Premio Racconti nella Rete 2024 “L’Abuso e i Garofani” di Attilio Del Giudice
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024I ragazzi a scuola la chiamavano Fiorellina e talvolta anche i professori, che forse senza malizia usavano il diminutivo per aiutarla a superare la timidezza quando doveva andare alla lavagna e sentirsi addosso gli occhi ironici dei compagni. Come non pensarci, però, che “Fiorellina” suonava male per una ragazzona di ottantacinque chili!
Aveva gli occhi belli, neri neri come i capelli, questo sì, ma lei non li metteva nel conto. Si sentiva brutta, goffa e pensava all’amore fisico come a una cosa astratta, dalla quale fosse esclusa e, quando il parroco, in confessione, le chiedeva se praticava atti impuri, se si toccava, Fiorella rispondeva con un “no, no!” secco, perentorio, volendo significare che lei, in quel tipo di peccato, non potesse mai cadere, che fosse contro la sua natura. Solo una volta raccontò che in una notte calda di maggio aveva avuto come un turbamento. Non riusciva a dormire e sentiva strani miagolii simili a lamenti di bambini, andò alla finestra e vide che la sua Bianchina, la sua gattina amatissima… Insomma: “una cosa brutta” disse.
“No, per carità! – disse il prete – è la natura, un istinto che nostro Signore ha donato a tutti gli esseri viventi. Non è una cosa brutta, figliola.”
Il parroco, don Carmelo, uno tarchiato, rosso di capelli e lentigginoso nel viso, come certi contadini del nord Italia, un giorno, per confessarla, la fece venire in sacrestia, dove la ragazza avrebbe dovuto anche aiutarlo a sistemare i garofani nei vasi da portare nella cappella di Sant’Anna per la festa. Lei si sentì onorata di poter dare una mano e lusingata, anche perché il prete aveva detto: “I garofani sono di vari colori e bisogna fare delle composizioni estetiche, insomma per certi lavoretti delicati ci vogliono le mani di fata di una ragazza come te.”
Oddio, le cose andarono diversamente, perché prima che le mani di fata entrassero in azione per sistemare esteticamente i garofani, durante la confessione, mentre lei parlava dei suoi insignificanti peccati veniali, il parroco le prese la mano sinistra, la mano del cuore, e l’appoggiò sulla zona del pene.
Lei, spaventata, provò a svincolarsi, ma lui con forza la trattenne lì e le fece constatare come fosse inequivocabilmente duro. Poi, con la mano libera l’accarezzò sul viso e disse: ”Povera creatura, hai bisogno anche tu di un po’ di calore.”
Fiorella, allora, scoppiò in un pianto forte con lacrime e irrefrenabili singhiozzi e non si capiva se quella commozione derivasse dalle parole del prete, che sancivano la sua pochezza di povera creatura appunto, o se piangeva per il sopruso che doveva subire. Certo è che il prete, sorpreso da quel pianto fragoroso, allentò la presa, tanto che la ragazza poté scappare dalla trappola.
Passò più di un mese, finché i due si incontrarono al mercato del pesce. Il parroco la vide e sorrise. Lei avvampò nel volto.
Lui si avvicinò e disse: “Fiorellina, come stai? Non ti si vede da un bel po’. Hai saputo che mi è successo?” Fiorella non rispose. Lui continuò: “Orsola è caduta, si è rotto un’anca, è ricoverata all’ospedale e mo mi tocca venire di persona a fare la spesa. Fiorella, non dici niente? Sai, il peccato di superbia è un grave peccato, uno dei più gravi e tu lo devi cancellare! Vieni dopo il vespro in parrocchia, che dobbiamo fare una bella pulizia dell’anima. Ti aspetto.”
Così nacque e prese corpo una relazione carnale che per Fiorella non fu mai gioiosa, né le parole del prete e la sua teoria della natura riuscivano a placare nell’animo della ragazza la paura e un forte sentimento di colpevolezza.
Il prete ben presto si rivelò un duro, uno che mirava a uno scialo illimitato, a un piacere senza orpelli sentimentali, anzi, se diceva qualche parola dolce, atta a ridurre l’ansia della ragazza durante le carezze preparatorie, appena raggiungeva l’eccitamento, cambiava rotta e praticava una verbalizzazione erotica molto spinta, da bordello si direbbe e lo sguardo terrorizzato di Fiorella di fronte a questo tipo di violenza, rinforzava la sua forte libidine, senza, naturalmente, produrre mai un qualche accento compassionevole.
Andarono avanti per alcuni mesi, finalmente quando si capì che lo scandalo stava per prendere piede in quella piccola comunità ecclesiale, il vescovo si adoperò affinché don Carmelo, peraltro recidivo in queste trasgressioni con le parrocchiane, orientasse l’indomabile vigoria sessuale lontano dal vescovado e fosse trasferito negli Stati Uniti, a Oak Park (Chicago), dove, del resto, era nato da emigranti italiani e dove da ragazzo aveva frequentato il seminario.
Il prete se ne andò alla chetichella, prima che Fiorella gli potesse annunciare che era rimasta incinta e otto giorni prima che venisse ad occupare quel posto un prete coreano, che, in verità, non sortì, nel paese, molte simpatie.
Se Nicola, il padre di Fiorella, un ferroviere, che all’onore della figlia e al suo ci teneva più di ogni altra cosa al mondo, specialmente da quando la moglie era morta e lui aveva dovuto assumersi per intero la responsabilità nell’educazione della ragazza, avesse saputo, oddio, l’avrebbe cacciata di casa per sempre. Era un uomo dolce, ma, in questo caso non avrebbe assecondato il perdono e le mezze misure.
Nicola, in verità, non aveva mai avuto bisogno di mostrarsi nel suo impegno educativo un padre severo, anzi gli avrebbe fatto piacere che Fiorella avesse avuto più amici e fosse più allegra; magari avrebbe accettato anche un fidanzatino per sua figlia, uno di buona famiglia, educato, uno studente serio, che non desse adito a critiche, uno che coltivasse degli ideali e che progettasse per il suo futuro una famiglia per bene. Del resto si considerava un padre moderno. “Più moderno di mia figlia – soleva dire – più aperto al nuovo. Mia figlia è una ragazza troppo delicata, troppo sensibile e, in questo senso, è all’antica. Ama la poesia, ama i fiori; pensate che, a quasi diciassette anni, l’ho vista piangere come una bambina per la morte di un fringuello ferito che aveva portato a casa.”
Però, santo cielo, sapere che la sua Fiorella fosse diventata l’amante del parroco… questo no! Non lo avrebbe mai potuto accettare.
Così Fiorella dovette decidere di abortire. Trovò la forza di non confidare a nessuno questo suo dramma, ma, nella notte precedente all’aborto, nel buio della sua stanza, il pensiero atroce di dover uccidere la creatura che stava germinando come un fiore di campo nella sua pancia, fu un tormento disumano, che il sonno nemmeno per un minuto potè alleviare. Alle quattro e trenta del mattino si alzò e andò a preparare la colazione al padre, che usciva di casa all’alba per il suo lavoro.
“Hai sentito il vento, stanotte?” Disse il padre.
“No, papà,dormivo.”
“Beata te! Ora s’è calmato, ma stanotte ululava veramente come un lupo. Sai, quando eri bambina, il vento forte ti faceva paura, ti svegliavi e venivi nel mio letto. Io non volevo, ma me lo chiedevi con tanta grazia, con tanta nostalgia della mamma, che non riuscivo a impedirtelo. Mi ricordo che ti dovevo raccontare una favola, se volevo vederti tranquilla e riprender sonno. Quante storielle mi sono inventato! Perché tu non ti accontentavi di riascoltare le favole classiche che si raccontano ai bambini, volevi storie nuove. Così dovevo inventare. Un ferroviere poeta… Meno male che il vento è calato.”
“ Tu, però, papà, riguardati lo stesso, portati la sciarpa.”
“Sì, sì. Se mi ammalo è un guaio. Due dei nostri sono a letto con l’influenza.”
Fiorella quella mattina anche lei uscì da casa che appena albeggiava.
Andò, poverina, da sola da un medico privato a Caserta, dove nessuno la conosceva.
Del prete non ebbe mai più notizie e, col tempo, di quell’unica esperienza d’amore fisico lei ricordò o volle ricordare solo i garofani di vari colori, coi quali avrebbe dovuto fare, con le sue mani di fata, estetiche composizioni.
Anche questo racconto di Attilio del Giudice rivela la sua caratteristica fluidità linguistica. La narrazione è intensa, riguarda il dramma di una fanciulla, timida e complessata per il suo peso e perchè si considera brutta, benché abbia gli occhi belli, della qual cosa, però, non tiene conto.
Viene abusata da un prete, che la mette incinta. Il dramma si conclude con la necessità di un aborto e la pagina della notte precedente all’aborto stesso coinvolge il lettore fino alla commozione.
Un racconto che commuove. Grande letteratura in poche righe. Prerogativa dei grandi. Grazie delle emozioni che ci regali.
Del Giudice ci racconta una storia torbida e triste nella sua assoluta verosimiglianza. Gli scrittori devono metterci di fronte a delle domande, di fronte alla nostra coscienza. E devono farlo senza alcun pudore, senza calcolo. Senza paura.
Una ragazzina bullizzata viene abusata da una figura che dovrebbe proteggerla e sostenerla, perché? Lo scandalo termina improvvisamente per il protagonista che l’ha provocato, ma non finisce per Fiorella. Sarà costretta a una decisione più grande di quelle che ogni giorno prendono le sue coetanee. Una scelta difficile che necessita forza d’animo e coraggio, e per trovarli si concentrerà nel suo dolore profondo e poi tutta in tutta la tenerezza che prova, in tutto l’amore che ha per suo padre.
Il male che non ti aspetti dietro la maschera del bene
L’autore ci racconta un dramma per niente eccezionale, di cui conosciamo relative cronache quasi quotidianamente. Si tratta di un abuso su una ragazza timida e innocente. Il finale arriva a toccare i sentimenti e la commozione è certa per qualsiasi lettore che abbia un animo pulito e sensibile.
Mi ha commosso assistere da lettrice alla struggente ma silenziosa lotta interiore della protagonista. Una ragazza pura, violata nella sua intimità e depredata per sempre di quella sana ingenuità che è propria solo delle persone d’animo buono. La protagonista non si ama, non pensa di meritare amore per via del suo aspetto e così finisce per cadere della trappola di un diabolico e vile approfittatore.
Salve Attilio.
Bel racconto, intenso, scritto bene.
Personalmente mi è mancato il passaggio tra l’incontro del prete al mercato e la decisione di Fiorellina di tornare.
Mi è mancato il dialogo interiore della ragazza che decide di concedersi e il motivo per cui lo fa (nel testo solo parzialmente accennato) nello spartiacque della storia. Essendo riuscita già a sottrarsi la prima volta, avrei ragionato più sul suo dibattito interiore.
Spero che questi commenti risultino costruttivi (i soli complimenti non aiutano a crescere, se non nell’autostima).
Attilio del Giudice
gio 27 giu, 00:00 (2 giorni fa)
a biusofabrizio
Caro Fabrizio, ti ringrazio veramente molto, specialmente per le tue perplessità, che erano e sono anche le mie. Naturalmente cerco di dare qualche spiegazione anche a me stesso: Il personaggio col tempo e con la cognizione del dolore acquista la possibilità di un dibattito interiore, ma nel momento della seduzione è evidentemente vulnerabile, incapace di accondiscendere, ma anche di opporsi. Subisce l’abuso, e resta innocente, rendendosi involontariamente appetibile a chi proprio da questa adolescenziale ingenuità trae il piacere sessuale. Però, ripeto, qualche dubbio mi appartiene ancora, considerando, peraltro, la meccanica narrativa e la relativa ricezione. Grazie mille, mi ha fatto piacere che il racconto sia stato preso in considerazione da uno scrittore del tuo livello.