Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2024 “Lucertole” di Valentina Bottari

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

“Sono undici dollari e trenta centesimi.”

Norman tirò fuori una manciata di monete da una tasca della giacca a vento e le appoggiò sul bancone della cassa per contarle. Mentre le spostava con le dita, la ragazza dietro di lui fece un sospiro. Il suono del lettore di codice a barre continuava ad arrivare imperterrito dall’altra cassa.

“Quelli sono nove e dieci. Il totale è undici dollari e trenta centesimi.” Ripeté la cassiera mentre Norman ricominciava a contarli da capo, per sicurezza. 

Si infilò le mani nelle tasche sperando di trovarci qualche altra moneta, ma non ne uscì altro che lanugine.

“Togliamo qualcosa?” Disse la cassiera, scandendo lentamente le parole.

Norman rabbrividì al cambiamento nel suo tono di voce e alzò lo sguardo di scatto, attento a cogliere qualsiasi segnale sospetto. Quelli erano dappertutto. Indistinguibili dalle persone normali. A volte si tradivano, ma era sempre una questione di un attimo, tempo di sbattere le palpebre ed era già finito. La cassiera ricambiò il suo sguardo con i suoi comuni occhi marroni, facendo un sorriso tirato con il suo viso perfettamente normale. 

Norman lasciò andare il respiro che stava trattenendo e spostò l’attenzione sulla sua misera spesa. Il barattolo di caffè solubile era la cosa più costosa, ma senza non riusciva a pensare, e nei giorni seguenti non avrebbe potuto permettersi di essere stanco o distratto.

“Ma si muove o no?” Borbottò una voce nella fila che si era formata dietro di lui.

Norman li perdonò. Non sapevano quanto gli avrebbero dovuto, presto.

Con un sospiro indicò il barattolo di burro d’arachidi alla cassiera. In un lampo lei lo spostò su un ripiano dietro di lei, raccolse le monete, diede a Norman qualche centesimo di resto e cominciò a scusarsi per l’attesa con la cliente seguente. Norman prese il suo sacchetto, tirò la visiera del cappellino verso il basso, e si avviò verso l’uscita.

*

Dopo essersi chiuso alle spalle la porta del suo appartamento, gli ci volle qualche istante per riabituarsi alla penombra. Chiuse la porta a chiave, e poi serrò i due chiavistelli che aveva montato personalmente qualche mese prima. 

Appoggiò il sacchetto della spesa sul bancone della cucina, spostando le tazze sporche di caffè nel lavandino per farsi spazio, e mise dell’acqua a bollire mentre lo svuotava. Fece un sospiro davanti al frigorifero quasi vuoto mentre appoggiava le uova su un ripiano, lo richiuse e si preparò il caffè. 

Con la tazza fumante in mano, andò a sedersi alla scrivania. Si allungò verso la finestra, scostando le tende scure quel che bastava per dare un’occhiata alla strada due piani sotto di lui. C’era una macchina grigia che era sicuro di avere già visto. Da un cassetto prese un foglio e scorse la lista di targhe che si era segnato. Non trovando nessuna corrispondenza, aggiunse quella nuova alle altre. Poi chiuse bene le tende e si mise al lavoro. Aveva solo due giorni per finire.

Aveva già analizzato i membri del governo in carica, la corte suprema, il senato, e stava finendo la camera dei rappresentanti. Per sua fortuna, i politici vivevano di attenzione pubblica, e lasciavano una scia di foto e video ovunque andassero, ma riconoscerli non era semplice come avrebbe fatto credere certa gente che cercava di attirare l’attenzione postando foto modificate di gente con le pupille verticali e le squame che spuntavano dal colletto della camicia. Raramente si tradivano in maniera ovvia. A volte era solo una sensazione, una certezza che c’era qualcosa di sbagliato in quello che si stava vedendo. Solo dopo, guardando bene, si trovavano i dettagli, le prove. Prove che non riusciva a trovare nelle foto dell’uomo che stava analizzando in quel momento. Fu tentato di chiedere aiuto sul forum dove di solito parlava con gli altri esperti, ma si trattenne.

Gli era capitato qualche volta, negli ultimi anni, di chiedere agli altri se non fosse tempo di fare qualcosa, ma la reazione era sempre stata tiepida. Troppo rischioso, dicevano tutti, già ci prendono per pazzi. E Norman aveva abbozzato, finché uno dei candidati alla presidenza, uno sconosciuto non affiliato ai partiti principali, che Norman aveva riconosciuto subito come non umano quando l’aveva visto la prima volta in televisione, non aveva in qualche modo stregato la nazione, passando in testa ai sondaggi, e di molto. Norman aveva scritto un lungo post appassionato che era sicuro avrebbe risvegliato le coscienze dei suoi compagni. La risposta era stata unanime: erano perfettamente d’accordo. Qualcuno doveva fare qualcosa. Ma che fosse qualcun’altro. Norman aveva chiuso la pagina e non l’aveva più riaperta.

Aveva raccolto i suoi ultimi risparmi, e aveva comprato un fucile.

*

Il pomeriggio seguente Norman arrivò in macchina nel parcheggio della scuola di suo figlio Tyler appena prima che suonasse la campanella di fine giornata. Slittò sul sedile, abbassandosi per non essere visto. Scorse dei capelli biondi tra la folla che aspettava, e riconobbe la sua ex moglie Lisa, e poi quando cominciarono a uscire i bambini vide Tyler che le andava incontro. Lo vide ridere, e dare un disegno a sua madre. Lisa fece una faccia esageratamente ammirata mentre si rigirava il foglio tra le mani.

Norman si sforzò di imprimersi i loro visi nella mente. L’indomani il tour di comizi del candidato sarebbe passato per la sua città, e non sapeva quando li avrebbe rivisti.

Guardò mentre Lisa prendeva Tyler per mano e lo guidava verso la macchina. Aveva un’aria serena, Lisa. Doveva essere un sollievo non avere più Norman intorno. Non era mai riuscito a convincerla della verità. Aveva persino cercato più volte di abbandonare le sue ricerche per farle piacere, per darle l’illusione di una vita normale, di cui sembrava avere tanto bisogno. Ma ogni volta gli scappava qualcosa, una parola sbagliata, un commento mentre uno di quelli compariva in televisione, e Lisa scoppiava a piangere, e a urlare, che Norman le aveva promesso che avrebbe smesso, che aveva detto che non ci credeva più a quelle cose, e lui cercando di giustificarsi si metteva ancora di più nei guai, e Lisa prendeva Tyler e andava a stare da sua sorella per qualche giorno. Finché una volta non buttò fuori lui di casa, e cambiò la serratura. 

Ma Norman la perdonava. Era difficile guardare in faccia la realtà. La realtà era terrificante. 

Lisa prese Tyler in braccio e lo fece sedere nel seggiolino sul sedile posteriore, poi chiuse la portiera, entrò in macchina e mise in moto. Norman mormorò un saluto sottovoce mentre uscivano dal parcheggio.

*

Tentò di andare a dormire presto, ma come al solito dopo una mezz’ora si svegliò con i battiti a mille e coperto di sudore. Si rigirò nel letto per qualche minuto prima di arrendersi e alzarsi. Aprì la custodia del fucile e controllò, per l’ennesima volta, che fosse tutto a posto. Andò a sdraiarsi e riuscì a dormire per un paio d’ore, prima di svegliarsi di soprassalto. Si alzò, si lavò la faccia e andò a sedersi alla scrivania. Passò un po’ di tempo a scorrere tra i file che aveva raccolto e documentato meticolosamente negli ultimi mesi. Controllò che le email fossero programmate con l’orario giusto, lo stesso di inizio del comizio, per essere mandate a tutti i giornalisti di cui aveva trovato un indirizzo. 

Quando sorse il sole Norman rinunciò ai suoi tentativi di prendere sonno. Si preparò una tazza di caffè molto forte e aspettò.  

Arrivò in macchina nel parcheggio di un negozio di ferramenta da cui avrebbe avuto la visuale libera sul palco allestito all’ingresso del parco. Il comizio sembrava una festa. La gente chiacchierava e si mescolava sotto ai nastri e ai palloncini bianchi, rossi e blu. Il muschio spagnolo ricadeva dai rami degli alberi come trecce, e ondeggiava leggermente nella brezza. Guardie del corpo sudavano nei loro vestiti neri mentre osservavano la scena.

Sul palco apparve il direttore della campagna elettorale, e il suo discorso richiamò la folla all’attenzione. Quando lasciò il posto al candidato, si alzò un applauso. Norman prese il fucile dalla custodia, che aveva nascosto ai piedi dei sedili posteriori, e lo puntò dal finestrino aperto. Espirò lentamente, e sparò. 

Il candidato fece un’espressione sorpresa e si afferrò il petto, barcollò sul posto mentre una macchia di sangue blu brillante si spandeva sulla sua camicia bianca, e poi cadde. Le guardie del corpo si animarono all’improvviso. La folla eruppe nel panico, ma le loro urla Norman poteva solo immaginarle sopra il fischio che gli assordava le orecchie. Sentì l’eco lontano di un colpo e un dolore alla spalla, e vide il proprio sangue schizzare sull’interno della portiera. Sapeva che sarebbe finita così. Non ce l’aveva con quelli che gli avevano sparato, non sapevano la verità. Lanciò un ultimo sguardo alla figura collassata sul palco. Presto tutti avrebbero saputo. Non avrebbero più potuto negare. Sentì un altro sparo, e tutto fu buio. Norman li perdonava.

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1 commento »

  1. Molto simpatico, Valentina. Scorre davvero bene.
    C’è molto materiale per un bel racconto più corposo.

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