è il punto: quella mattina, per qualche motivo sconosciuto, non ci riuscì. In ogni caso, la conversazione prese il solito binario. Un cordiale scambio di opinioni. Né più né meno. Nessuno tra i passeggeri del tram, né tantomeno la sua collega, si erano accorti di nulla. Neppure lui. Eppure in quel momento, in quel preciso istante, tutto era cominciato.
Giunto in ufficio, si tolse il soprabito, posò l’ombrello nel suo armadietto, ma quando provò a togliersi il cappello, si accorse che per qualche motivo non gli era possibile. Stette lì a provare per qualche minuto, ma non ci fu niente da fare. Si stava avvicinando il momento fatale. Furono momenti concitati e drammatici. Gli erano rimasti pochi minuti per decidere cosa fare.
Per nulla al mondo avrebbe fatto ritardo. Nessuno lo avrebbe potuto rimproverare per non essersi tolto il cappello. Al più sarebbe passata per una sbadataggine. Forse qualcuno avrebbe potuto fare qualche battuta di spirito sulla sua goffa dimenticanza, ma il regolamento non vieta agli impiegati di sedersi alla scrivania col cappello.
Invece il ritardo era sanzionato. Se si fosse ripetuto più volte nel corso di un mese, ogni volta la sanzione sarebbe stata raddoppiata. Oltre un certo numero di ritardi, c’era la possibilità di essere deferiti alla commissione disciplinare, che avrebbe potuto proporre agli organi collegiali finanche la cessazione del rapporto di lavoro. Così Giacomo prese una decisione: per la prima volta in vita sua, si sarebbe seduto alla sua scrivania col cappello.
Aprì il cassetto per riporre il giornale, poi andò a prendere il faldone con i fascicoli che avrebbe dovuto esaminare. Li posò sul tavolo e si accinse a svolgere il suo lavoro come tutti i giorni. Assorto, fece finta di non notare qualche collega che, passando lì vicino, gli faceva cenno di togliersi il cappello. Ma, inesorabile, si avvicinava la pausa pranzo, nella quale qualcuno avrebbe potuto chiedergli ragione del fatto che indossava ancora la bombetta.
Fu così che intorno a mezzogiorno andò al gabinetto e lì, davanti allo specchio, si verificò un increscioso episodio.
Quando provò per l’ennesima volta a togliersi il cappello, accadde il miracolo: insieme al cappello si staccò anche la testa. Giacomo vide allo specchio la sua testa attaccata alla mano che teneva il suo cappello, ma staccata dal collo e, in quel preciso istante, il volto stravolto di un collega che era appena entrato nel bagno e che, dopo avere visto quel fatto incredibile, era fuggito. Il fato volle che in quel preciso istante un altro collega avesse spalancato la porta di uno dei tre gabinetti e avesse assistito a quel prodigio. Quest’ultimo, a differenza del collega che era fuggito, gli rivolse un saluto. A Giacomo venne naturale rispondere. Così, per quanto possa sembrare incredibile, la voce uscì in modo naturale dalla sua testa staccata dal collo. Il collega si diresse verso il lavandino e si lavò le mani. Ma per qualche motivo non riusciva a staccare gli occhi dalla testa di Giacomo. Poi si asciugò le mani e uscì.
Davanti allo specchio era rimasto solo lui che continuava a osservare allibito allo specchio quel fatto inspiegabile. Per un istante pensò a un numero di un prestigiatore o a una illusione ottica. E così non si meravigliò quando la sua testa ritornò al suo posto insieme alla sua bombetta come se non fosse mai successo nulla.
Uscì dal bagno e tornò alla sua scrivania. Si rimise al lavoro. Mancavano pochi minuti alla pausa pranzo. Alzando gli occhi dalle sue carte, si accorse di essere diventato oggetto di insistenti sguardi. I colleghi passavano a turno davanti e dietro la sua scrivania. Lo osservavano cercando di non farsi notare, bisbigliavano cercando di non farsi udire da lui.
Qualche minuto prima della pausa pranzo il direttore del reparto si avvicinò alla sua scrivania e gli fece: “tutto bene?”. Lui rispose in modo affermativo, accompagnando le due parole con un sorriso tranquillizzante. Il direttore lo fissò perplesso per qualche secondo. Poi ricambiò quel sorriso rassicurante, si voltò e si allontanò.
Da quel momento in poi i colleghi cominciarono a trattarlo con una fredda cordialità. Rispondevano ai suoi saluti, a volte potevano scambiare con lui qualche battuta su argomenti neutri e generali, ma non riuscivano a nascondere una certa ripugnanza. Nessuno osava accennare a quella bombetta, che da quel momento in poi divenne parte integrante della sua fisionomia, quasi fosse un suo attributo naturale fin dalla nascita.
Così quel giorno in cui Giacomo lasciò per sempre l’ufficio i colleghi lo videro allontanarsi. La sua bombetta si fece sempre più piccola fino a scomparire e tutti per un attimo si interrogarono sul senso di quel singolare prodigio. Poi ripresero le loro consuete occupazioni.

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2 commenti »

  1. Ciao Lorenzo.
    Racconto simpatico e non scontato. Personaggio molto ben caratterizzato e bel ritmo.
    Personalmente avrei approfondito le reazioni dei colleghi e descritto maggiormente questa ‘freddezza’, anche perché in una vita, di colleghi se ne cambiano…
    Spero i miei commenti ti tornino utili. Sentiti libero di leggere e lasciare un feedback ai miei racconti.

  2. Molto ben scritto, kafkiano. L’icubo di diventare “diverso” nonostante l’ordine e la monotonia e dover affrontare le conseguenze che ciò comporta.
    Veramente complimenti Lorenzo.

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