Premio Racconti nella Rete 2024 “Un viaggio e i suoi fantasmi” di Alfonso Angrisani
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024La cosa è andata così. Eravamo giovani al primo lavoro. Giovani con le cose dei giovani, l’idea di essere speciali, la sicurezza di essere unici, anche nelle malinconie, nelle prime fregature sentimentali, i miti e gli idoli rock. Tutto questo è piuttosto risaputo, ma ciò non toglie che fosse anche abbastanza vero. Così una mattina domenica siamo partiti, Andrea C. ed io per il Pistoia Blues Festival, credo fosse il 1996, comunque sono sicuro che si trattasse dell’altro millennio. Partiti senza prenotare nulla di nulla, come da canone on the road. Io non mi ero nemmeno informato su chi avrebbe suonato, di Andrea mi fidavo e poi mi bastava quel titolo – Pistoia Blues Festival – per essere determinato ad andarci, il blues m’è sempre piaciuto. Andrea C. no, lui lo sapeva, era un tipo informato lui, sempre più informato di me per quel che riguardava faccende di musica. E quella mattina di luglio Andrea, lasciato alle spalle l’impiegato di qualche giorno prima, era arrivato così all’appuntamento per partire, con quel suo sorriso entusiasta (come a dire “vedrai dove ti porto, adesso!”) e con la sua vecchia Ford Fiesta color amaranto, già vecchia all’epoca.
“Lo sai chi suona stasera?” aveva chiesto con l’aria di chi la sa lunga e non aspetta altro che dimostrartelo.
“No” avevo risposto secco.
“Bob Dylan!” aveva replicato lui, con soddisfazione per nulla celata.
“Ancora lui?”
“Come ancora lui! Lui è LUI, un mito! E non invecchia mai!”
“Sarà…e poi?” avevo aggiunto senza entusiasmo.
“Beh, per me già basta, comunque c’è anche Joe Ely”
“Ah bello…”
“Lo sai chi è ?”
“No”
“E allora perché dici ‘bello’?”
“Beh, perché penso che tu ci capisci, quindi se parli di lui sarà uno ok, uno figo”
“Sei un disastro…Joe Ely è il nuovo esponente di un country rock psichedelico…un grande”
“Lo vedi che ci ho azzeccato?”
“Si certo, come no…”
Nel frattempo, appena poco oltre il Raccordo Anulare, noto che dal bocchettone dell’aria del cruscotto esce del fumo e lo faccio notare. Ma Andrea C. ha una spiegazione anche per questo: è che il condizionatore d’aria è un po’ vecchio, si forma una condensa, tutto qui e tutto normale. Io invece lì per lì mi chiedo dove ci lascerà a piedi il suo macinino.
Invece con mia grande sorpresa, verso il primo pomeriggio, arriviamo nei pressi di Pistoia e c’è ancora una gran luce che indora tutto, alberi e case in lontananza.
“Cerchiamo in città o fuori un posto dove dormire?” chiedo al mio conducente.
“Che domande…fuori, no? Suona Bob Dylan, sarà tutto prenotato in città e comunque potremmo sempre dormire in macchina o all’aperto”
“Te lo scordi, tu dormirai all’aperto o in macchina, io voglio un letto e possibilmente quattro pareti e anche un soffitto sopra”
“Sei borghese” dice lui, preso dalle leggende della letteratura hippie di cui s’è imbevuto cuore e testa.
“Certo! Borghesissimo! Perciò adesso ci mettiamo a cercare un bell’alberghetto o, se proprio non ti va, almeno un motel, ok? Altrimenti mi accompagni alla stazione di Pistoia e io me ne torno”
“Quanto sei stronzo e vecchio! E va bene…anche se i nostri primi stipendi magari non ci permetterebbero questi lussi”
“Ah, e ora il borghese sarei io? Tu sei peggio di me, allora, un tirchio impiegatuccio che pensa solo a mettere da parte i soldi anziché goderseli!”
“Falla finita!”
“No”
“Falla finita, e comunque ti ho già detto ok, va bene, cerchiamo ‘sto cazzo di alberghetto!”.
Così cominciamo a chiedere a caso, ai vari alberghi e motel che ci capita di incontrare lungo la strada, se hanno una camera libera. Dopo cinque-sei tentativi andati a vuoto Andrea ritira fuori l’idea di dormire per strada, idea che respingo con una proposta: proviamo oltre, all’Abetone. E mentre dico questo, già mi immagino la sua macchina che non ce la fa a salire per i tornanti della montagna. Ma su questo taccio. Andrea, forse più per stanchezza che per altro, mi asseconda, con mia grande sorpresa.
Alla fine di un non breve pellegrinaggio, con la Fiesta che arranca e chiede pietà, quando ormai sto anch’io per desistere, ci appare un cartello: Agriturismo X (mi sembra si chiamasse “Il Castagno” ma non chiedetemi di metterci la mano sul fuoco) a 2 km. Ci arriviamo, il posto è stupendo, praticamente un casale sprofondato nel verde. Scendiamo dalla macchina per dirigerci verso quella che sembra essere l’entrata, quando all’improvviso, da una strada sterrata laterale, ci appare una visione da sogno: una bella ragazza, proprio bella eh, che si avvicina a cavallo, e che oltre ai pantaloni da cavallerizza sopra porta solo il reggiseno di un costume da bagno. Siamo folgorati. Lei si avvicina e noi quasi all’unisono, come due scemi: “E’ questo l’agriturismo Il Castagno?”. Riposta positiva (che lì per lì manco ci interessa, a quel punto) e dopo questo, in un batter di ciglia, l’amazzone e il cavallo scartano e vanno via sempre per quella strada sterrata, con noi che rimaniamo a guardare la coda dei suoi capelli biondi e quella del cavallo che sembrano agitarsi in armonia, nella leggera nuvola di polvere sollevata dagli zoccoli…
Ancora con quella visione negli occhi, ci portiamo all’ingresso dell’agriturismo ed alla reception ci dice bene: hanno ancora disposizione ancora una stanza libera, una mansarda. “Meno male – aggiunge Andrea con enfasi – sa, siamo qui per il concerto di Bob Dylan al Pistoia Blues Festival !!!”. L’uomo sulla cinquantina dietro la reception annuisce con un sorriso, non dice niente, ci dà la chiave e noi, giusto il tempo di lasciare in stanza i nostri due zaini, gliela restituiamo qualche minuto dopo: il Festival non può aspettare!
Poco prima di entrare in quel di Pistoia, chiedo ad Andrea quanto gli devo per il mio biglietto.
“Biglietto? Quale biglietto?” mi fa lui quasi sorpreso.
“Ma come quale, quello del concerto!” obietto io decisamente sorpreso.
“Non ho comprato alcun biglietto, ma non ti preoccupare, è tutto previsto, basta seguire i frikkettoni, loro sanno come entrare, il concerto è all’aperto, Piazza Dante”.
“Ma sei sicuro che…guarda, Andrea, che se siamo arrivati fin qui per nulla ti uccido, giuro!”
“Tranquillo, eh, tranquillo, è tutto previsto” fa lui con esibita sicurezza, accompagnata da un sorriso da schiaffi.
Così, parcheggiata la macchina appena fuori del centro storico di Pistoia, ci incamminiamo verso non so dove. Andrea ad un certo punto mi fa con la mano il gesto di seguirlo, e si accoda ad un gruppetto che sembra uscito pari pari da Woodstock, capelli lunghi, abiti colorati e trasandati, collanine e braccialetti etnici, un bongo portato a tracolla. In scia di quello strano manipolo ci inoltriamo per vicoli e altri vicoli, poi entriamo in uno scuro portone e io mi guardo attorno, non vorrei essere derubato…ma poi accediamo ad un atrio interno, da qui ad una specie di stenditoio all’aperto, passiamo ancora per una porta… e come per miracolo siamo a Piazza Dante! Nella zona concerto e senza biglietti! Fantastico! Andrea mi guarda come a dire “Lo vedi come si fa? Se non ci fossi io!” al che io avrei voglia di dargli un cazzotto in faccia, anziché ringraziarlo. Ma mi taccio e mi do a guardare il variopinto mondo attorno a me: noto sul momento, nella piazza, una zona transennata oltre la quale, si capisce al volo, tra poco entreranno i nostri idoli.
Si fa sera. Il mitico menestrello di Duluth appare all’improvviso, quasi dal nulla e, senza manco salutare il pubblico, attacca con i suoi pezzi (che io non so riconoscere, ma Andrea sì, ed è talmente preso dalla cosa che non oso fargli domande). A me Bob sembra un personaggio strano, chiuso, poco socievole, una faccia per nulla sorridente, in contrasto con la sua giacca azzurra traslucida che lancia strani riflessi sotto le luci. Il pubblico alla fine di ogni pezzo urla, fischia, applaude, ma lui niente, non si fila nessuno, ad un certo punto gira pure le spalle al pubblico e questo gesto me lo rende quasi simpatico: un grande artista che se ne fotte del pubblico, di quello che la gente pensa, e che si concentra solo sulla sua arte! Fa pochi pezzi, belli però, poi come era venuto se ne va via, senza lasciare tracce, e allora penso che forse non è un essere umano comune, ma un fantasma materializzatosi solo per l’occorrenza.
Segue il più “umano” Joe Ely, e il suo country mi conquista, non è per nulla smielato o troppo lamentoso come certi altri musicisti della sua corrente musicale. Brani acustici, intensi, non c’è che dire. Saluta il pubblico, interagisce, un altro tipo di persona, eppure mi colpisce meno del suo predecessore.
Il concerto finisce a notte inoltrata e mi sento, a quel punto, la testa che mi gira un po’ e so anche perché: c’è un tale fumo di canne dove siamo che, senza spenderci soldi, per tutte quelle ore abbiamo fatto uso e persino abuso (passivo) di marijuana &hascish . Però non fino al punto da non poter ritrovare la nostra macchina e l’agriturismo, cui facciamo ritorno allegri e frastornati.
Mi sveglia la mattina dopo l’imprecazione di Andrea, che nell’alzarsi dal letto si è dimenticato che la volta della mansarda è obliqua e così ha dato una bella capocciata al soffitto nella sua parte più bassa. Io a quel punto, ridendo, mi alzo molto più prudentemente, apro l’abbaino e da lì mi appare la meravigliosa, luminosa distesa della campagna toscana. Allora mi vesto al volo e scendo giù, fuori il verde è in festa, c’è un odore di alberi, di legna, di terra, che mi sembra più inebriante, e sicuramente più profumato, di quello passivo delle canne della sera prima. Do uno sguardo alla strada sterrata dove era apparsa la fata a cavallo e cosa darei per vederla di nuovo e magari nuda come Lady Godiva!
E qui si chiude il film della memoria, ripreso anni e anni dopo, una domenica mattina tardi, per caso: apri un cassetto per cercare un bollettino pagato (che non troverai) e ti capita tra le mani un foglio di giornale, ingiallito, nel quale si parla di quel concerto. Non ricordavi nemmeno di avercelo, quel pezzo di giornale. Ora lo leggi di nuovo, è a firma di Alba Solaro sull’Unità, e piano piano escono da quelle righe tante immagini, tanti volti, come buoni e simpatici fantasmi che hanno voglia di fare festa con te. Ancora, ancora per una volta. Passa un tempo che non sai dire e ad un certo punto ti chiamano dall’altra stanza, il pranzo è pronto, ma il fatto è che tu sei là e non lì, e dove sei vorresti essere rapito ancora, ancora una volta. Ma continuano a chiamarti. Allora prendi un foglio, nella fretta butti giù solo poche parole: Pistoia 1996 – Bob Dylan – Andrea – Toscana, Castagno – scrivere racconto. E mentre sei a pranzo ed al telegiornale scorrono le solite aride facce e tristi notizie, tu pensi solo una cosa: i miei fantasmi del viaggio mi aiuteranno, a dare a quei giorni passati nuova vita.
Ciao Alfonso, complimenti.
Mi è arrivato tutto del racconto. Descrizioni, emozioni, contesto.
Forse il dialogo su ‘chi è borghese’ svia un po’ dal flusso e potresti accorciare, anche perché se vuoi contestualizzare i personaggi lo fai in una maniera poco ‘letteraria’. Ma è un pensiero, forse un consiglio.
Il racconto funziona eccome!
Caro Fabrizio, grazie anzitutto dell’apprezzamento. Quanto al dialogo su “chi è borghese” non si è trattato di una sorta di aggiunta velleitaria: quel dialogo (come gran parte della storia) è realmente avvenuto, e il “parlar parlato” non intendeva certo delineare meglio chi o cosa fosse un borghese: l’ho riprodotto nella sua freschezza e immediatezza, un cenno caduto lì in un dialogo fra due ragazzi. Non ho certo inventato io lo stile anti accademico, che certamente ti sarà ben noto. Cosa poi è una “contestualizzazione letteraria dei personaggi” e cosa no (in un racconto fra l’altro che doveva per forza essere breve) è argomento sul quale si potrebbe discutere a lungo e utilmente confrontarsi: per la mia lunga esperienza di scrittore e lettore (o se vuoi di lettore e poi di scrittore), un personaggio può essere caratterizzato, per es., anche senza descriverlo fisicamente, a volte basta un particolare…persino una parola.
Grazie del contributo.